Natale a Shanghai: una festa infestata
Mi trovo per lavoro a Shanghai, Cina. Devo subito dire che Shanghai mi piace, non so neanche bene perche’. Ha un fascino tutto suo, come di quelle persone che sembrano possedere un’aura che magari non tutti riescono a vedere. Io, in Shanghai,quest’aura la vedo. Sto scrivendo queste righe alla vigilia di Natale ma qui il Natale e’ un giorno come un altro, o forse no. Gia’, sono indeciso se giudicarlo in un modo o nell’altro perche’ in effetti I segnali che mi vengono da fuori sono ambigui e andrebbero letti con un pochino piu’ di prudenza. Certamente, non c’e’ l’atmosfera del Natale religioso, quell’atmosfera che, come sappiamo bene, non e’ poi cosi’ viva oramai anche nel nostro sazio occidente. Ma, come nel nostro occidente, il Natale consumistico, quello materialistico, e’ qui ben vivo e presente. Anche nell’albergo dove alloggio fa bella figura l’albero di Natale con tutte le luminarie al loro posto. E in ristoranti e shopping mall e’ un tripudiare festante di “Silent Night” e “Angels we have heard on high”. Gli angeli che “abbiamo ascoltato cantare la gloria del nuovo Re dal cielo”, intonano il loro “Gloria in Excelsis Deo” tramite qualche cantante Americano o giu’ di li’.
Gia’, questa Gloria a Dio sembra vagare in cieli in cui qui non ci si avventura piu’ di tanto. Ai piedi di molti alberi di Natale c’e’ una casa, sempre Bianca, che da noi sarebbe la casa del Presepe. Ma qui la casa e’ vuota o abitata solo da Babbo Natale e da una vecchia signora che credo rappresenti qualcosa di simile alla nostra Befana. Il Natale e’ una festa gestita dai potentati economici, dai signori dei consumi che ci vedono un’altra occasione per fare cassa. Ma e’ molto diverso da noi? Come sappiamo, non lo e’. Camminando per queste strade, mi soffermo spesso sui volti dei passanti, volti di persone che sono stati cresciuti in una cultura cosi’ diversa dalla mia e che pure tanto mi affascina. Il freddo che si percepisce in questa stagione ci avvolge tutti facendoci sembrare piu’ fragile ed indifesi. Ieri ho visto un ragazzo, uno studente, che al collo portava una croce.
Sapendo che, come ci insegnano anche divi occidentali che sfoggiano croci al collo di enorme valore economico, a volte questo e’ soltanto un segno estetico ma non estatico (nel senso di voler andare fuori di se stessi, verso qualcos’altro) mi interrogavo su cosa quell ragazzo cinese pensasse quel segno rappresentasse. Forse era credente? Forse. Ma dopo qualche ora di pensieri vagabondi ho cominciato a meditare sul fatto che in fondo anche i segni estetici hanno un significato molto importante: sono una sorta di percezione collettiva su una assenza, una assenza che forse a livello individuale non viene sentita ma che a livello sociale e’ probabilmente operante a livello di inconscio collettivo.
L’inconscio, quella parte di noi che ci influenza anche se non ne siamo consapevoli…cosa vorra’ dire a livello collettivo questa presenza di simboli che vanno riferiti in ultima analisi a fenomeni religiosi ma che vengono resi in contesti non religiosi? Non voglio fare una facile apologetica, ma certamente quella croce al collo dello studente cinese si staglia ed irradia molto piu’ in profondita’ delle sue piccolo dimensioni. Qui il Presepe e’ sempre vuoto ed e’ solo forma. Alla festa non partecipa il festeggiato, essa e’ infestata (In, contro + Fendere, spingere), cioe’ viene agita contro le sue finalita’ originarie. Ma se pure il festeggiato non e’ presente, e’ comunque presente nella sua assenza. Qui si vive il Natale come un lungo peregrinare attorno al sepolcro vuoto, in attesa di qualche risurrezione. Ma cio’ che inquieta e’ che non si percepisce questa “imminenza di attesa”, come direbbe Clemente Rebora.
Tutti sembrano indifferenti o forse ci vogliono altri occhi per vedere come le cose evolvono in questa parte del mondo, un animo pronto ad accettare di non sapere ne’ il giorno ne’ l’ora. Per che cosa? Cosa sara’ di questo paese in vent’anni? Queste sono le domande a cui per il momento non saprei rispondere.
