Papa Francesco: evangelizzare con l’ardore del cuore

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Papa Francesco punta ancora sull’evangelizzazione e lo ha detto ai partecipanti all’incontro promosso dal pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, invitandoli ad accendere il desiderio di Dio, commentando il vangelo di san Luca: “In questo senso il Vangelo di Luca ci offre un buono spunto di partenza, quando narra dei due discepoli che andavano a Emmaus: c’era Cristo che camminava con loro, ma per lo sconforto che avevano in cuore non erano in grado di riconoscerlo. E’ così anche per molti nostri contemporanei: Dio è loro vicino, ma non riescono a riconoscerlo.

Si racconta che una volta papa Giovanni, incontrando un giornalista che gli diceva di non credere, gli abbia risposto: ‘Tranquillo! Questo lo dici tu! Dio non lo sa, e ti considera ugualmente come un figlio a cui voler bene’. Il segreto, allora, sta nel sentire, insieme alle proprie incertezze, la meraviglia di questa presenza. E’ lo stesso stupore che colse i discepoli di Emmaus: ‘Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?’. Fare ardere il cuore è la nostra sfida”.

Il papa ha avvertito i partecipanti a stare attenti a quale Chiesa narrare: “Tanti, soprattutto in Occidente, hanno l’impressione di una Chiesa che non li capisca e sia lontana dai loro bisogni. Alcuni, poi, che vorrebbero assecondare la logica poco evangelica della rilevanza, giudicano la Chiesa troppo debole nei confronti del mondo, mentre altri la vedono ancora troppo potente a confronto con le grandi povertà del mondo.

Direi che è giusto preoccuparsi, ma soprattutto occuparsi, quando si percepisce una Chiesa mondanizzata, che segue cioè i criteri di successo del mondo e si dimentica che non esiste per annunciare se stessa, ma Gesù. Una Chiesa preoccupata di difendere il suo buon nome, che fatica a rinunciare a ciò che non è essenziale, non prova più l’ardore di calare il Vangelo nell’oggi. E finisce per essere più un bel reperto museale che la casa semplice e festosa del Padre. Eh, la tentazione dei musei!”

Quindi occorre far sentire la ‘casa’: “Eppure ci sono tanti figli che il Padre desidera far ‘sentire a casa’; sono nostri fratelli e sorelle che, mentre beneficiano di molte conquiste della tecnica, vivono assorbiti dal vortice di una grande frenesia. E mentre portano dentro ferite profonde e faticano a trovare un lavoro stabile, si trovano circondati da un benessere esteriore che anestetizza dentro e distoglie da scelte coraggiose”.

Ecco che per far scoprire la Chiesa occorre narrare la bellezza: “Quanta gente accanto a noi vive di corsa, schiava di ciò che dovrebbe servirle a stare meglio e dimentica del sapore della vita: della bellezza di una famiglia numerosa e generosa, che riempie il giorno e la notte ma dilata il cuore; della luminosità che si trova negli occhi dei figli, che nessuno smartphone può dare; della gioia delle cose semplici; della serenità che dà la preghiera.

Quello che spesso ci chiedono i nostri fratelli e sorelle, magari senza riuscire a porre la domanda, corrisponde ai bisogni più profondi: amare ed essere amati, essere accettati per quello che si è, trovare la pace del cuore e una gioia più duratura dei divertimenti”.

Comunicare la fede vuol dire camminare insieme: “Noi che, pur fragili e peccatori, siamo stati inondati dal fiume in piena della bontà di Dio, abbiamo questa missione: incontrare i nostri contemporanei per far loro conoscere il suo amore. Non tanto insegnando, mai giudicando, ma facendoci compagni di strada. Come il diacono Filippo, che – raccontano gli Atti degli Apostoli – si alzò, si mise in cammino, corse verso l’Etiope e, da amico, gli si sedette accanto, entrando in dialogo con quell’uomo che aveva un grande desiderio di Dio in mezzo a molti dubbi”.

Il papa ha chiesto di ascoltare le domande: “Quant’è importante sentirci interpellati dalle domande degli uomini e delle donne di oggi! Senza pretendere di avere subito risposte e senza dare risposte preconfezionate, ma condividendo parole di vita, non mirate a fare proseliti, ma a lasciare spazio alla forza creatrice dello Spirito Santo, che libera il cuore dalle schiavitù che lo opprimono e lo rinnova. Trasmettere Dio, allora, non è parlare di Dio, non è giustificarne l’esistenza: anche il diavolo sa che Dio esiste!”

L’annuncio è gioia di un amore salvifico: “Alla luce di questo kerigma si sviluppa la vita di fede, che non è una costruzione complicata fatta di tanti mattoncini da mettere insieme, ma la scoperta sempre nuova del ‘nucleo fondamentale’, il battito palpitante del ‘cuore del Vangelo: la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto’.

La vita cristiana si rinnova sempre con questo primo annuncio. Mi piace ribadire davanti a voi che quando diciamo che questo annuncio è ‘il primo’, ciò non significa che sta all’inizio e dopo si dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo superano. E’ il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra, in tutte le sue tappe e i suoi momenti”.

Anche ai Carmelitani riuniti nel Capitolo generale papa Francesco ha indicato tre linee di cammino, dettate dal beato Tito Brandsma, sulla strada dell’evangelizzazione: “La Chiesa vi apprezza e, quando pensa al Carmelo, pensa a una scuola di contemplazione. Come attesta una ricca tradizione spirituale, la vostra missione è feconda nella misura in cui è radicata nella relazione personale con Dio…

La modalità carmelitana di vivere la contemplazione vi prepara a servire il popolo di Dio attraverso qualsiasi ministero e apostolato. La cosa certa è che, qualunque cosa facciate, sarete fedeli al vostro passato e aperti al futuro con speranza se, ‘vivendo in ossequio di Gesù Cristo’, avrete a cuore specialmente il cammino spirituale delle persone”.

Ed ha sottolineato di non dimenticare la preghiera: “Il Carmelo è sinonimo di vita interiore. I mistici e gli scrittori carmelitani hanno compreso che ‘stare in Dio’ e ‘stare nelle sue cose’ non sempre coincidono. Affannarsi per mille cose di Dio senza essere radicati in Lui, prima o poi ci presenta il conto: ci accorgiamo di averLo perso lungo la strada. Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, nelle sue famose lettere di Rinnovamento della Chiesa (1586), prevede che la ‘tiepidezza’ può insinuarsi nella vita consacrata quando i consigli evangelici diventano solo una routine e l’amore di Gesù non è più il centro della vita”.

Ed infine l’invito ad avere un cuore ‘compassionevole’: “Il contemplativo ha un cuore compassionevole. Quando l’amore si indebolisce, tutto perde sapore. L’amore, premuroso e creativo, è balsamo per coloro che sono stanchi e sfiniti, per quanti patiscono l’abbandono, il silenzio di Dio, il vuoto dell’anima, l’amore spezzato”.

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