Firenze dà l’ultimo saluto a Franco Zeffirelli

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Oltre 2.000 persone a Firenze hanno dato l’ultimo ‘saluto’ a colui che è stato ‘un protagonista universale dell’arte’, come ha ricordato l’arcivescovo di Firenze, il card. Giuseppe Betori, che per il regista ha espresso parole commosse di ricordo: “Ognuno ha i suoi ricordi: uno lo ha anche chi vi parla, che non può dimenticare che il giorno in cui giunse vescovo in questa città trovò Franco Zeffirelli ad accoglierlo ai piedi dell’immagine di Maria cara a tutti i fiorentini, quella della Ss.ma Annunziata.

So che nel giorno del mio ingresso egli volle a tutti i costi avere la possibilità di dirmi benvenuto in questa sua città che stava per diventare anche la mia, e questo avvenne sotto lo sguardo di Maria, immagine di quella maternità che a lui era stata troppo presto negata. Per me fu un segno che Firenze mi avrebbe voluto bene, nella sua Madre e nei suoi figli, di cui quell’uomo, così illustre e famoso nel mondo, si faceva interprete”.

Nell’omelia il card. Betori ha ricordato le sue parole di fede di fronte alla morte: “Non sono parole di una fede debole, al contrario. Esse riflettono sentimenti che i vangeli riconoscono nel cuore stesso di Gesù, che, nell’approssimarsi alla morte, giunge a chiedere al Padre che gli sia risparmiato il calice amaro della sofferenza, e che teme il distacco dai suoi discepoli.

La morte è cosa seria e chi ha fatto esperienza profonda e ricca della vita non può non sentire il peso delle cose che finiscono. Di fronte a questo strappo, in particolare quando ci priva di persone che ci sono care, c’è solo dolore e una profonda inquietudine per un senso che sembra mancare. Quello che chiediamo alla fede in questo momento è il dono di un significato, di una luce che ci permetta di attraversare questo buio sfuggendo all’angoscia e al tormento”.

Ed ecco la fede del regista fiorentino, che non arresta il pensiero davanti alla morte: “La risposta che Gesù ci offre, quella che offre ai suoi discepoli nella pagina del vangelo, un dialogo che precede di poco la sua Passione, è anzitutto una prospettiva di condivisione: anch’egli si appresta a entrare nel mistero della morte e quella che è la sorte di ogni uomo diventerà anche il suo destino, per di più nell’atroce supplizio della croce.

Ma, accanto a questo suo rassicurante farsi nostro compagno fino al fondo della vita, egli annuncia anche che oltre la morte si apre per lui e per tutti noi un’altra condivisione, quella della casa sua e del Padre suo, in cui egli va a preparare un posto per ciascuno di noi”.

Ricordando le parole del regista nell’invito a sperare, perché la fede è un ‘dono’, l’arcivescovo di Firenze ha sottolineato: “Nel condividere questa esplicita affermazione di fede, non vogliamo però che ci sfugga anche la concretezza della persona che oggi affidiamo alle braccia del Padre.

Il momento del distacco può diventare momento di malinconia, di rimpianto, ma nella fede deve diventare ricordo grato. La vita di un uomo è un dono che ci è stato dato e che ha inciso nel cammino di ciascuno di noi, per il quale ciascuno in questo momento è invitato a dire grazie al Signore che ce lo ha fatto incontrare, per la sua irripetibile persona e per ciò che attraverso di lui ci è giunto di bene“.

Ed ha ricordato anche il suo lato artistico: “La vita che Franco Zeffirelli porta con sé davanti al Signore è quella di un uomo di cultura, di un artista. Nell’espressione culturale e artistica la Chiesa riconosce una modalità alta della vocazione dell’uomo alla trascendenza e quindi un’esperienza che si intreccia con il cammino della fede…

Di qui la grandezza dell’arte e della missione che le è affidata, di cui Franco Zeffirelli è stato un protagonista universale. Di qui l’attenzione che la Chiesa riserva agli artisti, grata per come attraverso le loro opere l’uomo venga richiamato ai suoi interrogativi più profondi e indirizzato verso un oltre che lo svincoli dalle miserie del consumismo e dell’utilitarismo”.

