Card. Capovilla: innamorato della misericordia di Dio

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Nell’omelia per il funerale del card. Loris Francesco Capovilla, mons. Francesco Beschi, vescovo della diocesi di Bergamo, così ha ricordato il segretario di papa san Giovanni XXIII:

“Papa Francesco, ultimamente, ci ha detto che la speranza dell’umanità è rappresentata dai giovani. Ha tuttavia aggiunto che la speranza dei giovani sono i vecchi, perché sono loro, tramandando la memoria della vita e della fede, ad aprire una strada verso il futuro. Una memoria di questo tipo ci è stata appunto consegnata dal cardinale Loris Francesco Capovilla…

Evitando il pericolo dell’esteriorità e della superficialità, monsignor Capovilla ha improntato l’intera sua vita a una continua ricerca dell’autenticità: l’uomo che accanto a Papa Giovanni, come suo segretario particolare, è stato di fronte al mondo, ha scelto poi di vivere per decenni qui, nella comunità di Sotto il Monte, continuando però a mantenere relazioni che avevano l’ampiezza e il respiro del mondo”.

Leggendo queste frasi dell’omelia funebre mi ritorna in mente il ricordo di un incontro con il cardinale a Sotto il Monte alcuni anni fa in un incontro, organizzato da Pax Christi. Al termine dell’incontro mi avvicinai per ringraziarlo e gli dissi che ero di Tolentino. Subito gli si illuminarono gli occhi, perché, quando era delegato pontificio per il santuario mariano di Loreto, aveva conosciuto Luigi Rocchi, ora venerabile, morto nel 1979 colpito dal ‘morbo di Duchenne’, che andava a trovare di frequente.

Il cardinale chiamava Rocchi il suo ‘maestro’ perché ‘era un crocifisso vivo’ e mantenne sempre una preziosa amicizia epistolare. Nella deposizione per il processo di beatificazione il card. Capovilla così ha testimoniato: “Lui stesso un giorno mi confidava che, quando aveva 16/18 anni, più di qualche volta ha sentito la tentazione della disperazione. Ma è naturale che l’abbia sentita questa, però sempre riaffiorava questo principio fondamentale, questo criterio di vita, questo comandamento di vita: Gesù ti ama! E questo l’ha aiutato non solo a vivere ma ad operare”.

Nell’introduzione alla seconda edizione del libro ‘Tuo Luigi’ (1992) il card. Capovilla così ha scritto: “Ho avuto il piacere di conoscere Luigi Rocchi sull’ultimo scorcio della sua vita, quand’era ormai un provetto professionista del dolore e aveva collaudato il difficile mestiere dell’infermo; sulle prime immaginavo di dover consolare un uomo e rispondere a terribili e inquietanti interrogativi. Invece no, lo capii subito, e ne rimasi come abbacinato. Egli dava molto di più di quanto ricevesse…

Ebbe cuore grande e buono. Amò con tenerezza e fortezza inespugnabile. Apprezzò l’amore limpido dei fidanzati e l’amore casto dei coniugi; ebbe nostalgia di paternità e ne fece olocausto meritorio sull’altare della croce. Amò le creature tutte: i bimbi, i vecchi, i malati, i carcerati; la terra, le stelle, le acque, le montagne, i fiori, gli uccelli. Apprezzò i valori che fanno crescere l’uomo e lo aiutano a migliorarsi: il lavoro, la musica, lo sport, la poesia, la narrativa. Gli chiesi un giorno se gli capitasse sovente di lamentarsi, magari nelle ore di solitudine, o ritenendosi abbandonato da persona amica o magari a motivo di ricorrenti incomprensioni.

Mi rispose: ‘No, mia mamma mi ha insegnato che il Padre mi ama. Talvolta mi è accaduto, sui vent’anni, di sentirmi provocato alla disperazione, ma subito mi riecheggiava nell’intimo la parola semplice e ferma di mia madre: Luigi, Iddio ti ama!’… Questa la lezione vissuta da Luigi Rocchi, lasciata in eredità a uomini e donne che siano umili lettori dei ‘segni dei tempi’. Egli, l’handicappato, è stato misericordioso samaritano per tanti suoi simili imbattutisi nei predoni delle tragiche strade del mondo”.

Questa testimonianza di sacerdote aperto alla misericordia di Dio è testimoniato da un suo libro, ‘I miei anni con Papa Giovanni XXIII. Conversazione con Ezio Bolis’: “Poco tempo mi separa dal ‘redde rationem’ e io debbo ridurre tutto ai termini più semplici, sbarazzarmi di residua zavorra, patetici diari e album illustrativi, romantiche fantasie e sterili rimpianti. Devo ricondurre tutto all’essenziale e puntare la prora verso il porto…

Cos’è stata la mia parabola! Mi sono sentito attratto al sacerdozio sin da ragazzo, cresciuto nella provincia veneta in una famiglia priva di censo e senza storia, fondata su principi indiscutibili, custode di valori originari, cristiana quanto bastava. Invitato a lasciarmi plasmare da Cristo e a immergermi nella tradizione millenaria della Chiesa, provai a rispondere sin da principio all’interrogativo cui nessuno può sfuggire:

‘Chi è Gesù per me?’. Dovetti dare una risposta non elusiva e la diedi: ‘Gesù è il figlio di Maria Vergine, il Salvatore, il Maestro, il fondatore della Chiesa, il Risorto, il Vivente’… Nutro fiducia sulle sorti del pianeta Terra. Continuo a proporre attenuanti alle colpe dell’umanità, non per inclinazione al vituperato buonismo, ma per dovere di giustizia temperata dalla misericordia”.

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