Parole o_stili per trovare il senso delle parole
Il 17/18 febbraio a Trieste si svolgerà un evento denominato ‘Parole o_stili’ per comprendere il valore delle parole, come è scritto nel panel di invito: “Il potere delle parole: commuovono, scaldano il cuore, valorizzano, danno fiducia, semplicemente uniscono… E poi ci sono tweet, post e status: feriscono, fanno arrabbiare, offendono, denigrano, inesorabilmente allontanano.
Perché se è vero che i social network sono luoghi virtuali dove si incontrano persone reali, allora viene da domandarsi chi siamo e con chi vogliamo condividere questo luogo. Parole O_Stili ha l’ambizione di essere questo: l’occasione per confrontarsi sullo stile con cui stare in rete, e magari diffondere il virus positivo dello ‘scelgo le parole con cura’ perché le parole sono importanti”.
Parole O_Stili è la prima community in Italia contro la violenza 2.0 capace di raggiungere quasi 4.000.000 di persone su facebook e twitter ed è un progetto sostenuto da oltre 300 tra giornalisti, manager, politici, docenti, comunicatori e influencer della Rete. Durante l’evento sarà presentato anche un ‘Manifesto della comunicazione non ostile’ scritto dalla community con l’obiettivo di ridurre, arginare e combattere i linguaggi negativi della Rete.
Durante l’evento l’Istituto Toniolo, partner scientifico dell’evento, presenterà una sezione del Rapporto Giovani dedicata all’uso dell’informazione da parte dei giovani: “Le nuove generazioni usano in modo diffuso la rete e i social network, li considerano come parte integrante della propria realtà e vita sociale.
Il web è considerato un mezzo imprescindibile per acquisire informazioni e i social uno strumento utile per scambiare opinioni, confrontarsi, allargare conoscenze, raccontare di sé. Questa presenza pervasiva della rete per i Millennials, la prima generazione socializzata in connessione continua dal basso con il mondo, non significa, tuttavia, che il loro sia un uso incondizionato e acritico. La grande maggioranza è a conoscenza di insidie e rischi anche se non sempre è pienamente consapevole della loro portata e delle implicazioni”.
Tali implicazioni possono ingenerare situazioni pericolose: “Accade spesso, in particolare, di imbattersi in diffusione di notizie false (‘bufale’), in contenuti offensivi e discriminatori (‘hate speech’), in provocazioni gratuite e accuse infondate (‘trolling’). La grande maggioranza delle persone ritiene che queste pratiche rendano i social più inaffidabili e un luogo meno ospitale. Manca, però, una condotta guida di comportamento che aiuti a non favorirne la diffusione e a disinnescare gli effetti”.
Nell’indagine l’Istituto Toniolo ha sottolineato che la quasi totalità dei giovani tra i 20 e i 34 anni usa la rete, la grande maggioranza è presente sui social network: “Tra questi, il 90,3% ha un account su Facebook, segue Instagram con 56,6%, Google+ con 53,9%, Twitter 39,9%. Rilevante è anche la presenza su LinkedIn, più orientato a profili professionali, che arriva al 22,4%. Gli utenti di Pinterest arrivano al 20,4% e su Snapchat al 16,1% (che sale al 27,4% nella fascia più giovane del campione, gli under 22). Più di nicchia gli altri”.
Gli utenti di Facebook risultano anche i più assidui, presenti quotidianamente in oltre il 90 per cento dei casi (93%), seguiti da Intragram (74%) e Snapchat (56,9%). Lo strumento privilegiato per connettersi è lo smartphone (72,7%). Inoltre le attività più comuni dei giovani risultano essere leggere post di amici/follower (fatta ‘spesso’ dal 74,1% degli intervistati), leggere news (63,2%), conversare privatamente tramite messanger (57,8%).
Attività che comportano inserimento di contenuti sono meno frequenti ma coinvolgono una larga parte del campione: commentare post di propri contatti (49, 1%), postare materiale sulla propria pagina (40,7%), condividere news (35,4%), postare proprie foto o video su pagine altrui (32,6%).
Di rilievo anche le voci ‘Leggere/cercare annunci di lavoro’ (28,3%) e ‘Visitare account di personaggi pubblici’ (26,6%), commentare una news su una pagina di media ufficiali (23,5%). Per quanto riguarda il rischio delle ‘bufale’ il 28,5% dei giovani ammette che gli è capitato di condividere una informazione che poi a scoperto esser falsa. Al 73,8% degli intervistati è inoltre capitato di accorgersi di bufale pubblicate da amici.
Inoltre tra chi ha titolo basso (si è fermato alla sola scuola dell’obbligo) la condivisione di un bufala sale al 31,7%, mentre scende al 28% per chi ha un titolo di scuola superiore, e al 24% tra i laureati, che ci cascano di meno ma si accorgono di più di una notizia falsa condivisa da un proprio amico/follower (77,8%, contro 74,6% di chi ha titolo intermedio e 70,4% di chi ha titolo basso).
Ma i giovani come si cautelano contro i rischi della rete? Secondo l’indagine l’11,2% non adotta mai nessuna strategia, condivide in modo indiscriminato, ritenendo che sia impossibile comunque controllare la veridicità di tutto. Questa accettazione incondizionata è fortemente legata al titolo di studio. Solo la minoranza (45,4%) di chi ha titolo basso è del tutto contraria alla diffusione indiscriminata, mentre si sale al 63,2% tra chi ha titolo medio e al 66,5% di chi ha titolo alto.
Riguardo al come appurare l’attendibilità, ad un estremo c’è il 23,9% del totale del campione che afferma di andare usualmente ‘a fiuto’, condividendo le notizie che in base ad una sua valutazione personale ritiene fondate o di interesse, all’altro estremo il 38,9% che restringe drasticamente la condivisione alle sole notizie di fonte ufficiale.
La maggioranza adotta qualche criterio selettivo intermedio tra tali due estremi, basandosi sull’autorevolezza della fonte (privata o pubblica) che fornisce la notizia o su propria previa verifica dei contenuti. Infine il 45,5% di chi ha avuto esperienza di diffusione di notizie infondate concorda con l’idea che tutto sommato le ‘bufale fanno parte del gioco e del bello dei Social network’, senza differenze rilevanti per titolo di studio. Per il 53% di chi le ha subite è diminuita complessivamente la propria fiducia sui Social networks.