Nell’umiltà di Dio l’esaltazione dell’uomo

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L’uomo biblico è il credente che si colloca nella luce del Signore. Riconoscendo la propria bassezza e nullità, il cristiano celebra in sé la grazia del Signore che colma il vuoto e illumina il nascondimento. Nella santa Scrittura l’umiltà è realizzata dai poveri di Jahweh, cioè dagli umili di Dio che sono gli uomini di fede che vivono nella luce del Signore. L’umile per eccellenza è Verbo fatto Carne e Cibo di vita. Esemplare sublime è la Vergine Madre sua Maria. Il Magnificat ritrae mirabilmente l’umiltà come povertà della risorsa dell’uomo scelto da Dio che solo nell’umile opera grandi cose: Il Signore ha guardato l’umiltà della sua serva…ha esaltato gli umili. Il vero umile è il povero che crede, non confida in se stesso, ma si abbandona nelle mani del suo vero Dio e solo Signore nella certezza che la propria vita riuscirà nella misura in cui farà agire nella propria esistenza l’onnipotenza divina che renderà feconda la sterilità umana, perché nulla è impossibile a Dio.

C’è, però, il pericolo diabolico della falsa umiltà, che è subdola superbia che provoca antipatia e rigetto perché si tratta di vivere nella non verità su Dio e su sé stessi. Anche dal punto di vista soltanto umano la persona intelligente non perde nulla a restare nei propri limiti vivendo in una sapiente modestia. La storia, che è sempre maestra di vita, ci insegna che istintivamente gli orgogliosi, gli autoesaltati, gli arrivisti, gli autosufficienti sono umiliati e i poveri di spirito che vivono nella verità dell’umiltà sono esaltati.

L’apostolo Paolo scrivendo ai cristiani di Roma li ammonisce con queste parole: Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi (12,16).

La grande lezione all’umanità è data dallo stesso Maestro e Signore Gesù. Non conosco altri signori e maestri! Il Figlio dell’uomo è venuto per servire l’uomo nell’umiltà dell’essere umano, anzi, nell’umiliazione della croce. Incarnazione e Redenzione sorprendono e sconvolgono. Il fatto poi che Gesù dichiara di non essere venuto per essere servito ma per servire e mettere la propria esistenza per la redenzione dell’umanità, nella mente superba potrebbe suscitare comprensibile reazione. Soltanto l’umile di cuore comprende e adora il mistero che, prima dell’ultima Cena, Gesù si fa servo e lava i piedi ai suoi discepoli. La croce, poi, sarà il posto di umiliazione del Cristo Redentore, del Servo di Jahweh che si addossa sulle spalle il peso del peccato e dell’umiliazione dell’uomo. Soltanto alla luce di questo Mistero possiamo valutare la dimensione dell’umiltà cristiana che è ben diversa dalla modestia, dalla convenienza, da quei falsi giochi che ci inducono a non far brutte figure. La vera umiltà si costruisce sull’esempio di quella di Gesù.

Cos’è l’Eucaristia se non il Sacramento dell’umiltà di Cristo? Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi…. Prendete e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue…versato per voi e per tutti. L’Eucaristia celebra il banchetto in cui Cristo “serve” l’uomo donando il suo Corpo e il suo Sangue. L’umiltà raggiunge il suo culmine nella carità che è donazione di se stessi. Cristo è il primo e il modello di chi è dedito al servizio. Solo agli umili Dio rivela i suoi segreti, innalzandoli a sé. Soltanto con l’atteggiamento dell’umiltà è possibile creare l’assemblea cristiana che si riunisce per celebrare la Cena del Signore e non per fare spettacoli di se stessi e delle proprie cose.

Il cristiano è lontano dal praticare quella sorta di umiltà esteriore, soltanto teorica, dottrinale o intellettuale che lascia ciascuno al proprio destino. La falsa umiltà, poi, che non è pura verità e nemmeno libertà di coscienza ma effetto d’immaginazione e di autoesaltazione, porta sempre a manifestazioni insopportabili e talvolta squilibranti. Sappiamo che il demonio gioca sempre a tendere i suoi lacci e i suoi inganni.

Nella parabola del fariseo e del pubblicano, Gesù ci istruisce che la regola fondamentale di chi siede alla mensa del Regno è sempre questa: Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato (cf Lc 18, 9-14). Il fariseo giudica e condanna gli altri misurandoli superficialmente con il proprio metro di giudizio. Facendosi termine di paragone si sostituisce all’unica misura che è la santità di Dio, e da qui scoppia la sua superbia orgogliosa. Egli, infatti, ha un concetto parziale e perciò falso di umiltà che è sempre verità, sia quando si configura a Dio, sia quando si rapporta ai fratelli.

Chi siamo noi che presumiamo violare con i nostri giudizi e con le nostre critiche il santuario della coscienza altrui? Quella del fariseo è la condanna di un metodo astratto ed estraneo del vivere religiosamente. A Gesù, però, è bastata l’umiltà del pubblicano più che l’umiliazione, il suo cuore contrito e umiliato. Così nel silenzio dell’umiltà è fiorito il miracolo della misericordia.

Solo il prodigio della misericordia ci viene in aiuto per renderci umili. Solo la vera umiltà accoglie quella misericordia che, a sua volta, rende misericordioso il cuore dell’uomo.

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