Estasi e tormento, ricordando Lorenzo Perosi
“Ti ringrazio, Signore, di avermi fatto cristiano, di avermi fatto sacerdote, di avermi fatto scrivere quello che il mondo canta e canterà in tua lode”. Con queste parole pregava, quasi prestando la voce a don Lorenzo Perosi, il suo intimo amico don Pirro Scavizzi che, dopo avergli amministrato i sacramenti del transitus animae, lo accompagnava al suo pieno e definitivo incontro con Dio. Scavizzi ricorda che in quel momento Perosi “mosse le labbra e i suoi occhi brillarono di un velo di pianto, poi il volto impallidì d’improvviso e le palpebre si chiusero, per sempre”.
Erano le 17.20 di venerdì 12 ottobre 1956. L’interprete dell’animo orante del popolo cristiano andava ormai a cantare in eterno l’amore del Signore. Il 12 ottobre prossimo, ricorderemo il sessantesimo anniversario del suo pio transito dalla terra al cielo.
Ho sempre avuto la piena convinzione che il percorso musicale di Perosi non può essere tracciato in maniera conveniente senza inserirlo nello spazio fecondo della sua vita sacerdotale. Questo spazio, vissuto all’interno della contemplazione “artistica” della fede, è innestato, in modo originalissimo, nella sua vita mistica legata all’arte musicale. Non possiamo dimenticare che questo percorso sulla via pulchritudinis, come ogni vera esperienza artistica, anche in Perosi, s’innestava nella via crucis, alveo di tutta la sua avventura spirituale e musicale.
Pio XII, che aveva letto bene nel cuore di Perosi ascoltando le sue musiche, al compiersi dei cinquant’anni di direzione della Cappella Sistina, il 15 dicembre 1948, gli fece pervenire una lettera colma di stima e di gratitudine. In quella lettera, c’è un’espressione che colpì profondamente l’animo del maestro: “La tua musica, non solo addolcisce gli animi, ma li predispone altresì a ricevere gli impulsi della Grazia Divina”. Ritengo che questa frase non sia soltanto l’elogio più alto che un Papa, come Pio XII, poteva fare a un musicista che scriveva musica sacra, ma anche la rivelazione di quella particolare disposizione del musicista stesso che aveva saputo interpretare, in quel Novecento particolarmente drammatico e affascinante, l’animo orante del popolo di Dio.
Attraverso la musica, infatti, Perosi “raccontava”, con il linguaggio del cuore, il mistero di Cristo che profondamente amava e in cui fermamente credeva. Musica e canto riassumevano ed esprimevano totalmente il suo gesto orante che in lui si trasformava in musica e in canto.
I biografi e gli studiosi di Perosi hanno sempre messo in evidenza la sua profonda umiltà mai scalfita dagli apprezzamenti di musicisti e musicologi anche del calibro di Toscanini, Mascagni, Puccini, Haberl, Mocquereau. Essi parlavano solo di “musica”, mentre Perosi intendeva annunciare la bellezza e la verità del vangelo con l’esercizio della musica nella felice sinergia tra fede e arte, tra spiritualità e creatività. Di fatto è questa la sua più vera identità anche in un momento storico segnato, nel campo della musica, da tante innovazioni che vanno da Debussy a Schoenberg, da Strauss a Stravinskij.
Perosi, in effetti, aveva l’anima del catechista, del comunicatore della fede; aveva intuito, insomma, la forza trascinatrice e mistagogica del segno sonoro che rivela il Mistero. Arcangelo Paglialunga, che fu molto vicino a Perosi soprattutto negli ultimi anni della sua vita, nei colloqui che spesso avevamo, mi riferiva sempre quella frase che il Maestro era solito ripetere: “Gli uomini del mio tempo non vogliono sentire il Vangelo; io li costringerò ad ascoltarlo in musica”.
In realtà, Perosi è “musicista liturgico” non solo nel linguaggio nobile e semplice, ma anche nella sua assoluta predilezione per i santi Testi della Liturgia. È qui l’origine della poietica perosiana: un misticismo verbo-melodico vero e proprio, che talvolta, purtroppo, si è voluto confondere con il romanticismo o il decadentismo.
Comprendere questo vuol dire capire tutta la sua arte, la quale, composta in un momento decisivo e importante per la storia musicale europea, riuscì ugualmente a raggiungere quel candore che, proprio per la sua squisita ingenuità, non poté essere compreso dai difensori e dagli “attivisti” delle nuove tecniche. Perosi ebbe dalla parte sua il popolo e l’ascoltatore ignoto, e tale conquista basterebbe, da sola, a dare alla sua arte inconfondibile la suprema caratteristica del genio. Perosi non è, come qualcuno diceva, il musicista mancato da teatro. Non è l’operista della “giovane scuola” musicale del suo tempo. Il vero musicista Perosi è il sacerdote che presta un qualificato servizio alla Liturgia attraverso le Messe, gli innumerevoli mottetti, lo squisito e sobrio canto popolare, mai banalmente consueto e diseducante. Assieme al canto liturgico fa anche opera di evangelizzazione attraverso gli Oratori, le Cantate e i Poemi sinfonico-vocali.
La grandezza e la creatività di una musica, come quella di Perosi, in gran parte ancora da capire, giustifica ogni sforzo per non lasciare cadere nell’oblio un’esperienza così forte e originale, religiosa e musicale, seminata nel solco della contemporaneità.
Sono convinto che non si può disegnare la traiettoria “sacra” del percorso musicale di Lorenzo Perosi, senza inserirla nello spazio fecondo della sua vita sacerdotale vissuta nella contemplazione “artistica” della fede e nell’innesto originalissimo di una vita mistica legata alla musica. Perosi, dunque, aveva l’anima del catechista e del comunicatore della fede, egli, infatti, aveva intuito la dimensione sia liturgica sia didascalica del canto sacro.
Forse nessuno, meglio di Arturo Toscanini, seppe comprendere questa forza vitale e mistica che animava la creazione musicale del Maestro. Quando, infatti, il grande direttore d’orchestra venne a sapere che Perosi intendeva rivedere alcune sue partiture, riconoscendole troppo ingenue e non aggiornate, rispetto ad altre composizioni contemporanee, ebbe a dire: “Perosi non deve toccare nulla di ciò che ha scritto. Il valore della sua musica sta proprio nella sua spontaneità, oltre che nello splendore dell’ispirazione”.
Egli stesso aveva espresso questi sentimenti in una sua celebre intervista: “Quel poco che io sono capace di fare mi viene tutto dall’ispirazione che mi dà la Religione. La mia fede è la mia vita: quando ne contemplo la bellezza e la grandezza, me ne esalto e ho bisogno di esprimere questa esaltazione con il linguaggio che mi è naturale, cioè con le note musicali”.