Mons. Pizzaballa: Natale è la speranza in un Bambino
A pochi giorni dalla festa di Natale il re Abdallah di Giordania ha invitato i rappresentanti delle Chiese cristiane a Palazzo Al Husseiniya, per presentare loro i suoi auguri per il Natale e per il nuovo Anno: il patriarca greco-ortodosso, Teofilo III, il vescovo evangelico-luterano, Mounib Younan, l’arcivescovo della Chiesa copta-ortodossa, Anba Antonios e l’amministratore apostolico del patriarcato latino, mons. Pierbattista Pizzaballa.
Nel discorso, il re Abdallah ha evidenziato come questo tipo di incontri incarni i valori di tolleranza e di amore che i fedeli delle diverse religioni sono chiamati a condividere. Al riguardo, ha riconosciuto il re, i cristiani sono una componente integrante del tessuto sociale del Regno giordano:
“I musulmani e i cristiani in Giordania formano una sola famiglia, tutti cooperano all’interesse nazionale del paese, verso la prosperità e il progresso… Noi dobbiamo lavorare insieme per proteggere l’avvenire delle giovani generazioni di fornte alle sfide con le quali dobbiamo confrontarci”.
Il re Abdallah ha proseguito sul tema del ruolo storico e religioso della Giordania, ‘custode dei luoghi santi di Gerusalemme e a protezione della identità araba della città’. Egli è intervenuto anche sul problema della crisi siriana, sottolineandone la gravità assoluta e la ‘responsabilità internazionale’ a impegnarsi per risolverla. Il re non ha mancato di ricordare la situazione dei cristiani in Iraq e la sofferenza dei Copti, colpiti da un attentato in una chiesa al Cairo.
L’amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme ha evidenziato la difficile situazione dei cattolici in Medio Oriente: “La guerra in Siria e in Iraq ha portato in Giordania milioni di profughi, vittime di una violenza terribile e vergognosa. E nonostante il nostro paese non sia molto ricco, ha accolto tutti con dignità, facendo tutto il possibile per aiutare questa popolazione. In un contesto politico difficilissimo, che ha sconvolto tutto il Medio Oriente, la Giordania è un’oasi di stabilità e di tranquillità.
Mentre da quasi tutti i Paesi arabi il numero dei cristiani diminuisce, in Giordania rimane uguale. Anche questo è segno di stabilità. Di tutto questo dobbiamo ringraziare il Signore che ha ispirato gran parte della popolazione a lavorare per l’accoglienza e la pace. Sono tante, infatti le istituzioni e le associazioni locali che in Giordania si adoperano per aiutare il prossimo”.
Inoltre si è rivolto al re giordano per esortarlo ad operare per la pace: “Ci aiuti a lavorare per la giustizia, a sostenere i poveri e gli umili, a dare voce a coloro che non hanno voce, a consolare quanti ancora dovranno soffrire violenza ed esilio. Auspichiamo inoltre che almeno per il prossimo anno la comunità internazionale si faccia presente in Medio Oriente sostenendo sviluppo e crescita delle diverse società, anziché sostenere guerre e divisioni.
Auspichiamo che slogan in favore della pace siano sostituiti da un impegno serio e costruttivo per ricostruire quanto è stato distrutto, nelle strutture e soprattutto nella vita delle persone. A nome di tutta la Chiesa Cattolica di Terra Santa, voglio assicurarLe, Vostra Maestà, il nostro pieno sostegno alla sua costante attività per la riconciliazione tra i popoli e tra le religioni”.
Anche durante la conferenza stampa natalizia mons. Pizzaballa non ha taciuto le difficoltà dei cristiani in Medio Oriente: “La situazione dei cristiani in Siria, in Iraq e in Egitto è una vera tragedia. In questi paesi, culla della nostra civiltà, la spirale della violenza sembra disperata e senza fine. Tutti abbiamo visto le immagini di Aleppo la settimana scorsa ma anche quelle di tutta la regione durante i lunghi anni del conflitto.
La Siria e l’Iraq sono distrutti. Le guerre e la forza non sono state in grado di portare la pace e la giustizia, non hanno ottenuto altro risultato che un aumento di violenza, di morti e di distruzioni. Queste guerre terribili sono ciecamente guidate dal commercio di armi, dal gioco degli interessi delle potenze, dal fondamentalismo implacabile. La pace ha bisogno di negoziati e di soluzioni politiche.
Gli eserciti possono vincere la guerra ma per costruire c’è bisogno di politica e al momento non se ne vede traccia. In queste guerre ci sono molti interessi in gioco, ma sono i poveri e i deboli che ne pagano il prezzo troppo caro”. Ha sottolineato la grave situazione di vita per i cristiani nella terra di Gesù:
“La nostra situazione in Terra Santa fa eco a quella del mondo intero che si trova a fronteggiare l’estremismo crescente e il fondamentalismo. Quello che ci colpisce è che il fondamentalismo sia radicato nelle giovani generazioni. Durante l’anno, abbiamo deplorato diversi atti di vandalismo contro i cristiani, le chiese o i cimiteri.
Non vogliamo solamente alzare la voce per denunciare questi atti, desideriamo collaborare alla ricerca delle soluzioni, affrontare i problemi alla radice, offrendo alle giovani generazioni un avvenire migliore. Fondamentale, nella nostra prospettiva, è l’educazione. E’ questa il germe di un futuro migliore per tutti. Tuttavia, le nostre scuole in Israele stanno ancora vivendo una crisi senza precedenti e finora nessuna soluzione concreta è stato offerta”.
Con questa situazione il futuro dei cristiani non ha prospettive: “Ci manca la prospettiva. Gli stacoli persistenti alla pace in Israele e Palestina e la mancanza di dialogo e di impegno per la vera pace fondata sulla giustizia e sicurezza, sono evidenti … A causa della mancanza di unità e di mancanza di visione da entrambi i lati, l’odio e la violenza sembrano prevalere sulla ragione e il dialogo.
I falsi pretesti e l’egoismo devono essere abbandonati, i politici devono guardare con coraggio il loro popolo che soffre e aspira alla pace e alla giustizia per tutti. A Cremisan (vicino a Betlemme), il muro è stato costruito dopo una lunga lotta nonostante i nostri ripetuti appelli alle autorità israeliane. L’espropriazione della terra di famiglie cristiane è un sequestro del loro patrimonio, della loro eredità”.
Nonostante ciò i cristiani mantengono la speranza che in questa Terra si inizi a costruire ‘ponti’: “L’anno della misericordia che ci ha offerto di vivere, ha di nuovo messo a fuoco la nostra missione di rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio, di Colui che non si stanca mai di perdonare. Dio è il Padre di tutti, Egli sempre ci aspetta e ci viene incontro.
Con le altre Chiese, dobbiamo continuare a lavorare verso l’unità… I nostri cuori spezzati devono essere preparati per le sorprese di Dio. E il Natale è di fatto il momento per rinnovare la nostra fede nel Dio delle sorprese andando a Betlemme per adorare questo Dio apparentemente impotente: Il Bambino Gesù. Nelle nostre preghiere, porteremo, lo faremo senza stancarci, questo mondo ferito”.