Don Mazzolari e la misericordia per Giuda
Nei mesi scorsi a Bozzolo è stato girato un documentario sulla vicenda della famiglia Tänzer, che ha visto protagonista anche don Primo Mazzolari, uno degli artefici del salvataggio di famiglie ebraiche nella seconda guerra mondiale. Il documentario sarà trasmesso su RAI Storia sabato 17 settembre alle ore 21.30. La vicenda della famiglia ebrea Tänzer è conosciuta.
L’incontro con il parroco di Bozzolo avviene nel 1943. Nel mese di febbraio la famiglia Tänzer è sfollata e trova ospitalità a Bozzolo, nel mantovano. Il padre è internato, arrestato in seguito alle leggi razziali, e la madre è costretta a gestire una difficile situazione familiare con tre figli a carico. Dopo qualche mese anche il padre ottiene il trasferimento in confino a Bozzolo e raggiunge il nucleo familiare. Verso la fine di ottobre del 1943 si presentano alla porta di casa tre uomini: sono il podestà Giovanni Rosa, il maresciallo dei carabinieri Antonio Sartori e il parroco don Primo Mazzolari.
Il podestà comunica di aver ricevuto ordine da Mantova di inviare l’elenco degli ebrei residenti sul territorio e di essere costretto a segnalare la loro presenza. Perciò, li invita a fuggire nel giro di tre giorni, il tempo che lui si sarebbe preso per inviare la lista, fingendo un’assenza da Bozzolo per malattia. Il maresciallo rassicura la famiglia circa la massima collaborazione da parte sua e don Mazzolari annuncia di aver già trovato una famiglia bozzolese, assolutamente affidabile, disposta a nasconderli al sicuro in una cascina.
Il parroco esprime il suo rincrescimento di non poterli accogliere in canonica, ma la sua casa è sotto controllo dai tedeschi e il suo nome è al centro di troppi sospetti per l’impegno in favore di altre persone in pericolo. Sia il podestà sia il maresciallo concordano che la proposta di don Primo è la più sicura e consigliano di accettarla in fretta. Il documentario è un’occasione per approfondire la conoscenza del parroco don Primo, autentico testimone di una fede che si fa servizio per ogni vita umana.
Ed anche papa Francesco, alcuni mesi fa aprendo nella basilica di San Giovanni in Laterano il convegno della diocesi di Roma, in un passaggio del suo intervento ha invitato a non ‘mettere in campo una pastorale di ghetti e per dei ghetti’, ricordando che il realismo evangelico ‘non significa non essere chiari nella dottrina’, citando una predica su Giuda di don Primo Mazzolari:
“Don Primo Mazzolari fece un bel discorso su questo, era un prete che aveva capito bene questa complessità della logica del Vangelo: sporcarsi le mani come Gesù, che non era pulito andava dalla gente e prendeva la gente come era, non come doveva essere”. Nell’anno giubilare della misericordia non è la prima volta in cui don Mazzolari è citato, tanto è che qualche mese fa il segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, mons. Nunzio Galantino, aveva compiuto un ‘pellegrinaggio sui luoghi e nel nome’ del servo di Dio, nel 57° anniversario della morte di don Primo Mazzolari.
In quell’occasione mons. Galantino aveva riflettuto sulla relazione tra il Pastore e il gregge, con “la necessità di tenere vivo il nostro rapporto con Gesù, che si rende tanto più necessario quanto più cresce il proliferare di leader e leaderini, di guru e di visionari interessati, di faccendieri e replicanti senza scrupoli, un proliferare che fa spesso perdere di vista ciò che, realmente e al di là delle autopromozioni, ci rende ‘gente di Pasqua’.
Non è certo un bello spettacolo quello al quale, tante volte, in nome di questa o quella giustificata sensibilità (che qualcuno chiama ‘carismi’), siamo costretti ad assistere nelle nostre comunità: gruppi che considerano un metodo di formazione come l’unico che porta alla salvezza, e gruppi che presentano un modo di stare insieme come l’unico di fare autentica comunità”.
A proposito del rapporto tra Pastore e pecore, mons. Galantino ha citato quanto scritto nel giugno del 1949 da don Mazzolari su Adesso: “Non conosciamo più le nostre pecore, non sappiamo chiamarle per nome una a una. Crediamo che possa bastare il generico, mentre c’è un bisogno di essere capiti come siamo e di essere portati a spalla, sull’esempio del Buon Pastore. Ne viene di conseguenza che se non andiamo a cercarli dove sono, se non li comprendiamo come sono, se non li amiamo come sono, qualcuno lo potremo trapiantare nell’orto del presbiterio, ma la massa resterà fuori anche quando un richiamo spettacolare ce la porterà in processione o in chiesa”.
Dopo aver citato ancora un passo di don Mazzolari, pronunciato a Rho, il segretario della CEI ha richiamato i ‘verbi dell’intimità’ tra il Pastore e le pecore: “Quando nelle nostre comunità manca il desiderio di vivere così il nostro rapporto con Gesù è inevitabile che si facciano strada altri modi di pensare e di vivere. Si possono fare strada quelle tentazioni più volte stigmatizzate da don Primo, come la tentazione di stare nel mondo con l’unico obiettivo di aggirare gli ostacoli con abilità assicurandosi posizioni di potere/prestigio oppure garantendosi dietro il paravento del Vangelo vantaggi di corto respiro”.
Ed ha ricordato che nel 1970 il beato papa Paolo VI ha detto: “Lui aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. Questo è il destino dei profeti”. Tale ‘profezia’ si riscontra nella ripubblicazione del suo libro, ‘Misericordia per Giuda’, che mette al centro l’omelia pronunciata il 3 aprile 1958, Giovedì Santo:
“Ma io voglio bene anche a Giuda… C’è un nome che fa spavento, il nome di Giuda, il Traditore. Che cosa gli sia passato nell’anima io non lo so. Quando ha ricevuto il bacio del tradimento, nel Getsemani, il Signore gli ha risposto con quelle parole che non dobbiamo dimenticare: ‘Amico, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo!’ Amico! Questa parola vi dice l’infinita tenerezza della carità del Signore’, tema su cui don Mazzolari insistette già dai tempi in cui, parroco di Cicognara, tenne con mons. Guido Astori le ‘missioni al popolo’ nel Bresciano e nel Veronese;
poi ancora a Milano nel novembre 1957, su invito dell’allora arcivescovo, mons. Montini, futuro papa Paolo VI; poi l’anno dopo, nel 1958, a Ivrea. Don Mazzolari ha sempre sostenuto che ‘la giustizia senza la misericordia’ non sarebbe ‘autentica giustizia’: “Aveva detto nel Cenacolo non vi chiamerò servi, ma amici. Noi possiamo tradire l’amicizia del Cristo, Cristo non tradisce mai noi, i suoi amici: anche quando non lo meritiamo, anche quando ci rivoltiamo contro di Lui, anche quando Lo neghiamo, davanti ai Suoi occhi e al Suo cuore, noi siamo sempre gli amici del Signore”.