Al Meeting di Rimini chi ha la speranza vive diversamente
Anche il Meeting dell’Amicizia tra i popoli ha accolto con mestizia la tragedia del terremoto che ha colpito il Centro Italia, distrutto interi paesi e causato centinaia di morti; ha pregato per le vittime e le loro famiglie con l’invito ad aderire alla colletta nazionale della Cei, che si svolgerà nelle chiese italiane domenica 18 settembre.
E qui a Rimini i protagonisti di nuovo sono i migranti ed i cristiani siriani attraverso “le immagini toccanti e le parole che Papa Francesco, in visita all’isola di Lesbo, ha pronunciato lo scorso 16 aprile sono importanti per condurci all’immedesimazione con le vite di 60.000.000 di rifugiati presenti in Europa”.
A riflettere sul compito che spetta all’occidente, coordinati dal giornalista Giorgio Paolucci, sono stati mons. Silvano Maria Tomasi, membro del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, Romano Prodi, presidente della fondazione per la collaborazione tra i popoli, e l’egiziano Naguib Sawiris, direttore generale e presidente del CdA di Orascom Telecom Media and Technology Holding Sae.
Mons. Tomasi ha sviluppato il tema dell’accoglienza come strada percorribile per lo sviluppo dei paesi che si trovano ad accogliere migranti: “Il nostro mondo non funziona bene se migliaia di persone hanno trovato la morte nel fondo del Mediterraneo mentre noi ci trinceriamo dietro le barriere della paura. Perché non accogliamo chi scappa da situazioni impossibili?”
Secondo mons. Tomasi prevale la paura, eppure le migrazioni sono un fenomeno costante nella storia umana, perciò occorre ‘governare’ l’incertezza: “Vi sono uomini e donne, ispirati dal messaggio del Vangelo o anche solo dal proprio cuore, che esercitano l’accoglienza in nome del fatto che l’altro mi dà la possibilità di capire me stesso… L’altro può diventare una forza propulsiva vera per una società così fortemente in crisi sul piano demografico. Abbiamo bisogno dei migranti, che possono essere efficacemente integrati. L’accoglienza che si offre è la preparazione alla nuova società e una strada verso il futuro”.
Ma ciò può accadere solo in un contesto sociale che condivide valori e orientamenti comuni, come ha ripreso Romano Prodi, che ha sottolineato che l’Europa si mostra miope di fronte alle sfide dell’immigrazione: “Ci si muove in modo disordinato, senza un progetto unitario e strategie coordinate. Lo dimostrano in modo evidente il comportamento nei confronti dei rifugiati siriani e libici, che tra l’altro dovrebbero godere di una precedenza sui migranti economici”.
Il professore ha anche affrontato le difficoltà non solo dell’accoglienza, ma soprattutto dell’integrazione: “Molti rimangono alcuni anni in Italia, ma proprio perché manca una vera integrazione, i più dotati dopo un po’ partono attirati da mete più promettenti”. Un percorso solido di integrazione si può compiere comunque solo in tempi molto lunghi e questo non fa altro che aumentare la paura della perdita del welfare state.
Secondo il relatore anche la deriva in senso populista (il consenso a Trump negli Stati Uniti o a Le Pen in Francia) comporta l’essere disposti a rinunciare in tutto o in parte alla democrazia ha origine dalla paura, come ha fatto la cancelliera tedesca nei confronti del debito greco nell’imminenza di elezioni regionali tedesche, facendo triplicare il debito greco a favore delle multinazionali, perchè l’Europa ha rinunciato a governare la finanza.
Dal fronte egiziano anche Sawiris ha concordato sul fatto che il problema dei migranti rivela una strategia miope della comunità internazionale: “Non si è voluto sostenere i fermenti che venivano dal movimento delle primavere arabe”. Un’ipotesi da percorrere per l’imprenditore egiziano è comprare un’isola del Mediterraneo dove realizzare una patria per il flusso di migranti e avviare con loro un modello di sviluppo per costruire case, ospedali, scuole: “La fattibilità finanziaria c’è, manca solo la libertà politica”.
La sua conclusione resta che si possono gestire i flussi migratori a patto che l’Europa sconfigga la paura del migrante, agitata dai media per populismo: “Gli europei non possono non avere paura: i mass media si concentrano solo sulle cattive notizie”.
Quindi l’Europa deve trovare un nuovo modo d’intervento per salvare i migranti, che sono soprattutto cristiani, che fuggono dalle loro terre perché perseguitati, come ha raccontato padre Firas Lufti, superiore del collegio di Terra Santa e vice parroco della parrocchia di San Francesco ad Aleppo, che ha espresso dolore per le vittime del terremoto:
“Siamo uniti nel dolore causato dal terremoto che ha demolito case, distrutto vite”. Poi ha raccontato la vita in una città ‘morta’ come Aleppo: “Dieci giorni fa l’unica strada di collegamento tra la città e l’esterno è stata tagliata dagli jihadisti e dalla controffensiva dell’esercito siriano. Ho visto cos’è un terremoto. Non avevo mai visto una città completamente rasa al suolo”. Ad Aleppo, la Milano della Siria, la seconda città della nazione dopo la capitale Damasco, manca tutto: luce, cibo; mentre l’emergenza acqua, per ora, è rientrata:
“Soprattutto manca sicurezza le bombe cadono giorno e notte. In quasi sei anni di conflitto sono morte più di 380.000 persone, la metà di loro sono donne e bambini”. Cifre che fanno rabbrividire, mentre scorrono le immagine dei bambini nell’oratorio della sua parrocchia: “Ogni dieci giorni i razzi la colpiscono.
Siamo umanamente stanchi di riparare il convento. Un parrocchiano mi ha detto: ‘Abbiamo sopportato la fame, la sete ma non posso sopportare che mio figlio sia colpito, mutilato. Mi dia il certificato di battesimo, vado via’. E’ un esodo quello da Aleppo”. Ed in un video il messaggio di saluto dei bambini ai partecipanti al meeting, che padre Lufti ha tradotto: “Voglio gioire, cantare, fare i compiti, sentire la campanella della scuola. Signore non ci dimenticare, Tu sei nostro protettore, non ci abbandonare”.
Il francescano ha terminato la sua testimonianza, affermando che la speranza è resistente, ricorrendo ad una frase di papa Benedetto XVI (‘Chi ha la speranza vive diversamente, gli è stata donata una nuova vita’): “Siamo i tesorieri di Dio che ci ha affidato il suo Vangelo: Cristo perdona i crocifissori. Crediamo di avere una missione in questo contesto. Viviamo nel buio, occorre un dono dall’alto e anche la notte più oscura passa. Se sono vivo è per raccontare che ci sono persone che hanno ancora speranza”.