Presentato il rapporto di Amnesty International sulla pena di morte

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E’ terminato il viaggio di papa Benedetto XVI in Messico ed a Cuba, durante il quale ha affermato: “Ho supplicato la Vergine per la necessità di quelli che soffrono, di quelli che non hanno libertà, separati dai propri stessi cari, che passano gravi momenti di difficoltà”. Un richiamo chiaro, soprattutto, alle responsabilità dei politici cubani, che però sono rimasti poco ‘attenti’ alle sue parole. Infatti Amnesty International ha denunciato l’aumento della persecuzione ai danni degli attivisti per i diritti umani di Cuba, cui le autorità hanno tentato di impedire di prendere la parola in occasione della visita del Papa Benedetto XVI. L’organizzazione per i diritti umani ha registrato un incremento degli arresti, oltre 150, così come la disattivazione delle linee telefoniche degli attivisti, alcuni dei quali si sono visti anche circondare le abitazioni dalle forze di sicurezza per non farli muovere. Il 26 marzo decine di oppositori erano stati arrestati a Santiago de Cuba, all’inizio della visita del Papa. Nei giorni precedenti, centinaia di persone erano state tenute agli arresti per brevi periodi di tempo, minacciate o a loro era stato impedito di muoversi liberamente. Inoltre nei giorni scorsi Amnesty International ha presentato anche il rapporto annuale sulla pena di morte.

I paesi che hanno eseguito condanne a morte nel 2011 lo hanno fatto a un livello allarmante, ma i paesi che usano ancora la pena capitale sono diminuiti di oltre un terzo rispetto a un decennio fa., secondo il rapporto annuale sulla pena di morte di Amnesty International: nel 2011 solo il 10% dei paesi, 20 su 198, hanno eseguito condanne a morte.  Sentenze capitali sono state emesse o eseguite per tutta una serie di reati, tra cui adulterio e sodomia in Iran, blasfemia in Pakistan, stregoneria in Arabia Saudita, traffico di resti umani nella Repubblica del Congo e in oltre 10 paesi per reati di droga. I metodi d’esecuzione hanno compreso la decapitazione, l’impiccagione, l’iniezione letale e la fucilazione.

Nel corso del 2011 sono state messe a morte almeno 676 persone mentre erano almeno 18.750, alla fine dell’anno, i prigionieri in attesa dell’esecuzione. Questi dati non includono le migliaia di esecuzioni che Amnesty International ritiene abbiano avuto luogo in Cina, dove queste informazioni non sono rese pubbliche. I dati non tengono neanche conto della probabile effettiva dimensione della pena di morte in Iran, dove secondo Amnesty International un significativo numero di esecuzioni non è stato reso noto ufficialmente: “La vasta maggioranza dei paesi ha deciso di non usare più la pena di morte. Il nostro messaggio ai leader di quella isolata minoranza di paesi che continua a ricorrervi è chiaro: non siete al passo col resto del mondo su questo argomento ed è tempo che prendiate iniziative per porre fine alla piu’ crudele, disumana e degradante delle punizioni”, ha dichiarato Salil Shetty, Segretario generale di Amnesty International.

In Medio Oriente c’è stato un profondo aumento delle esecuzioni ufficiali, almeno il 50 per cento in piu’ del 2010, determinato da quattro paesi: Arabia Saudita (almeno 82 esecuzioni), Iran (almeno 360), Iraq (almeno 68) e Yemen (almeno 41). L’aumento in Iran e Arabia Saudita giustifica, da solo, la differenza di 149 esecuzioni a livello mondiale rispetto ai dati del 2010. Migliaia di persone sono state messe a morte in Cina, più che nel resto del mondo. I dati sulla pena di morte sono un segreto di stato. Amnesty International ha cessato di fornire dati basati su fonti pubbliche cinesi, poiché è probabile che sottostimino enormemente il numero effettivo delle esecuzioni.

Per tale motivo, Amnesty International ha rinnovato la richiesta alle autorità cinesi di pubblicare i dati relativi alle condanne a morte e alle esecuzioni, per poter accertare se sia vero quanto da esse affermato, e cioè che una serie di modifiche alle leggi e alle procedure ha ridotto significativamente, negli ultimi quattro anni, l’uso della pena di morte. Per quanto riguarda l’Iran, Amnesty International ha ricevuto informazioni affidabili secondo le quali vi è stato un gran numero di esecuzioni non confermate o persino segrete, che raddoppierebbe il dato di quelle ufficialmente riconosciute. In violazione del diritto internazionale, in Iran sono stati messi a morte almeno tre prigionieri condannati per reati commessi quando avevano meno di 18 anni. Una quarta, non confermata, esecuzione di un minorenne al momento del reato sarebbe avvenuta sempre in Iran e ancora un’altra avrebbe avuto luogo in Arabia Saudita.

Comunque gli Stati Uniti d’America sono stati ancora una volta l’unico paese delle Americhe e, nel 2011, l’unico stato membro del G8, a eseguire condanne a morte, 43 in totale. L’Europa e lo spazio ex sovietico sono risultati liberi dalle esecuzioni con l’eccezione della Bielorussia, dove sono stati messi a morte due prigionieri. Il Pacifico è risultato una regione libera dalla pena di morte con l’eccezione di Papua Nuova Guinea, dove sono state emesse cinque condanne a morte. Nella maggior parte dei paesi dove sono state emesse o eseguite condanne a morte, i procedimenti giudiziari non hanno rispettato gli standard internazionali sui processi equi. In alcuni casi, si sono basati su ‘confessioni’ estorte con la tortura o altre forme di coercizione, come in Arabia Saudita, Cina, Corea del Nord, Iran e Iraq.

Il rapporto di Amnesty International ha sottolineato come anche nei paesi che hanno continuato a usare massicciamente la pena di morte, siano stati fatti alcuni passi avanti: “Anche all’interno del piccolo gruppo di paesi che hanno eseguito condanne a morte nel 2011, assistiamo a progressi graduali. Sono piccoli passi avanti, ma misure di questo genere hanno ultimamente dimostrato di poter condurre alla fine della pena capitale. Non succederà improvvisamente, ma siamo convinti che arriverà il giorno in cui la pena di morte sarà stata consegnata alla storia”.

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