Siria: continua l’ecatombe

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Durante l’Angelus di domenica scorsa papa Francesco ha invitato i fedeli a pregare per la pace in Siria: “In questi giorni il mio pensiero è spesso rivolto all’amata e martoriata Siria, dove la guerra si è intensificata, specialmente nel Ghouta orientale. Questo mese di febbraio è stato uno dei più violenti in sette anni di conflitto: centinaia, migliaia di vittime civili, bambini, donne, anziani; sono stati colpiti gli ospedali; la gente non può procurarsi da mangiare…

Fratelli e sorelle, tutto questo è disumano. Non si può combattere il male con altro male. E la guerra è un male. Pertanto rivolgo il mio appello accorato perché cessi subito la violenza, sia dato accesso agli aiuti umanitari (cibo e medicine) e siano evacuati i feriti e i malati”.

E nei giorni scorsi il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite ha approvato all’unanimità una risoluzione che prevede un cessate il fuoco ‘di almeno 30 giorni’ per la Siria, che sia ‘senza ritardi’, dopoché il segretario generale dell’Onu, António Guterres, aveva definito infernale la situazione nell’area del Ghouta orientale, chiedendo la sospensione immediata di tutte le attività belliche nel sobborgo orientale di Damasco dove sono morte centinaia di persone tra cui numerosi bambini.

Inoltre, l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Zeid Ràad Al Hussein, ha denunciato una realtà inaccettabile: “I feriti devono affrontare una morte lenta e dolorosa senza assistenza medica”. Infatti dai primi dati raccolti, si contano 1285 feriti dal 18 febbraio e sei ospedali sono stati colpiti dai bombardamenti nell’area siriana sotto assedio, che il governo di Damasco ha definito una roccaforte di ribelli in mano solo a jihadisti.

Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef Italia, ha parlato anche di ‘continua strage di innocenti’: “E’ un eccidio peggiore di quello di Aleppo: centinaia di bambini sono rimasti uccisi dalle bombe o rischiano di morire per le conseguenze dell’assedio che si protrae da tempo… Dobbiamo dire basta a questo massacro: la guerra non è finita e l’indignazione a intermittenza non è bastata per fermare questa strage di bambini… I piccoli, ovunque essi siano in Siria, devono essere protetti da tutti”.

Inoltre l’Unicef ha ribadito che nell’area del Ghouta orientale ‘mancano i servizi fondamentali: i beni di prima necessità come cibo, acqua e medicine, scuole e ospedali’. Quindi a 7 anni dall’inizio del conflitto si combatte in tutto il Paese, tantoché la comunità salesiana presente a Damasco ha fatto sapere di aver sospeso tutte le attività ‘al fine di salvaguardare l’incolumità di bimbi e ragazzi’.

I cooperanti dell’Operazione Colomba, il corpo nonviolento della Comunità Papa Giovanni XXIII, che da settembre 2013 è presente in Libano, nel campo profughi del villaggio di Tel Abbas, Akkar, nel nord del paese, a 5 chilometri dalla Siria, hanno avanzato una proposta di pace per i profughi siriani:

“Proponiamo una zona umanitaria disarmata, sotto protezione internazionale, senza presenza di gruppi armati e nessun ministero del regime siriano di Damasco. E’ una zona esclusivamente per civili che sono stati sfollati dal regime dal territorio siriano. All’inizio della rivoluzione siriana nel 2011, il numero di rifugiati in Libano non ha superato il numero di poche migliaia di persone.

Il numero si è mantenuto tale fino a marzo 2013, quando le forze governative siriane, insieme a quelle alleate di Hezbollah non sono intervenute in Siria, nella città di Qusayr; l’operazione militare non solo ha distrutto gran parte della città: ha causato la fuga forzata dei siriani che ci vivevano (non solo i suoi abitanti, ma anche i cittadini provenienti dalla provincia di Homs, a loro volta fuggiti dalla persecuzione del Regime).

Queste operazioni militari sono continuate lungo il confine orientale del Libano, dove le persone sono state cacciate dalle proprie e case e terre, confiscate loro. In pochi giorni la crisi dei rifugiati siriani ha avuto inizio in Libano. Il numero di profughi siriani registrati da Unhcr è cresciuto di un milione, e ha continuato ad alzarsi con ogni operazione militare condotta dalle forze del regime e dagli alleati di Hezbollah in aree dove le proteste dei Siriani avevano domandato per libertà e diritti.

