‘Cacciateli!’: Concetto Vecchio racconta la migrazione italiana
Conoscere la storia richiede studi sistematici ma anche periodiche immersioni. Se la storia è memoria, ma non si può avere memoria diretta di ciò che non si è vissuto, non resta che un lavoro improbo, una paziente cucitura a mosaico di piccole e grandi testimonianza. E’ questo il principale merito di Concetto Vecchio, il quale, in chiave anche autobiografica in quanto la sua famiglia ne è stata direttamente testimone, racconta nel libro ‘Cacciateli! Quando i migranti eravamo noi’, la storia degli italiani in Svizzera.
Il lavoro di indagine restituisce storie di emancipazione ma anche testimonianze agghiaccianti, in una gerarchia degli orrori che parte dalle vedove bianche, che vedono i mariti due volte l’anno fino all’agognato ma talvolta impossibile ricongiungimento, agli ‘orfani bianchi’, bambini lasciati da parenti e conoscenti al sud che crescono senza genitori, affidati a Istituiti poco oltre confine, o peggio, portati clandestinamente in Svizzera e nascosti in una mansarda per anni.
L’autore, nato ad Aarau nel Canton Argovia, da genitori siciliani, parla di un argomento che ha vissuto sulla pelle. Il suo cammino a ritroso parte da una sua visita a Zurigo dopo tanti anni. Si rivede bambino al ritorno dall’asilo con la mamma Giuseppa che gli raccomanda: ‘Non facciamoci riconoscere dagli svizzerazzi, sennò arriva Schwarzenbach’. Il puzzle di ricordi si ricompone con il racconto dei genitori e l’aiuto di articoli di giornale e spezzoni di inchieste tv sui braccianti e sugli operai che prima dal settentrione e poi, in maniera ancora più massiccia dal sud, invadono la Svizzera.
Quindi all’autore abbiamo chiesto di spiegarci il motivo per cui ha scritto il libro: “Perché la storia del referendum contro gli italiani in Svizzera nel 1970 parla moltissimo all’Italia di oggi. Eravamo gli ultimi d’Europa, e gli ultimi emigravano. Tra loro c’erano i miei genitori che, poverissimi, avevano lasciato la Sicilia, nei primi anni ‘60, per cercare fortuna. Mi sono accorto che non sapevo quasi nulla della loro storia, e quasi nulla di questo referendum, e perciò ho sentito improvvisa l’urgenza di studiare la vicenda e di raccontarla in questo libro”.
Come erano considerati gli italiani dagli svizzeri?
“Gli italiani inizialmente, diciamo per tutti gli anni Sessanta, erano considerati soltanto come forza lavoro. Questo riguardava specialmente gli stagionali che vivevano nelle baracche, senza diritti. Non potevano portare con sé la famiglia, né i figli. Molti li portavano lo stesso e li nascondevano nelle soffitte. Se venivano scoperti venivano immediatamente espulsi. Una vicenda molto dolorosa dell’emigrazione in Svizzera. La legislazione del lavoro era precaria al massimo, perché gli svizzeri avevano paura che il loro boom cessasse”.
Si può considerare Nationale Aktion il primo partito anti-stranieri d’Europa?
“E’ il primo partito che in Europa promuove un referendum per espellere 300.000 stranieri, il 7 giugno 1970. La Nationale Aktion era un partitino di destra con scarso seguito; nel 1967 aveva eletto un unico deputato, l’editore James Schwarzenbach, rampollo di una dinastia industriale.
E’ Schwarzenbach a promuovere il referendum, contro tutti: giornali, establishment, padronato, sindacati. Sembra un’impresa senza alcuna possibilità di riuscita, ma con poche ed efficaci parole d’ordine, e grande abilità retorica, riesce a portare dalla sua parte metà del Paese”.
Come si articolò la campagna xenofoba di James Schwarzenbach?
“Schwarzenbach è il primo populista d’Europa. Coglie una nevrosi sociale. E’ un dandy che deve mascherarsi, per farsi capire dal popolo. Ha una grande capacità di controllo del linguaggio. Ripete continuamente: non siamo razzisti, siamo per gli svizzeri, perché capisce che deve aprirsi anche ai moderati, a un elettorato più ampio. Non a caso dice: ‘Dobbiamo spiegare agli elettori che noi intendiamo proteggere i valori di fondo della nazione: quelli ci premono, non riproporci come gli alfieri del razzismo nordico’.
Il 20 maggio 1969 annuncia di aver raggiunto le firme necessarie per fare indire il referendum contro gli stranieri: 70.292. 20.000 più del necessario. Propone di aggiungere nella Costituzione un articolo che stabilisce di ridurre dal 17% al 10% la percentuale di immigrati presenti nel territorio nazionale, fatta eccezione per il cantone di Ginevra, sede di numerose organizzazioni internazionali, che potrà mantenere un contingente del 25%.
Dalla limitazione sono esclusi gli stagionali (a cui è sempre fatto divieto di portare con sè i familiari), i frontalieri, i turisti, gli studenti universitari, i diplomatici. Il governo federale dovrà garantire in via prioritaria l’impiego dei cittadini elvetici -‘prima gli svizzeri’- e la naturalizzazione degli stranieri dovrà essere ammessa soltanto in casi limitati”.
Pochi anni dopo la tragedia di Marcinelle (8 agosto 1956), in Belgio, avvenne proprio in Svizzera un’altra catastrofe: una valanga che alle 17.15 di lunedì 30 agosto 1965 investì il cantiere per la costruzione della diga di Mattmark, in Svizzera. I morti accertati furono 88: 56 italiani, 23 svizzeri, 4 spagnoli, 2 tedeschi, 2 austriaci e un apolide. Quale memoria hanno oggi gli italiani di queste tragedie?
“In Italia oggi si tende a dimenticare i sacrifici degli emigrati. Sono emigrati 30.000.000 italiani nel mondo dal 1860. E 2.000.000 sono andati in Svizzera. Eravamo poverissimi e vittime di razzismo, pregiudizio e ostilità. In Svizzera comparivano i cartelli ‘non si affitta a cani e italiani’. Serve uno sforzo di memoria per ricordarci delle nostre origini, specie in questi tempi così difficili per chi crede nei valori della convivenza”.