L’Italia delle diseguaglianze rinuncia alla salute

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Anche nella salute l’Italia è ‘diseguale’ secondo il primo report scientifico ‘L’Italia per l’equità nella salute’ che il ministero ha chiesto di realizzare all’Inmp (Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti ed il contrasto delle malattie della povertà), all’Istituto superiore di sanità, all’Agenas e all’Aifa, presentato a Roma: il 7,8% degli italiani, cioè 5.000.000 cittadini, pur avendone bisogno, ha dovuto rinunciare ad una o più visite specialistiche o a trattamenti terapeutici per mancanza di soldi.

Secondo l’indagine la longevità è aiutata dall’istruzione e dal genere: due caratteristiche che nel periodo 2012-2014 ha portato i maschi italiani laureati a sperare di vivere 3 anni in più rispetto a coloro che avevano conseguito al massimo l’istruzione obbligatoria, mentre tra le donne laureate il vantaggio sulle meno istruite era di un anno e mezzo. Stesso discorso nel divario Nord-Sud; da molti anni nel Mezzogiorno la percentuale di morte prematura è più alta del resto d’Italia oltre che ad un effetto diretto del contesto di vita di queste regioni sulla salute di chi vi risiede.

Ma la differenza nelle aspettative di vita cambia non solo per macroaree, ma di città in città. A Torino, è l’esempio più eclatante emerso dalla ricerca, un uomo che attraversa la città, dalla collina alto borghese (a elevato reddito) alla barriera operaia nel nord-ovest (a basso reddito), vede ridursi l’aspettativa di vita di sei mesi per ogni chilometro percorso.

Il rapporto ha evidenziato: “La stratificazione sociale influenza in modo diseguale la vulnerabilità delle persone alle conseguenze sociali della malattia: questo significa che la compromissione dello stato di salute può avere conseguenze diverse sulla carriera sociale di un individuo, a seconda delle condizioni socio-economiche di partenza. Si tratta di un effetto che a sua volta si ricollega, attraverso un meccanismo di ‘causazione inversa’, alla stratificazione sociale, in quanto l’esperienza di malattia è in grado di invertire la direzione di marcia dell’ascensore sociale tra le persone malate.

La sanità può moderare gli effetti di questo meccanismo, ad esempio attraverso le esenzioni dal ticket per reddito, limitate agli anziani indigenti e finalizzate a evitare che la compartecipazione alla spesa da parte dell’assistito possa aggravare la trappola della povertà. Ciò vale anche per le politiche non sanitarie, come quelle del lavoro, che si propongono di favorire l’inserimento lavorativo delle persone con limitazioni funzionali”.

Inoltre in Italia, a parità di età, molti degli stili di vita malsani sono in genere più frequenti tra i meno istruiti. Solo il 13% delle persone con alta istruzione fuma, percentuale che sale al 22% tra coloro che hanno frequentato al massimo la scuola dell’obbligo. Analogamente, solo il 7% di chi ha un titolo di studio elevato è obeso e il 52% è sedentario, contro il 14% e il 72% rispettivamente tra i meno istruiti.

Lo stesso può dirsi del consumo inadeguato di frutta e verdura, ossia al di sotto delle 3 porzioni giornaliere, soglia non raggiunta dal 41% dei più istruiti, a fronte del 58% dei meno istruiti. Solo per l’abuso di alcol non sembrerebbe evidenziarsi una differenza statisticamente significativa tra i diversi livelli di studio (5,5% per l’alto e 7,3% per il basso). Però esiste una nuova centralità della prevenzione nella cultura della salute degli italiani, certificata da opinioni e comportamenti di massa.

Nel periodo 2006-2016 i fumatori sono diminuiti dal 22,7% al 19,8%, i sedentari assoluti dal 41,1% al 39,2%. Nel periodo 2005-2015 cresce dal 64,9% all’84% la quota di donne di 25-69 anni che hanno fatto il pap test, dal 58,6% all’86,4% la quota di donne di 45 anni e oltre che hanno fatto la mammografia.

Diverso il destino di quella che per molti anni è stata la pratica preventiva: la vaccinazione. Si riduce l’incremento delle coperture vaccinali: tra gli adulti la copertura antinfluenzale passa dal 19,6% del 2009-2010 al 15,1% del 2016-2017, tra i bambini l’antipolio passa dal 96,6% del 2000 al 93,3% del 2016, quella per l’epatite B scende dal 94,1% al 93%.

A essere rilevante è la forte articolazioni delle opinioni dei cittadini su valore, efficacia e sicurezza delle vaccinazioni. Il 36,2% è favorevole solo alle vaccinazioni coperte dal Servizio sanitario nazionale, il 31,2% si fida sempre e comunque delle vaccinazioni, il 28,6% è dubbioso e decide di volta in volta consultando pediatra o medico.

Infine continua a crescere la spesa sanitaria privata in capo alle famiglie, pari ad € 33.900.000.000 nel 2016 (+1,9% rispetto al 2012), a causa della lunghezza delle liste di attesa. Nel 2014-2017 si rilevano +60 giorni di attesa per una mammografia, +8 giorni per visite cardiologiche, +6 giorni per una colonscopia e stesso incremento per una risonanza magnetica.

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