Papa Francesco ai carcerati: la misericordia nutre la speranza

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“Nessuna cella è così isolata da escludere il Signore: il suo amore arriva dappertutto. Prego perché ciascuno apra il cuore a questo amore”: questo tweet di papa Francesco può essere lo slogan finale del Giubileo dei detenuti, celebrato a Roma alla presenza di circa 1000 detenuti di tutto il mondo, al volgere della fine dell’Anno Santo della Misericordia.

Nell’Angelus papa Francesco ha rivolto tre appelli alle autorità civili per un atto di clemenza; un favore del miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri ed una giustizia penale che non si esclusivamente punitiva: “in occasione dell’odierno Giubileo dei carcerati, vorrei rivolgere un appello in favore del miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri in tutto il mondo, affinché sia rispettata pienamente la dignità umana dei detenuti.

Inoltre, desidero ribadire l’importanza di riflettere sulla necessità di una giustizia penale che non sia esclusivamente punitiva, ma aperta alla speranza e alla prospettiva di reinserire il reo nella società. In modo speciale, sottopongo alla considerazione delle competenti Autorità civili di ogni Paese la possibilità di compiere, in questo Anno Santo della Misericordia, un atto di clemenza verso quei carcerati che si riterranno idonei a beneficiare di tale provvedimento”.

Nell’omelia, commentando le letture proprie, papa Francesco aveva sottolineato che tutti devono cercare la speranza di una vita nuova: “La speranza di rinascere a una vita nuova, quindi, è quanto siamo chiamati a fare nostro per essere fedeli all’insegnamento di Gesù. La speranza è dono di Dio. Dobbiamo chiederla.

Essa è posta nel più profondo del cuore di ogni persona perché possa rischiarare con la sua luce il presente, spesso turbato e offuscato da tante situazioni che portano tristezza e dolore. Abbiamo bisogno di rendere sempre più salde le radici della nostra speranza, perché possano portare frutto.

In primo luogo, la certezza della presenza e della compassione di Dio, nonostante il male che abbiamo compiuto. Non esiste luogo nel nostro cuore che non possa essere raggiunto dall’amore di Dio”. Il papa si è rivolto ai detenuti affermando che il suo compito non è sovvertire un giudizio, ma annunciare un vita nuova:

“Cari detenuti, è il giorno del vostro Giubileo! Che oggi, dinanzi al Signore, la vostra speranza sia accesa. Il Giubileo, per la sua stessa natura, porta con sé l’annuncio della liberazione. Non dipende da me poterla concedere, ma suscitare in ognuno di voi il desiderio della vera libertà è un compito a cui la Chiesa non può rinunciare.

A volte, una certa ipocrisia spinge a vedere in voi solo delle persone che hanno sbagliato, per le quali l’unica via è quella del carcere… Tutti abbiamo la possibilità di sbagliare: tutti. In una maniera o nell’altra abbiamo sbagliato. E l’ipocrisia fa sì che non si pensi alla possibilità di cambiare vita: c’è poca fiducia nella riabilitazione, nel reinserimento nella società. Ma in questo modo si dimentica che tutti siamo peccatori e, spesso, siamo anche prigionieri senza rendercene conto.

Quando si rimane chiusi nei propri pregiudizi, o si è schiavi degli idoli di un falso benessere, quando ci si muove dentro schemi ideologici o si assolutizzano leggi di mercato che schiacciano le persone, in realtà non si fa altro che stare tra le strette pareti della cella dell’individualismo e dell’autosufficienza, privati della verità che genera la libertà. E puntare il dito contro qualcuno che ha sbagliato non può diventare un alibi per nascondere le proprie contraddizioni”.

Ed ha concluso ribadendo che la fede può ‘spostare le montagne’: “Quante volte la forza della fede ha permesso di pronunciare la parola perdono in condizioni umanamente impossibili! Persone che hanno patito violenze o soprusi su loro stesse o sui propri cari o i propri beni…

Solo la forza di Dio, la misericordia, può guarire certe ferite. E dove alla violenza si risponde con il perdono, là anche il cuore di chi ha sbagliato può essere vinto dall’amore che sconfigge ogni forma di male. E così, tra le vittime e tra i colpevoli, Dio suscita autentici testimoni e operatori di misericordia”.

Al termine del Giubileo, a sorpresa, papa Francesco ha telefonato a don Marco Pozza, cappellano del carcere ‘Due Palazzi’ di Padova, per incontrare alcuni carcerati. Lo stesso don Pozza ha raccontato a Radio Vaticana:

“Il Papa ha voluto sapere della situazione e delle condizioni nel nostro carcere. Ha voluto anche che gli raccontassimo delle belle iniziative della nostra realtà di Padova. Abbiamo visto il volto del Papa molto serio quando quattro ergastolani gli hanno chiesto aiuto. Mi ha colpito che alla fine dopo la benedizione ha ringraziato i poveri perché gli avevano rallegrato la giornata. Il guadagno più bello è stato vedere il sorriso sui volti di queste persone…

Come dice Papa Francesco quando s’incontra Cristo è difficile tenere la gioia per sé, deve essere per forza raccontata agli altri. Tutto è nato sotto il nome del Dio delle sorprese. E noi ieri siamo stati protagonisti di questa sorpresa”.

Ed un ‘uomo ombra’, l’ergastolano Carmelo Musumeci, a cui più volte non è stato concesso di incontrare papa Francesco, ha scritto una preghiera per richiamare l’attenzione sull’ergastolo: “Dio, siamo i cattivi, i maledetti e i colpevoli per sempre: siamo gli ergastolani, quelli che devono vivere nel nulla e marcire in una cella per tutta la vita.

Dio, nelle carceri italiane ci sono uomini che sono solo ombre, che vedono scorrere il tempo senza di loro e che vivono aspettando di morire. Dio, molti ergastolani, dopo tanti anni di carcere, camminano, respirano e sembrano vivi, ma in realtà sono già morti. Dio, l’ergastolano non vive, pensa di sopravvivere e, in realtà, non fa neppure quello, perché l’ergastolo lo tiene solo in vita, ma non è vita…

Dio, dillo tu agli ‘umani’ che la pena dovrebbe essere buona e non cattiva, che dovrebbe risarcire e non vendicare. Dio, dillo tu agli ‘umani’ che una pena che ruba il futuro per sempre, leva anche il rimorso per qualsiasi male uno abbia commesso. Dio, dillo tu agli ‘umani’ che solo il perdono suscita nei cattivi il senso di colpa, mentre le punizioni crudeli e senza futuro fanno sentire innocenti anche i peggiori criminali.

Dio, dillo tu agli ‘umani’ che dopo tanti anni di carcere non si punisce più la persona che ha commesso il crimine, ma si punisce un’altra persona che con quel crimine non c’entra più nulla… Dio, dillo tu agli ‘umani’ che la miglior difesa contro l’odio è l’amore e la miglior vendetta è il perdono. Dio, non so pregare, ma ti prego lo stesso: se proprio non puoi aiutarci, o se gli umani non ti danno retta, facci almeno morire presto”.

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