I cattolici contrari al ‘suicidio assistito’
Il suicidio assistito entra nell’ordinamento italiano con una sentenza della Consulta: “La Corte ha ritenuto non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.
Però, poche ore dopo la sentenza, la Corte Costituzionale ha corretto il comunicato, ampliando la finestra entro la quale è possibile ricorrere al suicidio assistito: non sofferenze fisiche ‘e’ psicologiche, ma ‘o’ psicologiche: per accedere alla morte programmata non serve la presenza di entrambe, ma solo di una, ovviamente unita agli altri criteri (esistenza di una patologia irreversibile, sottoposizione a trattamenti di sostegno vitale, assunzione di una decisione libera e consapevole, rispetto delle norme su consenso informato, cure palliative e sedazione profonda, e parere del comitato etico territorialmente competente).
Tra le prime reazioni alla sentenza c’è quella di Marco Cappato, il tesoriere dell’associazione radicale ‘Luca Coscioni’ che aveva dato vita al procedimento: “Ora siamo tutti più liberi”. Di segno opposto Alberto Gambino, prorettore dell’Università Europea di Roma e presidente di ‘Scienza&Vita’: “La Corte ha ceduto a una visione utilitaristica della vita umana, ribaltando l’articolo 2 della nostra Carta Costituzionale, che mette al centro la persona umana e non la sua mera volontà”.
Le perplessità sorgono anche tra i medici, come ha sottolineato il presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), Filippo Anelli: “Quello che chiediamo ora al Legislatore è che chi dovesse essere chiamato ad avviare formalmente la procedura del suicidio assistito, essendone responsabile, sia un pubblico ufficiale rappresentante dello Stato e non un medico. Prevedo che ci sarà una forte resistenza da parte del mondo medico”.
Duro anche il commento del Centro Studi ‘Livatino’, che in una nota ha scritto: “La decisione di oggi della Corte costituzionale non dichiara illegittimo l’articolo 580 del codice penale, ma demanda al giudice del singolo caso stabilire se sussistono le condizioni per la non punibilità, cioè investe il giudice del potere di stabilire in concreto quando togliere la vita a una persona sia sanzionato, oppure no. Inoltre fa crescere confusione e arbitrio, ricordando che deve essere rispettata la normativa su consenso informato e cure palliative: ma come, se la legge sulle cure palliative non è mai stata finanziata e non esistono reparti a ciò attrezzati?
Poi così si medicalizza il suicidio assistito, scaricando una decisione così impegnativa sul Servizio sanitario nazionale, senza menzionare l’obiezione di coscienza, di cui pure aveva parlato nell’ordinanza 207. Infine se la Consulta ritiene l’intervento del legislatore ‘indispensabile’, allora perché essa stessa lo ha anticipato come Consulta? Quel che si ricava dalla nota è confusione, incoerenza e arbitrio. Saranno sufficienti a svegliare un Parlamento colpevole di aver fatto trascorrere il tempo su un tema così cruciale?”.
Nella conferenza stampa conclusiva della Cei mons. Stefano Russo ha sottolineato lo ‘sconcerto’ per la sentenza della Corte Costituzionale, assicurando la ‘vigilanza’ su come legifererà il Parlamento, con la speranza che contenga ‘paletti forti’: “Non comprendiamo come si possa parlare di libertà. Qui si creano i presupposti per una cultura della morte, in cui la società perde il lume della ragione”.
E nel comunicato finale i vescovi ribadiscono il compito della medicina: “Si può e si deve respingere la tentazione, indotta anche da mutamenti legislativi, di usare la medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato, fornendo assistenza al suicidio o causandone direttamente la morte con l’eutanasia”.
I Vescovi hanno unito la loro voce a quella di tante associazioni laicali nell’esprimere la preoccupazione a fronte di scelte destinate a provocare profonde conseguenze sul piano culturale e sociale: “Alla Chiesa sta a cuore la dignità della persona, per cui i Pastori non si sono soffermati soltanto sulla negazione del diritto al suicidio, ma hanno rilanciato l’impegno a continuare e a rafforzare l’attenzione e la presenza nei confronti dei malati terminali e dei loro familiari.
Tale prossimità, mentre contrasta la solitudine e l’abbandono, promuove una sensibilizzazione sul valore della vita come dono e responsabilità; cura l’educazione e la formazione di quanti operano in strutture sanitarie di ispirazione cristiana; rivendica la possibilità di esercitare l’obiezione di coscienza, rispetto a chi chiedesse di essere aiutato a morire; sostiene il senso della professione medica, alla quale è affidato il compito di servire la vita”.