La Messa del Papa in Plaza de la Revolucion: la Chiesa deve contare sulla libertà religiosa

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Probabilmente è ancora prematuro tracciare i bilanci di questo 23° viaggio apostolico del Papa fuori dall’Italia; non possiamo, però, trascurare il successo e la massiccia partecipazione del popolo latinoamericano allo straordinario evento ecclesiale e il notevole risalto sottolineato dalla stampa locale. Persino a Cuba i giornali dedicano la prima pagina all’illustre ospite, con la benedizione del “Lider Maximo”, Fidel Castro, che testualmente e di suo pugno fa sapere: “Sarò lieto d’incontrare Sua Eccellenza Papa Benedetto XVI, come feci nel 1998 con Giovanni Paolo II: un uomo al quale il contatto con i bambini e con gli umili cittadini del popolo suscitava invariabilmente sentimenti di affetto. Così ho deciso di chiedere qualche minuto del vostro tempo così oberato di impegni quando ho saputo per bocca del nostro ministro degli Esteri Bruno Rodriguez che vorrebbe mettersi in contatto con questo semplice e modesto… Fidel Castro Ruz”. Sono in tanti, centinaia di migliaia, ad attendere Benedetto XVI nella famosa “Plaza de la Revolucion” dell’Avana, dedicata al padre della patria José Martì, uno degli spazi urbani aperti più grandi del mondo (oltre 72 mila metri quadrati) capace di accogliere 600 mila persone. Alle spalle del monumento a José Martì campeggiano i ritratti di due eroi della Rivoluzione cubana: Ernesto Guevara e Camillo Cienfuegos. Proprio in questa storica Piazza il beato Giovanni Paolo II celebrò la Messa nel gennaio 1998, e sotto lo sguardo incredibilmente compiaciuto dell’allora Presidente Fidel Castro ricordò al popolo cubano: “La libertà che non è fondata sulla verità condiziona l’uomo a tal punto che a volte lo rende oggetto anziché soggetto del contesto sociale, culturale, economico e politico, lasciandolo quasi totalmente privo d’iniziativa riguardo allo sviluppo personale. Altre volte, questa libertà è di tipo individualistico e, non tenendo conto della libertà degli altri, chiude l’uomo nel proprio egoismo”. Benedetto XVI riprende nella sua omelia questo, certamente non casuale, indirizzo tematico.

Le parole verità e libertà, infatti, si rincorrono – nel testo dettato dal Papa – con notevole dinamismo evangelico e socio-culturale. Per ben 20 volte Benedetto XVI pronuncia la parola “verità” e 12 volte la parola “libertà”, come caratteristiche (l’una indispensabile all’altra) di un’unica realtà che trova solo in Cristo il suo più efficace compimento, “l’unico – asserisce il Papa – che può mostrare la verità e dare la vera libertà”. La folla applaude e, come direbbe Gesù nel suo Vangelo: «Chi ha orecchi per intendere, intenda!» (Lc 8, 8).  Il saluto iniziale che mons. Jaime Ortega y Alamino, Arcivescovo di L’Avana, rivolge al Papa pone in risalto il desiderio di fede e di benedizione che è possibile riconoscere negli sguardi e nelle acclamazioni dei fedeli presenti alla celebrazione eucaristica. Il card. Jaime Ortega y Alamino ricorda che il nome stesso scelto dal Pontefice, “Benedetto”, è un progetto che porta la tenerezza, la dolcezza e la misericordia di Dio per tutti. Il Papa inizia il suo discorso rivolgendosi ai fedeli: “Provo una grande gioia nell’essere oggi tra voi e presiedere questa Santa Messa nel cuore di questo Anno giubilare dedicato alla Vergine della Carità del Cobre”. Poi entra subito nel cuore dell’annuncio affermando: “la verità è un anelito dell’essere umano, e cercarla suppone sempre un esercizio di autentica libertà.

Molti, tuttavia, preferiscono le scorciatoie e cercano di evitare questo compito. Alcuni, come Ponzio Pilato, ironizzano sulla possibilità di poter conoscere la verità (cfr Gv 18,38), proclamando l’incapacità dell’uomo di raggiungerla o negando che esista una verità per tutti. Questo atteggiamento, come nel caso dello scetticismo e del relativismo, produce un cambiamento nel cuore, rendendo freddi, vacillanti, distanti dagli altri e rinchiusi in se stessi. Persone che si lavano le mani come il governatore romano e lasciano correre il fiume della storia senza compromettersi”. Altri, invece, ricorda il Pontefice “interpretano male questa ricerca della verità, portandoli all’irrazionalità e al fanatismo, per cui si rinchiudono nella «loro verità» e cercano di imporla agli altri”. Benedetto XVI ricorda che l’intento del Cristianesimo non è quello di imporre ma di offrire l’invito stesso di Cristo a conoscere la verità che rende liberi.

“Non esitate a seguire Gesù Cristo”, afferma il Successore di Pietro, “Solo rinunciando all’odio e al nostro cuore indurito e cieco, saremo liberi, ed una nuova vita germoglierà in noi”. La Chiesa vuole annunciare Cristo ma “per poter svolgere questo compito, essa deve contare sull’essenziale libertà religiosa, che consiste nel poter proclamare e celebrare anche pubblicamente la fede, portando il messaggio di amore, di riconciliazione e di pace, che Gesù portò al mondo. E’ da riconoscere con gioia che sono stati fatti passi in Cuba affinché la Chiesa compia la sua ineludibile missione di annunciare pubblicamente ed apertamente la sua fede. Tuttavia, è necessario proseguire, e desidero incoraggiare le autorità governative della Nazione a rafforzare quanto già raggiunto ed a proseguire in questo cammino di genuino servizio al bene comune di tutta la società cubana”.

“Il diritto alla libertà religiosa, sia nella sua dimensione individuale sia in quella comunitaria, manifesta l’unità della persona umana che è, nel medesimo tempo, cittadino e credente”. Al termine dell’omelia Benedetto XVI cita l’insigne sacerdote Félix Varela, educatore e maestro, figlio illustre della città caraibica, passato alla storia di Cuba come il primo che ha insegnato al suo popolo a pensare. “Il Padre Varela ci presenta la strada per una vera trasformazione sociale: formare uomini virtuosi per forgiare una nazione degna e libera, poiché questa trasformazione dipenderà dalla vita spirituale dell’uomo; infatti, «non c’è patria senza virtù» (Lettere ad Elpidio, lettera sesta, Madrid 1836, 220)”. Il monito diventa allora esplicito: “Cuba ed il mondo hanno bisogno di cambiamenti, ma questi ci saranno solo se ognuno è nella condizione di interrogarsi sulla verità e si decide a intraprendere il cammino dell’amore, seminando riconciliazione e fraternità”.

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