La Chiesa e la speranza in un Bambino
Nella messa di ringraziamento di fine anno papa Francesco ha sottolineato che dobbiamo sostare davanti al presepe per ringraziare dell’anno appena trascorso:
“Guardare il presepe è scoprire come Dio si coinvolge, rendendoci parte della sua opera, invitandoci ad accogliere con coraggio e decisione il futuro che ci sta davanti. E guardando il presepe incontriamo i volti di Giuseppe e di Maria. Volti giovani carichi di speranze e di aspirazioni, carichi di domande.
Volti giovani che guardano avanti con il compito non facile di aiutare il Dio-Bambino a crescere. Non si può parlare di futuro senza contemplare questi volti giovani e assumere la responsabilità che abbiamo verso i nostri giovani; più che responsabilità, la parola giusta è debito, sì, il debito che abbiamo con loro. Parlare di un anno che finisce è sentirci invitati a pensare a come ci stiamo interessando al posto che i giovani hanno nella nostra società.
Abbiamo creato una cultura che, da una parte, idolatra la giovinezza cercando di renderla eterna, ma, paradossalmente, abbiamo condannato i nostri giovani a non avere uno spazio di reale inserimento, perché lentamente li abbiamo emarginati dalla vita pubblica obbligandoli a emigrare o a mendicare occupazioni che non esistono o che non permettono loro di proiettarsi in un domani”.
Ed i giovani sono stati protagonisti degli ultimi dell’anno ‘alternativi’, come il ‘cenone del digiuno’ organizzato dal Sermig di Torino, nella cui celebrazione eucaristica finale il card. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, ha ringraziato “il Signore per l’impegno con cui la nostra Chiesa sta operando nell’attuare il programma pastorale definito nella mia Lettera, ‘La città sul monte’, applicandosi nel cercare vie e modalità sempre più efficaci per suscitare e rinsaldare la fede nel Signore da parte delle famiglie e delle persone che lo cercano con cuore sincero”.
L’arcivescovo si è soffermato nella narrazione delle sofferenze delle famiglie e dei giovani: “Richiamo questa emergenza, che sta diventando endemica e sistemica nella nostra società, perché ha più volte segnato in quest’anno il mio cuore di Pastore insieme a tanti altri casi e situazioni di miseria e di abbandono di cui ho avuto diretta esperienza attraverso Caritas, Migrantes, San Vincenzo e innumerevoli realtà caritative e di solidarietà sociale che si occupano di anziani, disabili, minori in difficoltà, senza dimora, immigrati e rifugiati, rom”.
Egli ha invitato a scoprire i santi sociali della città: “Crescono le povertà, ma cresce anche un esercito di pace e di amore, composto da tantissime persone volonterose che, gratuitamente e con coraggio, si fanno carico giorno dopo giorno di quanti soffrono per malattie e povertà. La carità amplifica oggi sempre più i suoi orizzonti e si investe di problematiche di ordine morale e spirituale per tutte le situazioni di precarietà proprie di tanti che vivono ai margini delle nostre città.
La famiglia resta il soggetto privilegiato su cui la nostra Diocesi intende scommettere, anche se il farsi una famiglia stabile e santificata dal sacramento del matrimonio diventa sempre più una scelta controcorrente rispetto alla cultura delle convivenze e dei matrimoni civili. Eppure credo che resti nel cuore di tanti giovani la nostalgia di un valore così grande e profondo qual è la famiglia cristiana che molti testimoniano con sacrificio e gioia”.
Dall’arcidiocesi di Milano il card. Angelo Scola, celebrando al Pio Albergo Trivulzio, ha ricordato che “la tradizione di celebrare il Te Deum risale al tempo in cui la città venne liberata dalla grande peste (1576 – 1577). Pochi anni prima San Carlo aveva affidato la chiesa alla Compagnia di Gesù. Questa veneranda tradizione è ripresa sicuramente con il ritorno dei Gesuiti dopo la guerra”.
Ha affermato che occorre coltivare tutte le opere generatrici di speranza, rendendo grazie per l’anno della misericordia: “Abbiamo molti motivi di gratitudine per quest’anno che si chiude: l’impressionante numero di persone passate dalle porte della misericordia dice molto dell’urgenza di cambiamento del nostro popolo; i segnali di ‘rinascimento’ della nostra città; la carità moltiplicata come risposta a povertà moltiplicate … ; ma anche i fatti dolorosi o negativi ci hanno provocato alla conversione, che è sempre un nuovo inizio. La Sua nascita, infatti, rende sempre, in ogni situazione, possibile la nostra ri-nascita”.
Dalla diocesi di Genova il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, ha rimarcato che questo anno ci sarà la visita in città di papa Francesco ed ha sottolineato il valore della presenza dei cattolici nella società: “La comunità cristiana continua ad esserci com’è suo dovere, consapevole che le forze sono sempre limitate nonostante la solidarietà di Genova, solidarietà che si è espressa anche nelle dolorose circostanze del terremoto nel centro Italia.
Le risorse umane di volontariato invecchiano è non sempre ci sono rincalzi: perché? Le risorse economiche, che derivano dall’otto per mille e dalle offerte della gente, sono una provvidenza, ma insufficienti a fronte dei bisogni e delle richieste vecchie e nuove. In questo anno, le mense del mondo ecclesiale hanno offerto più di 250.000 pasti totalmente gratuiti, e altri 200.000 con qualche contributo pubblico.
Delle mense beneficiano tutti coloro che, per qualunque motivo e provenienza, si trovano sulla soglia della povertà o nella miseria. Non di rado, anche il panino quotidiano è prezioso per sbarcare il lunario giornaliero! Anche i dormitori per i senza dimora fanno del loro meglio, e si incrementano: attualmente sono circa duecento i posti disponibili ogni notte, e due altre sedi sono in allestimento come opera-segno del recente Congresso Eucaristico”.
Anche da Betlemme mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, ha invitato i fedeli a testimoniare la propria fede: “Di violenza, quest’anno, ne abbiamo vista tanta, ovunque. E sono stati tanti i credenti cristiani che, nonostante tutto, si sono comportati come figli della luce, senza permettere alle tenebre di vincere.
Pensiamo al nostro Medio Oriente e alle tante testimonianze che i credenti hanno dato. Anche qui in Terra Santa, dove le tenebre della violenza non solo fisica sono forse meno ostentate, almeno ora, ma più latenti, e che avvolgono senza tregua la vita di tutti noi, il nostro quotidiano, siamo chiamati a comportarci da figli della luce. Spetta a noi chiederci cosa significhi, qui, oggi, essere figli della luce, appartenere a Cristo.
Le nostre azioni devono dire a chi apparteniamo… Il mio augurio per l’anno che inizia e che si prospetta non meno complicato di quello che abbiamo lasciato, di essere qui in Terra Santa desiderosi della salvezza che ci attende sempre e di essere degni figli della luce”.