Le suore salesiane sono pellegrine di misericordia

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Se qualcuno vuole indicare un santo che in età moderna abbia incarnato la misericordia, quello non può essere che don Giovanni Bosco, che ha voluto condividere la ‘delicatezza di Dio’ con i ragazzi di Torino, capitale del Regno d’Italia, insegnando loro che la confessione era il mezzo più efficace attraverso il quale l’amore di Dio, la sua grande misericordia, supera ogni loro errore. Egli è riuscito a tradurre tutto questo con l’amorevolezza, che costituisce, insieme alla ‘ragione’ e alla ‘religione’, un caposaldo del suo ‘sistema preventivo’.

Partendo dall’esempio del santo torinese la Madre superiore delle Figlie di Maria Ausiliatrice, suor Yvonne Reungoat, invita le proprie consorelle ad essere pellegrine di misericordia, invitandole ad approfondire i contenuti della bolla papale d’istituzione del giubileo:

“Vi invito a scoprirne la profondità teologica e pastorale e a farne oggetto di conversione personale e comunitaria, di nuova vitalità interiore, di misericordia e di perdono, di felicità evangelica, di servizio incondizionato a chi è in situazione di disagio e di sofferenza”.

La misericordia di Dio verso l’umanità si è incarnata in Gesù: “In Gesù la misericordia di Dio si incarna, si rende vicina, raggiungibile. Per questo è indispensabile guardare a Lui per imparare che cosa sia misericordia e come viverla nella nostra realtà”. L’attenzione di Gesù ai bisogni degli ‘ultimi’ deve essere per le suore salesiane un momento di riflessione:

“La sua misericordia non si esaurisce mai, dà sempre alla persona una possibilità di riscattarsi. Dio, in Gesù, ha manifestato con molti segni la sua compassione: sfama le folle, prova compassione per chi lo segue senza sosta, senza riposo e senza ristoro”. Dalla consapevolezza dell’infinito amore di Dio deve nascere l’impegno a vivere in profondità la Sua misericordia:

“La misericordia è il criterio di credibilità di ogni cristiano e di noi religiose dentro il popolo di Dio. E’ la parola-chiave per capire l’agire di Dio, ma anche l’agire dei figli di Dio. Come ama il Padre, così siamo chiamate ad amare anche noi accogliendo, in piena disponibilità, i sacrifici che tale amore richiede, fino anche al martirio”.

Ed ha ricordato le azioni di misericordia dei fondatori, don Bosco e madre Mazzarello, che hanno incentrato il loro apostolato intorno alle parole misericordia-tenerezza-amorevolezza: “I nostri Fondatori sono stati veramente una ‘parola’ credibile di misericordia nel senso pieno del termine: hanno donato fino all’ultima fibra del loro cuore ai piccoli, agli ultimi, ai miseri, ai giovani poveri.

L’essere poveri, fragili, bisognosi di aiuto era per loro motivo sufficiente per ‘amarli assai’ e aiutarli a crescere in dignità umana e cristiana come ‘buoni cristiani e onesti cittadini’. Il progetto carismatico di don Bosco è un progetto di amore e di misericordia perché non solo educa i giovani, ma li educa nella gioia e nell’amorevolezza, nella bontà e nella responsabilità verso la vita…

Don Bosco è l’apostolo della confessione per i giovani, perciò l’apostolo della misericordia di Dio, del perdono, della speranza”. Eppoi ricorda anche l’apostolato per le ragazze di suor Mazzarello: “Anche Maria Domenica, fin da ragazza, ha svolto una missione nel segno della misericordia, del prendersi cura delle ragazze.

Questa missione che già svolgeva spontaneamente è stata affidata a lei e alle sue compagne fin dagli inizi della fondazione dell’Istituto da parte di don Bosco: ‘Fate del bene più che potete’. Il bene urge, la compassione e la misericordia hanno carattere di urgenza. I poveri non possono aspettare, hanno diritto di precedenza. Madre Mazzarello, pur così esigente con se stessa e attenta alla formazione delle suore, raccomanda loro di non far conto delle inezie, ma di centrarsi sull’essenziale: l’incontro con Gesù”.

Nella lettera la madre superiora rivela il suo sogno, che è quello di costruire comunità ricche di misericordia nello stile del sistema preventivo salesiano: “Coltiviamo un cuore largo nel perdonare, aperto ad ospitare nella propria dimora interiore chiunque bussi alla porta della nostra casa; una casa che non deve presentarsi come una fortezza, ma come un ponte su cui gli altri possano passare con sicurezza sentendosi accolti con benevolenza e amore”.

E sull’esempio di don Bosco invita ad andare verso le ‘periferie esistenziali’ per riscaldare i cuori: “Andiamo verso le periferie esistenziali, verso i giovani, che ne fanno parte, anche quelli che non sembrano tra i più poveri materialmente. C’è tanta solitudine nel mondo. C’è tanto abbandono e anche disperazione nella vita dei giovani.

Don Bosco ha iniziato la sua missione nutrendo compassione per i giovani che affollavano le carceri di Torino perché soli e abbandonati. Aveva compreso che solo una misericordia preventiva poteva salvarli da situazioni di pericolo, restituendo loro dignità e futuro.

L’ha fatto con saggezza e lungimiranza e ha saputo portare i giovani a gustare la vera felicità di sentirsi amati da Dio e di essere evangelizzatori di altri giovani”.

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