L’Italia non è un Paese felice?
Nei giorni scorsi è stato pubblicato un rapporto mondiale sul ‘prodotto interno della felicità’, alternativo al Pil più classico come indicatore di sviluppo e che non misura il benessere delle società in termini di percentuali economiche, denominato ‘World Happiness’, che classifica 156 Paesi, presentato nei giorni scorsi a Roma.
Il Rapporto 2016 individua i primi 10 Pesi nelle stesse posizioni dello scorso anno anche se l’ordine in classifica è cambiato: la Danimarca riconquista il 1° posto, seguita da Svizzera, Islanda e Norvegia. Seguono nella top 10 Finlandia, Canada, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Australia e Svezia. Gli Usa si classificano al 13° posto, due posizioni più in alto rispetto allo scorso anno, Germania è 16°, il Regno Unito è 23° e Francia è 37°; l’Italia non migliora rispetto al 50° posto di un anno fa, preceduti da Uzbekistan, Malaysia e Nicaragua, registrando il maggiore calo della felicità negli ultimi anni. Alcuni Paesi soffrono di un insieme di tensioni economiche, politiche e sociali. Tre di questi (Grecia, Italia e Spagna) sono tra i Paesi dell’Eurozona più colpiti dalla crisi, afferma il rapporto. Siria, Afghanistan e otto paesi della fascia sub-sahariana sono i luoghi meno felici in cui vivere. Il Burundi è l’ultimo in classifica.
Quest’anno, per la prima volta, il Rapporto sulla Felicità ha affidato un ruolo speciale alla misurazione e le conseguenze della disuguaglianza nella distribuzione del benessere tra i Paesi. Nelle precedenti edizioni gli autori avevano sostenuto che la felicità fornisse un migliore indicatore del benessere umano rispetto a reddito, povertà, educazione, salute e buon governo, misurati separatamente. Ora emerge che la disuguaglianza nella felicità fornisce una misura più ampia della disuguaglianza in senso stretto.
Risulta che le persone sono più felici vivendo in società in cui c’è meno disuguaglianza di felicità. Si evidenzia anche che la disuguaglianza di felicità è aumentata in modo significativo (confrontando il periodo 2012-2015 rispetto al 2005-2011) nella maggior parte dei Paesi, in quasi tutte le regioni del mondo, e per la popolazione del mondo nel suo complesso. Come nei rapporti precedenti, Il Rapporto Mondiale sulla Felicità 2016 esamina i trend dei dati registrando come le persone valutano la loro vita su una scala che va da 0 a 10.
Le classifiche, basate su indagini in 156 Paesi nell’intervallo 2013-2015, rivelano un punteggio medio di 5,1 (su 10). Sette variabili fondamentali spiegano i tre quarti delle variazioni nei punteggi annuali medi nazionali: il pil reale pro capite, l’aspettativa di vita in buona salute, l’avere qualcuno su cui contare, la libertà percepita nel fare scelte di vita, la libertà dalla corruzione e la generosità.
Il focus di questo rapporto è stato sulle conseguenze della disuguaglianza nella distribuzione del benessere: le persone si dimostrano più felici vivendo in società nelle quali le disuguaglianze sono ridotte. Quindi i Paesi del Nord Europa si confermano ai primi posti nel Rapporto; secondo il prof. Luigino Bruni, docente di economia dell’Università Lumsa, che ha curato un capitolo dello stesso Rapporto, la spiegazione sta nel “come è stato costruito l’indicatore di felicità, per cui questi Paesi hanno molte caratteristiche che vanno nella direzione giusta, come ad esempio la cura dell’ambiente o i servizi pubblici efficienti. Sorprende notare che nel Rapporto, i Paesi sudamericani come il Brasile e il Costa Rica abbiano lo stesso livello di felicità degli Stati Uniti, mentre l’Italia sia 30 posizioni dopo la Germania.
Il pil non basta a misurare il benessere e le recenti elezioni irlandesi, in cui il governo è stato sonoramente sconfitto nonostante una crescita sulla carta del 7%, lo dimostrano chiaramente. La felicità (soddisfazione di vita) è una misura sintetica molto importante a cui la politica e i media dovrebbero fare particolare attenzione perché in grado di catturare tutti i fattori che incidono sulla soddisfazione dei cittadini. Questi dati ci dicono che la felicità è molto più difficile da definire di quello che possiamo credere. Quello che sicuramente va fatto è non guardare solo ai redditi pro capite nei Paesi ma parlare con le persone e vedere come si percepiscono”.
Durante la Conferenza internazionale sulla felicità il prof. Stefano Zamagni, docente di Economia politica all’Università di Bologna, non ha mostrato molta preoccupazione per la posizione italiana ed ha affermato che occorre però rivedere i parametri: “Il 50° posto dell’Italia nella classifica mondiale dei Paesi più felici ci deve stimolare e sono convinto che nel prossimo futuro i disappunti che ha sollevato determineranno un cambiamento…
La metrica su cui si basa è di stampo anglosassone e come tale rispecchia una logica utilitaristica che fa confondere la felicità con l’utilità. Di conseguenza, quest’anno al primo posto vediamo la Danimarca ma se dico a un italiano che un danese è più felice di lui, si mette a ridere perché se c’è un Paese con un tasso di suicidi altissimo è proprio la Danimarca.
Gli esperti internazionali si sono resi conto dell’importanza del Bes, l’indice del benessere equo e sostenibile introdotto da tre anni in Italia, e si sono detti disponibili a rivedere i criteri per misurare la felicità come i beni relazionali, ovvero l’amicizia o il matrimonio”.