Mons. Russo: sui sentieri delle ‘periferie esistenziali’
“Vi chiedo di accompagnarmi con la vostra preghiera per essere capace di portare a compimento l’opera che il Signore ha iniziato in me”: con queste parole mons. Stefano Russo ha salutato i fedeli ascolani per la sua ordinazione episcopale. Durante l’ordinazione il neovescovo ha affermato:
“Dico grazie al Signore, anche da parte di tutta la comunità. Il mio primo vero incontro con Dio è avvenuto all’età di 14 anni, nella parrocchia di San Bartolomeo guidata dal carissimo don Nildo. In questi anni, una delle cose che ho capito è che non è tanto importante quello che facciamo. Se ci fidiamo di Dio, infatti, sappiamo che non c’è cosa migliore che possa capirci che fare la Sua volontà. Grazie davvero a tutti. Ci tenevo a festeggiare in questa nostra diocesi ascolana questa nomina. Questo per me è il dono più bello che abbia mai ricevuto”.
Il vescovo eletto di Fabriano-Matelica, mons. Stefano Russo, inizia il suo ministero episcopale visitando i malati e aprendo la Porta Santa dell’Ospedale Profili di Fabriano in occasione del Giubileo della Misericordia, sabato 18 giugno. A lui abbiamo rivolto alcune domande, partendo dal suo saluto alla nuova diocesi: “Sulla scia di papa Francesco, anche io desidero raggiungere, con la luce e la forza del vangelo, le ‘periferie esistenziali’ che caratterizzano il nostro tempo. Da oggi voi siete diventati la mia gente: mi appartenete nel Signore, come io appartengo a voi”.
In quale modo un vescovo può costruire ponti?
“I vescovi, in quanto pastori di una comunità, sono impegnati in prima persona a corrispondere all’esortazione più volte fatta, in questa direzione, da Papa Francesco. Chi costruisce un ponte lo fa perché capisce l’importanza di mettere in agevole comunicazione popolazioni che, seppure vicine, sono separate a motivo della particolare conformazione del territorio in cui vivono. I ponti costituiscono un investimento importante e non si possono costruire casualmente.
E’ fondamentale conoscere bene il territorio in cui si vive per capire dove e come costruirli, ed è indispensabile che siano progettati in modo tale che assolvano al meglio la loro funzione particolare. Sta proprio nella capacità di ‘costruire ponti’ che possiamo riconoscere la maturità di una comunità cristiana. E’ normale che fra gli uomini esistano ‘separazioni’, a cui possono corrispondere diversità di opinione, di credo religioso, di visione della vita, di estrazione sociale, politica e culturale.
Un cristiano è chiamato a riconoscere queste ‘separazioni’ ma è anche impegnato in prima persona a favorire il ricongiungimento della famiglia umana, ricercando le forme di un dialogo possibile con tutti. Come ogni cristiano il vescovo, insieme alla sua comunità, è chiamato a farsi prossimo alle situazioni di separazione, mettendosi principalmente in atteggiamento di ascolto. I modi concreti per costruire ponti possono essere tanti.
In generale possiamo dire che il primo dialogo da promuovere, che non bisogna mai dare per scontato, è quello all’interno della stessa comunità ecclesiale, facendosi promotore di comunione con i confratelli dell’episcopato, attuandola in modo concreto con i propri sacerdoti, religiosi/e, con i laici e fra i laici impegnati. Comunione promossa anche fra le associazioni e i movimenti, esortandoli a far si che i doni di cui sono portatori, contribuiscano sempre più all’edificazione dell’unica Chiesa.
E’ a partire da queste fondamenta che poi è possibile diventare, come Chiesa, sempre più capaci di costruire quei ponti che le permettono un effettivo ed efficace dialogo con le istituzioni, con le persone di altre convinzioni e appartenenze religiose, con le situazioni di degrado sociale”.
Come le parrocchie possono diventare scuola di comunione?
“Le parrocchie diventano di fatto scuola di comunione se ‘vivono’ la comunione e i suoi principali animatori, a partire dai sacerdoti, ‘danno la vita’ per farsene edificatori (cfr. Gv 13,34-35). Prima delle parole e delle belle organizzazioni, conta la testimonianza.
Con questo non voglio dire che in una parrocchia non siano importanti le strutture e le organizzazioni, ma che esse debbono essere sempre espressione della carità di Cristo, da cercare e mettere in gioco, ogni giorno. Un ‘luogo’ fondamentale, in cui trova espressione visibile l’appartenenza ad una comunità cristiana, è la domenica. In una parrocchia, dove è vivo il senso della domenica, il modo con cui si ritrova e vi partecipa può diventare una straordinaria scuola di comunione”.
Nella sua lettera alla diocesi ha rivolto un pensiero speciale ai giovani, alle famiglie ed a chi non ha lavoro: come architetto quale chiesa costruirà?
“Non posso dire ancora quale Chiesa sarò chiamato a ‘costruire’. Ritengo importante anche qui, prima di tutto, mettersi in atteggiamento di ascolto, per poi capire, come edificare, con il contributo di tutti, la comunità cristiana. Sarà lo Spirito Santo a suggerirci quali strade seguire, ma non credo che dovremo inventarci delle formule particolari. Mi sembra che in questi anni si sia seminato bene nella Diocesi di Fabriano-Matelica ed è mio desiderio, come pastore, dare continuità al lavoro fatto da S.E. mons. Giancarlo Vecerrica”.
In questo anno giubilare cosa significa vivere la misericordia per un vescovo?
“E’ una domanda che dovrebbe essere rivolta a chi, come vescovo, ha più esperienza di me, in ogni caso mi sembra che un vescovo viva la misericordia quando, nell’esercizio del suo ministero, cerca il più possibile di farsi prossimo a quelli che il Signore gli affida e gli mette davanti lungo il cammino.
Viviamo un tempo in cui emerge una forte spinta all’individualismo e non raramente si avvertono difficoltà a costruire relazioni umane stabili e significative. Una immagine particolare di quanto dico la troviamo nell’uso/abuso che spesso viene fatto delle moderne tecnologie.
Queste sono straordinariamente utili ed efficaci per facilitare le comunicazioni fra gli uomini, come mai avvenuto in passato, ma il più delle volte vengono usate per comunicazioni ‘mordi e fuggi’ che di fatto rischiano, con il tempo, di favorire la ‘distanza’ fra le persone.
La Chiesa nel nostro tempo riceve una speciale chiamata a farsi ‘maestra di relazioni’. Credo che contribuire, come pastore, all’edificazione di una Chiesa tesa a far proprio lo spirito che le sta dando papa Francesco, costituisca l’azione di misericordia più grande per la società del nostro tempo. Una comunità che sia tale, cioè sempre più includente e non escludente, è capace, a partire dall’appartenenza a Gesù Cristo, di percorrere le vie evangeliche che la avvicinano al cuore di ‘ogni’ uomo e di ‘tutto’ l’uomo, sapendo rispettare in ciascuno la dignità e la vocazione di figlio di Dio”.
Pubblicato su www.acistampa.com