Fino ad oggi, queste aree sono sotto il controllo del regime e di Hezbollah, per lo più svuotate della loro popolazione: i proprietari di queste terre sono costretti a vivere a pochi kilometri di distanza, all’interno dei confini libanesi, causando una crisi di sovrappopolazione per il governo e il popolo libanese”.

Alla base della proposta c’è la creazione di una zona umanitaria disarmata, da creare nella fascia di terra che va a nord da Qusayr a Yabroud, a Sud dal confine Libanese, a Ovest dal confine che precede le autostrade di Damasco e da Homs a Est. Questo perché tra il 60% e il 70% dei rifugiati siriani in Libano proviene proprio da quest’area e le loro terre sono ora disabitate:

“La creazione di una zona sicura abitata da civili, in questa area particolare, porterebbe al ristabilimento di relazioni sociali, commerciali e umanitarie tra i residenti di tale area e la popolazione libanese abitante sul confine. Permetterebbe di restituire la fiducia e l’integrazione sociale che intercorrevano tra le due popolazioni prima della rivoluzione siriana, risolvendo le ostilità nate dopo le operazioni militari. Inoltre, la creazione di quest’area limiterebbe sensibilmente la migrazione dei siriani in Europa e la loro fuga dalla Siria”.

Infine hanno sottolineato gli obiettivi della proposta di pace: tra gli scopi della proposta c’è il ritorno di un largo numero di rifugiati siriani alla loro terra dal Libano e da altri paesi, grazie alle misure di sicurezza garantite al suo interno: “Lavorare per il ritorno dei rifugiati dai paesi di asilo vicini e lontani.

Alcuni vivono ora in Europa a cause delle condizioni di povertà affrontate in Libano e per la mancanza di speranze di un ritorno alla loro terra in condizioni di sicurezza. Coinvolgere i giovani su educazione e sensibilizzazione in modo da sradicare le idee di estremismo, fanatismo e terrorismo, che l’Isis, e altri gruppi estremisti promuovono tra le giovani generazioni.

Infine, riguardo l’aspetto economico: investire le energie e le risorse finanziarie sui giovani, assicurando progetti di investimento, contribuendo a costruire un futuro sicuro e impedendo il lavoro illegale per guadagnarsi da vivere”.

Terre des Hommes Italia ha chiesto a tutte le parti in conflitto di fermare gli scontri e lasciare il posto all’azione umanitaria: “L’escalation della violenza in atto in tutto il Paese sta esponendo tutti i bambini a pericoli quotidiani inaccettabili e a gravi traumi a lungo termine.

Il quadro è drammatico e si inserisce all’interno di un contesto di emergenza che perdura da anni e che ha visto oltre 400.000 decessi negli ultimi 5 anni. A queste cifre impressionanti si aggiungono 14.900.000 persone bisognose di assistenza umanitaria; 6.300.000 sfollati (di cui 2.800.000 minori); più di 5.000.000 rifugiati siriani nei Paesi limitrofi”.

Nel frattempo il Centro Astalli ha esortato i media italiani e la società civile a tenere alta l’attenzione su un conflitto che continua ogni giorno a uccidere civili inermi. “Un’ecatombe che si svolge sempre più nell’indifferenza della comunità internazionale e che richiede invece ogni sforzo possibile da parte di tutti per avviare finalmente processi di pace per il bene di una società civile evidentemente allo stremo”.

Ed anche per Amnesty International i bombardamenti contro i civili cono crimini di guerra, come ha sottolineato Diana Semaan, ricercatrice di Amnesty International sulla Siria: “Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite deve far applicare le sue stesse risoluzioni che chiedono la fine degli assedi delle zone abitate dai civili, la cessazione degli attacchi nei loro confronti e l’accesso senza ostacoli degli aiuti umanitari.

Gli stati membri permanenti, Russia inclusa, non dovrebbero impedire l’adozione di misure per porre fine a queste atrocità di massa… Tutte le parti che prendono parte al conflitto siriano devono rispettare i loro obblighi di diritto internazionale umanitario e garantire tanto un passaggio sicuro ai civili che vogliono lasciare l’area sotto i bombardamenti quanto l’ingresso privo di ostacoli delle organizzazioni umanitarie, in modo che possano fornire aiuti vitali alle centinaia di migliaia di persone della Ghuta orientale che ne hanno bisogno”.

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