L’Italia aumenta l’export di armi
A metà gennaio è stato presentato il Rapporto MIL€X, che traduce al grande pubblico i bilanci previsionali del Ministero della Difesa, secondo il quale la spesa militare italiana continua a crescere: per il 2018 è prevista una spesa di € 25.000.000.000, pari all’1,4% del PIL, con un aumento del 4% rispetto al 2017 ed ad un +8,6% rispetto alla spesa previsionale che era stata fatta per il 2015 ed un rilevante +25,8% rispetto al 2006.
Secondo il rapporto, curato da Enrico Piovesana e Francesco Vignarca, nell’anno in corso la spesa militare complessiva andrà per il 60% al personale, per il 13% per l’esercizio e per il 28% per gli investimenti in armamenti e infrastrutture; mentre per l’acquisto di nuovi armamenti la spesa si aggira intorno ad € 5.700.000.000 (+7% nell’ultimo anno e +88% nelle ultime tre legislature): fra i programmi di riarmo nazionale in corso, i più ingenti riguardano le nuove navi da guerra della Marina (tra cui la nuova portaerei Thaon di Revel), i nuovi carri armati ed elicotteri da attacco dell’Esercito e i nuovi aerei da guerra Typhoon e F-35.
Per quanto riguarda le missioni militari all’estero il costo ufficiale della partecipazione in Afghanistan a partire dal novembre 2001 (Enduring Freedom fino al 2006, ISAF fino 2014, Resolute Support dal 2015) è di € 6.500.000.000, a cui vanno aggiunti i costi extra delle missioni, arrivando ad oltre € 7.800.000.000 in 16 anni, a fronte di € 280.000.000 investiti nel Paese in iniziative di cooperazione civile.
Per la missione in Iraq, sempre considerando nel calcolo tutti i costi extra della missione, 14 anni di impegno militare italiano sono costati al contribuente italiano quasi € 3.000.000.000, a fronte di una spesa di € 400.000.000 per iniziative di cooperazione e assistenza civile: ‘un rapporto di 1 a 7 emblematico della scelta politica nettamente militarista fatta dai governi italiani’, scrive il Rapporto.
Lo stanziamento per le missioni 2018 (deliberato dal Consiglio dei Ministri il 28 dicembre 2017 e approvato dal Parlamento a Camere sciolte il 17 gennaio 2018) ammonta ad € 1.028.000.000, invariata rispetto all’anno precedente. Salgono i costi per la missione in Libia (+7%), per la missione NATO in Lettonia (+15%) e soprattutto l’avvio della nuova missione in Niger.
Inoltre, dopo due anni e mezzo di sospensione, nel 2017 è ripreso a pieno ritmo il programma di acquisizione dei 90 cacciabombardieri americani F-35 Joint Strike Fighter: 60 in versione convenzionale e 30 in versione a decollo corto e atterraggio verticale da imbarcare sulla portaerei Cavour e sulla gemella, prossima ventura, Thaon di Revel.
15 gli aerei sono già stati acquistati (dieci già consegnati, cinque ordinati) e nell’anno in corso saranno ordinati altri tre e firmati contratti per € 727.000.000.
Un altro approfondimento del Rapporto riguarda proprio i costi della ‘servitù nucleare’ legata alle spese di stoccaggio e sorveglianza delle testate atomiche tattiche americane B-61 nelle basi italiane (€ 23.000.000 solo per l’aggiornamento delle apparecchiature di sorveglianza esterna e dei caveau contenti le venti B-61 all’interno degli undici hangar nucleari della base bresciana) e alle spese di stazionamento del personale militare USA addetto e di mantenimento in prontezza di aerei e piloti italiani dedicati al ‘nuclear strike’.
Attualmente sono in corso oltre 30 conflitti armati di grandi dimensioni nel mondo, secondo l’Uppsala Conflict Data Program (UCDP), programma del Peace Research Institute di Oslo e l’Italia delle armi non fa altro che fomentare questo tragico quadro. Gli articoli ‘Made in Italy’ più venduti sono carri armati, aerei, elicotteri, navi, artiglieria, bombe, missili, siluri, fucili, munizioni e armi chimiche antisommossa (venduti ai corpi di polizia di Spagna, Romania, Brasile, Bangladesh, fra gli altri).
L’azienda più forte è quella con partecipazione statale, la Finmeccanica, che è al 9º posto nella produzione mondiale di armi e le sue filiali: Agusta Westland, Alenia Aeronautica, Selex, Mbda.