Il papa invita a collaborare alla salvezza di Dio

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Nel sesto anniversario del naufragio di migranti a Lampedusa papa Francesco ha celebrato nella basilica di san Pietro una messa con 250 rifugiati in suffragio dei morti nel naufragio a Lampedusa nel 2013, affermando che la Parola di Dio è solo di liberazione e di salvezza, come narra la vicenda di Giacobbe nel sogno della ‘scala’:

“La scala, sulla quale salgono e scendono gli angeli di Dio, rappresenta il collegamento tra il divino e l’umano, che si realizza storicamente nell’incarnazione di Cristo, offerta amorosa di rivelazione e di salvezza da parte del Padre. La scala è allegoria dell’iniziativa divina che precede ogni movimento umano.

Essa è l’antitesi della torre di Babele, costruita dagli uomini che, con le proprie forze, volevano raggiungere il cielo per diventare dèi. In questo caso, invece, è Dio che ‘scende’, è il Signore che si rivela, è Dio che salva. E l’Emmanuele, il Dio-con-noi, realizza la promessa di mutua appartenenza tra il Signore e l’umanità, nel segno di un amore incarnato e misericordioso che dona la vita in abbondanza”.

Anche il Salmo, ha precisato il papa, Dio è rifugio per chi invoca il Suo aiuto: “E’ Lui il nostro rifugio e la nostra fortezza, scudo e corazza, àncora nei momenti di prova. Il Signore è riparo per i fedeli che lo invocano nella tribolazione.

Del resto è proprio in questi frangenti che la nostra preghiera si fa più pura, quando ci accorgiamo che valgono poco le sicurezze che offre il mondo e non ci resta che Dio. Solo Dio spalanca il Cielo a chi vive in terra. Solo Dio salva. E questo totale ed estremo affidamento è ciò che accomuna il capo della sinagoga e la donna malata nel Vangelo”.

Il papa ha citato numerosi episodi biblici di liberazione dei ‘poveri’: “Sono episodi di liberazione. Entrambi si avvicinano a Gesù per ottenere da Lui ciò che nessun altro può dare loro: liberazione dalla malattia e dalla morte.

Da una parte abbiamo la figlia di una delle autorità della città; dall’altra abbiamo una donna afflitta da una malattia che fa di lei una reietta, una emarginata, una persona impura. Ma Gesù non fa distinzioni: la liberazione è elargita generosamente in entrambi i casi. Il bisogno pone entrambe, la donna e la fanciulla, tra gli ‘ultimi’ da amare e rialzare”.

Questa è la scelta della Chiesa, sottolineata anche da papa san Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica ‘Vita consecrata’: “Gesù rivela ai suoi discepoli la necessità di un’opzione preferenziale per gli ultimi, i quali devono essere messi al primo posto nell’esercizio della carità”.

Ed il ricordo ritorna alla sua prima visita a Lampedusa: “In questo sesto anniversario della visita a Lampedusa, il mio pensiero va agli ‘ultimi’ che ogni giorno gridano al Signore, chiedendo di essere liberati dai mali che li affliggono.

Sono gli ultimi ingannati e abbandonati a morire nel deserto; sono gli ultimi torturati, abusati e violentati nei campi di detenzione; sono gli ultimi che sfidano le onde di un mare impietoso; sono gli ultimi lasciati in campi di un’accoglienza troppo lunga per essere chiamata temporanea”.

Ma i migranti sono solo una ‘categoria’ per il papa, che non dimentica chi vive ai margini delle città: “Essi sono solo alcuni degli ultimi che Gesù ci chiede di amare e rialzare. Purtroppo le periferie esistenziali delle nostre città sono densamente popolate di persone scartate, emarginate, oppresse, discriminate, abusate, sfruttate, abbandonate, povere e sofferenti”.

Il Vangelo non fa distinzioni tra sofferenti, richiamando il nucleo centrale del messaggio evangelico, quali sono le Beatitudini: “Nello spirito delle Beatitudini siamo chiamati a consolare le loro afflizioni e offrire loro misericordia; a saziare la loro fame e sete di giustizia; a far sentire loro la paternità premurosa di Dio; a indicare loro il cammino per il Regno dei Cieli.

Sono persone, non si tratta solo di questioni sociali o migratorie! ‘Non si tratta solo di migranti!’, nel duplice senso che i migranti sono prima di tutto persone umane, e che oggi sono il simbolo di tutti gli scartati della società globalizzata”.

Concludendo l’omelia il papa è ritornato a ribadire che la scala di Giacobbe indica che la salvezza è accessibile a tutti, grazie al Figlio di Dio: “In Gesù Cristo il collegamento tra la terra e il Cielo è assicurato e accessibile a tutti. Ma salire i gradini di questa scala richiede impegno, fatica e grazia. I più deboli e vulnerabili devono essere aiutati.

Mi piace allora pensare che potremmo essere noi quegli angeli che salgono e scendono, prendendo sottobraccio i piccoli, gli zoppi, gli ammalati, gli esclusi: gli ultimi, che altrimenti resterebbero indietro e vedrebbero solo le miserie della terra, senza scorgere già da ora qualche bagliore di Cielo”.

Quindi è responsabilità del cristiano collaborare al piano di salvezza di Dio: “Si tratta di una grande responsabilità, dalla quale nessuno si può esimere se vogliamo portare a compimento la missione di salvezza e liberazione alla quale il Signore stesso ci ha chiamato a collaborare”.

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