Alcide De Gasperi, il primo presidente della Repubblica Italiana
Il 19 agosto 1954 moriva a Borgo Valsugana Alcide De Gasperi, che da giovane aderì al Partito Popolare; arrestato sotto il fascismo nel dicembre del 1945 fu nominato presidente del Consiglio dei Ministri, l’ultimo del Regno d’Italia. Durante tale governo fu proclamata la Repubblica e perciò fu anche il primo capo di governo dell’Italia repubblicana, guidando un governo di unità nazionale, che durò fino al 1947 allorquando il presidente degli Stati Uniti Harry Truman ordinò l’espulsione dei partiti socialcomunisti dai governi dell’Europa Occidentale.
Quindi dall’esilio di Umberto II, avvenuto il 13 giugno del 1946, allorché il consiglio dei ministri da lui presieduto aveva proceduto alla proclamazione della repubblica prima che la Corte di cassazione ratificasse i risultati definitivi del referendum del 2 e 3 giugno, alla sua carica fu connessa la funzione accessoria di capo provvisorio dello Stato. I poteri accessori della Presidenza del Consiglio ebbero termine contestualmente all’elezione di Enrico De Nicola come Capo provvisorio dello Stato il 28 giugno da parte dell’Assemblea Costituente.
Questo breve lasso di tempo è stato ben tratteggiato dal presidente della fondazione trentina ‘Alcide De Gasperi’, prof. Giuseppe Tognon, docente di filosofia e storia dell’educazione all’università cattolica LUMSA di Roma, nel volume curato da Sabino Cassese, Giuseppe Galasso e Alberto Melloni, ‘I presidenti della Repubblica. Il Capo dello Stato e il Quirinale nella storia della democrazia italiana’.
Nel capitolo a lui dedicato il professore delinea la figura dello statista in quel difficile periodo post bellico: “De Gasperi dovette gestire una difficile transizione istituzionale, la cui importanza non era tuttavia maggiore di quanto lo fosse la ben più grave questione della ricostruzione del Paese e della riconquistata autonomia sulla scena internazionale.
La Conferenza di pace, nella quale De Gasperi pronunciò il famoso discorso del ‘tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me’, si sarebbe aperta solo nell’agosto 1946 a Parigi”. Secondo il presidente della fondazione trentina a lui dedicata De Gasperi fu il perno del sistema politico italiano:
“Il ruolo svolto da De Gasperi nell’avvio della storia repubblicana non può essere ricondotto soltanto a motivi personali, soggettivi o di opportunità immediata, ma va analizzato alla luce della storia politica nazionale che presenta la caratteristica di essere sempre stata ossessionata da un’esigenza di moderatismo che non riusciva a tradursi in un completo disegno riformatore, così da lasciare campo aperto a fughe in avanti o a polemiche dal profilo più letterario e astratto che sostanziale.
La fortuna dell’Italia fu che su questo giudizio di fondo si ritrovarono, da sponde opposte, sia De Gasperi sia Palmiro Togliatti, il capo dei comunisti, e che in quei primi anni postbellici, almeno fino al 1948, il campo politico tra i due era occupato da uno spettro ampio di forze sociali e di gruppi politici che, sedendosi al tavolo del potere, evitarono tra i due principali partiti l’apertura di uno scontro diretto che sarebbe stato devastante se fosse avvenuto prima che il Paese non avesse recuperato un minimo di esperienza democratica.
De Gasperi seppe gestire un modello politico interclassista senza permettergli di scadere in un progetto politico tipicamente conservatore: ebbe la pazienza di aspettare che parte dell’elettorato italiano più esposto alle conseguenze della guerra e che più faticava a riprendersi dal torpore e dall’annichilimento in cui un regime burocratico e retorico come quello del fascismo lo aveva condotto”.
Secondo De Gasperi la democrazia sono i popoli, come è evidenziato nel suo Testamento politico del 1943, che dimostra il suo ‘spirito patriottico’ europeo: “Chi, dopo così disastrosa vicenda e così tragico crollo, darà la sua opera alla ricostruzione dello Stato italiano, avrà la sensazione precisa, avvalorata dalla storica esperienza, che compito sopra ogni altro inderogabile è quello di ricostituirlo in libertà.
Fissi gli occhi a questa meta irremovibile, il ricostruttore non s’indugerà in discussioni ideologiche alla ricerca dello Stato ideale, né d’altro canto si lascerà turbare dai miti d’una palingenesi rivoluzionaria. Animate invece da sereno (e ottimistico) realismo, data mano a quella forma migliore di governo che più s’adatti alle condizioni morali e sociali del popolo italiano nel nuovo periodo storico del dopoguerra continentale e mondiale”.
Ed il prof. Tognon ha concluso il saggio dedicato a De Gasperi, affermando che il cattolicesimo democratico deve riscoprire quella lezione del suo breve periodo di presidente della Repubblica: “Il cattolicesimo democratico italiano ha in De Gasperi un riferimento che non si può aggirare e proprio la storia di quel giugno 1946, di quella presidenza breve di una Repubblica appena nata, è il simbolo della proiezione istituzionale degasperiana, che abbracciava l’Europa occidentale…
Si può concludere che sul piano dei principi costituzionali e soprattutto di quella costituzione morale che per i cattolici non è meno importante di quella giuridica, De Gasperi vinse su tutti i fronti: nessuno dopo di lui tentò mai di mettere in discussione il primato della laicità dello Stato e insieme il principio che le responsabilità politiche per un cristiano sono sempre personali, da sottoporre al vaglio della storia, certo, ma prima di tutto della coscienza illuminata dalla fede”.