Il Papa al corpo diplomatico: la pace è il nome dello sviluppo

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“Debellare il deprecabile commercio delle armi e la continua rincorsa a produrre e diffondere armamenti sempre più sofisticati. Notevole sconcerto destano gli esperimenti condotti nella penisola coreana, che destabilizzano l’intera regione e pongono inquietanti interrogativi all’intera comunità internazionale circa il rischio di una nuova corsa alle armi nucleari”: questo è stato l’’appello rivolto da papa Francesco al Corpo diplomatico.

Il papa, citando l’enciclica giovannea ‘Pacem in terris’, ha detto che per la prossima Conferenza sul disarmo la Santa Sede “si adopera per promuovere un’etica della pace e della sicurezza che vada al di là di quella paura e ‘chiusura’ che condiziona il dibattito sulle armi nucleari”.

Nel suo discorso il papa ha fatto riferito al grido dell’ ‘inutile strage’ di papa Benedetto XV: “Un secolo fa, il mondo si trovava nel pieno del primo conflitto mondiale. Una inutile strage, in cui nuove tecniche di combattimento disseminavano morte e causavano immani sofferenze alla popolazione civile inerme. Nel 1917, il volto del conflitto cambiò profondamente, acquisendo una fisionomia sempre più mondiale mentre si affacciavano all’orizzonte quei regimi totalitari che per lungo tempo sarebbero stati causa di laceranti divisioni.

Cent’anni dopo, tante parti del mondo possono dire di aver beneficiato di periodi prolungati di pace, che hanno favorito opportunità di sviluppo economico e forme di benessere senza precedenti. Se per molti oggi la pace sembra, in qualche modo, un bene scontato, quasi un diritto acquisito a cui non si presta più molta attenzione, per troppi essa è ancora soltanto un lontano miraggio. Milioni di persone vivono tuttora al centro di conflitti insensati.

Anche in luoghi un tempo considerati sicuri, si avverte un senso generale di paura. Siamo frequentemente sopraffatti da immagini di morte, dal dolore di innocenti che implorano aiuto e consolazione, dal lutto di chi piange una persona cara a causa dell’odio e della violenza, dal dramma dei profughi che sfuggono alla guerra o dei migranti che periscono tragicamente”.

Ha ricordato l’impegno della Chiesa a percorrere strade per sanare i conflitti: “In pari tempo, è opportuno non dimenticare le molteplici opere, religiosamente ispirate, che concorrono, talvolta anche con il sacrificio dei martiri, all’edificazione del bene comune, attraverso l’educazione e l’assistenza, soprattutto nelle regioni più disagiate e nei teatri di conflitto. Tali opere contribuiscono alla pace e danno testimonianza di come si possa concretamente vivere e lavorare insieme, pur appartenendo a popoli, culture e tradizioni differenti, ogniqualvolta si colloca al centro delle proprie attività la dignità della persona umana”.

Ha ricordato i fattori che possono minare la pace, come il fondamentalismo religioso: “Si tratta di una follia omicida che abusa del nome di Dio per disseminare morte, nel tentativo di affermare una volontà di dominio e di potere. Faccio perciò appello a tutte le autorità religiose perché siano unite nel ribadire con forza che non si può mai uccidere nel nome di Dio. Il terrorismo fondamentalista è frutto di una grave miseria spirituale, alla quale è sovente connessa anche una notevole povertà sociale.

Esso potrà essere pienamente sconfitto solo con il comune contributo dei leader religiosi e di quelli politici. Ai primi spetta il compito di trasmettere quei valori religiosi che non ammettono contrapposizione fra il timore di Dio e l’amore per il prossimo. Ai secondi spetta garantire nello spazio pubblico il diritto alla libertà religiosa, riconoscendo il contributo positivo e costruttivo che essa esercita nell’edificazione della società civile, dove non possono essere percepite come contraddittorie l’appartenenza sociale, sancita dal principio di cittadinanza, e la dimensione spirituale della vita.

A chi governa compete, inoltre, la responsabilità di evitare che si formino quelle condizioni che divengono terreno fertile per il dilagare dei fondamentalismi. Ciò richiede adeguate politiche sociali volte a combattere la povertà, che non possono prescindere da una sincera valorizzazione della famiglia, come luogo privilegiato della maturazione umana, e da cospicui investimenti in ambito educativo e culturale”.

Infatti la pace, come ha specificato il Concilio Vaticano II, è una ‘virtù attiva’ e le disuguaglianze, come affermava papa Paolo VI nell’enciclica ‘Popolorum Progressio’ creano ‘discordie’, chiedendo di ‘debellare’ il commercio delle armi: “Ciò esige anche che ci si adoperi per debellare il deprecabile commercio delle armi e la continua rincorsa a produrre e diffondere armamenti sempre più sofisticati.

Notevole sconcerto destano gli esperimenti condotti nella penisola coreana, che destabilizzano l’intera regione e pongono inquietanti interrogativi all’intera comunità internazionale circa il rischio di una nuova corsa alle armi nucleari… Anche per quanto riguarda gli armamenti convenzionali, occorre rilevare che la facilità con cui non di rado si può accedere al mercato delle armi, anche di piccolo calibro, oltre ad aggravare la situazione nelle diverse aree di conflitto, produce un diffuso e generale sentimento di insicurezza e di paura, tanto più pericoloso, quanto più si attraversano momenti di incertezza sociale e cambiamenti epocali come quello attuale”.

Ed ha chiesto che si attuino strategie di pace nelle nazioni in guerra ed ha invitato l’Europa a ritrovare la propria identità umanistica: “L’Europa intera sta attraversando un momento decisivo della sua storia, nel quale è chiamata a ritrovare la propria identità. Ciò esige di riscoprire le proprie radici per poter plasmare il proprio futuro. Di fronte alle spinte disgregatrici, è quanto mai urgente aggiornare ‘l’idea di Europa’ per dare alla luce un nuovo umanesimo basato sulle capacità di integrare, di dialogare e di generare, che hanno reso grande il cosiddetto Vecchio Continente.

Il processo di unificazione europea, iniziato dopo il secondo conflitto mondiale, è stato e continua ad essere un’occasione unica di stabilità, di pace e di solidarietà tra i popoli. In questa sede non posso che ribadire l’interesse e la preoccupazione della Santa Sede per l’Europa e per il suo futuro, nella consapevolezza che i valori su cui tale progetto, di cui quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario, ha tratto la propria origine e si fonda sono comuni a tutto il continente e travalicano gli stessi confini dell’Unione Europea”.

Infine papa Francesco ha ricordato agli ambasciatori la grande intuizione di papa Paolo VI, che ‘lo sviluppo è il nuovo nome della pace’: “Questo è dunque il mio auspicio per l’anno appena iniziato: che possano crescere fra i nostri Paesi e i loro popoli le occasioni per lavorare insieme e costruire una pace autentica. Da parte sua, la Santa Sede, e in particolare la Segreteria di Stato, sarà sempre disponibile a collaborare con quanti si impegnano per porre fine ai conflitti in corso e a dare sostegno e speranza alle popolazioni che soffrono”.

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