Ed ha affidato al Signore la sua ‘fiorentinità’: “Al Signore Gesù Franco Zeffirelli consegna anche la sua radicata fiorentinità. Solo chi è o diventa davvero fiorentino può comprendere la grazia e il tormento di essere impregnato della storia grande e del carattere complesso di questa città. Tutto questo il maestro ha espresso in una vita che ha portato lui e le sue opere in tutti gli angoli del mondo, ma in cui egli si è sempre sentito figlio di questa città, ne è stato testimone del suo volto più bello e glorioso, quello rinascimentale. Per questo la città, anche accogliendolo per l’ultimo suo saluto nella sua cattedrale, oggi gli manifesta gratitudine, orgogliosa di lui”.

Le esequie sono terminate con un lungo applauso e con le note di ‘Dolce sentire’, il canto tratto dal suo film ‘Fratello sole, sorella luna’. E nei giorni successivi alla morte è stata ripresa una sua testimonianza al Movimento per la Vita del 1993: “Il privilegio di portare la vita è un privilegio che gli uomini non hanno: noi siamo inferiori alle donne per questo. Il miracolo di sentir germogliare nel proprio ventre una nuova vita, il vederla sbocciare e vederla venir su rende voi donne più forti.

Anche se alla fine i figli vi deludono, gli anni della creazione della vita nessuno ve li toglierà mai e in qualunque momento della vostra esistenza, quando la pena del mondo, l’abbandono degli affetti vi cadrà sulle spalle, ripercorrerete certamente col pensiero, col cuore quei meravigliosi mesi in cui avete creato una vita. Che poi quello sia divenuto un assassino, un papà, non importa. Ed è strano che sia io a dire queste cose, io che non sono né padre né madre né niente? Sono solo figlio. Di più, sono un aborto mancato.

Avrei dovuto essere abortito perché nascevo da due persone che erano entrambe sposate: lui aveva una famiglia bella e pronta, lei aveva tre figli ed erano tutti e due al tramonto dell’età delle frizzole. E invece si innamorarono pazzamente e mia madre rimase incinta. Tutti naturalmente le consigliarono di abortire. Il marito era moribondo, quindi non c’era neppure la possibilità di nascondere la gravidanza illegittima. Mio padre da buon galletto andava dicendo in giro che questo figlio era suo, però non faceva niente. Ma la gravidanza andò ugualmente avanti…

Mia madre l’ho persa che avevo sette anni, però sono rimasto impregnato del suo amore. Quando qualcuno ti ha amato veramente tanto e tu l’hai amato, questo amore, questa fiammella, questa fiaccola non si spegne mai, ti è sempre accanto. Siamo fatti di spirito, chi ci crede; io ci credo profondamente perché la vita mi ha dato continue verifiche di non essere un ammasso di cellule ma di essere un corpo che alloggia temporaneamente uno spirito che è la frazione del grande Creatore, di Dio a cui torneremo”.

Ed ha ricordato il suo incontro con Giorgio La Pira: “A scuola tutti sapevano che il mio babbo si chiamava NN e mia mamma si chiamava NN. Quindi era tutto uno sfottò, anche se innocente perché veniva da bambini che non sanno. Un giorno ci fu una rissa nel convento di san Marco, dove io frequentavo l’Azione Cattolica e dove viveva una persona molto importante, molto curiosa, che ogni tanto arrivava con i suoi libri e i suoi occhialoni. Era Giorgio La Pira.

Lui insegnava storia del diritto romano e viveva lì come un frate laico, ma stava molto con noi, ci guardava e ogni tanto interveniva dicendo: ‘La Madonna. Quando avete un problema c’è sempre la Madonna, la Madonna! Salva tutto la Madonna’. Quel giorno ci vide picchiarci e chiese che stava succedendo… A quel punto io mi impappinai definitivamente, perché sapevo come nascevano i figlioli, ma non volevo attribuirlo a Dio.

Allora mi aiutò lui: ‘Perché lo Spirito divino è disceso nella carne, nel ventre di questa donna e si è incarnato. Hai capito? Quindi non vergognarti mai. La maternità è sempre santità. Qualunque cosa dicano di tua madre, tu la devi pensare sempre come una santa perché è come la Madonna, e quando avrai bisogno di qualcosa nella vita prega la Madonna e pregherai tua madre’… Da quel giorno il problema di mia madre, della sua moralità, del suo atteggiamento e amore verso di me non l’ho più avuto”.

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