Il Sermig dona tre giovani alla Chiesa
“Il rinvigorimento e il rinnovamento della vita consacrata avvengono attraverso un amore grande alla regola, e anche attraverso la capacità di contemplare e ascoltare gli anziani della Congregazione. Così il ‘deposito’, il carisma di ogni famiglia religiosa viene custodito insieme dall’obbedienza e dalla saggezza.
E, attraverso questo cammino, siamo preservati dal vivere la nostra consacrazione in maniera light, in maniera disincarnata, come fosse una gnosi, che ridurrebbe la vita religiosa ad una ‘caricatura’, una caricatura nella quale si attua una sequela senza rinuncia, una preghiera senza incontro, una vita fraterna senza comunione, un’obbedienza senza fiducia e una carità senza trascendenza”:
iniziando dalle parole pronunciate da papa Francesco durante l’omelia della celebrazione eucaristica per la XIX Giornata mondiale sella vita consacrata, abbiamo posto alcune domande a Simone Bernardi, Andrea Bisacchi e Lorenzo Nacheli, appartenenti alla Fraternità della Speranza del Sermig (Servizio Missionario Giovani), che il 3 ottobre scorso a Torino sono stati ordinati presbiteri dall’arcivescovo, mons. Cesare Nosiglia.
Quali sono i sentimenti dopo aver pronunciato il sì sacerdotale?
“Il sì che abbiamo pronunciato all’ordinazione sacerdotale è stato preparato come una grande vela, cucita negli anni, confezionata un pezzetto alla volta, ma già allenata ad essere issata in qualsiasi momento. Una vela capace di distendersi, di allargarsi, proprio come un sì, che può crescere continuamente.
Il sì sacerdotale può forse sembrare un sì più evidente, ma siamo profondamente consapevoli che il Sermig, la Fraternità della Speranza e la Chiesa di cui facciamo parte sono come una grande imbarcazione che procede soltanto grazie al vento dello Spirito che spinge su tantissime vele pronte ad accoglierlo.
Consapevoli di questa fraternità, di questa comunione, pensiamo che il nostro sì al sacerdozio sia frutto della gioia e della disponibilità che abbiamo visto nei tanti sì che non vogliono smettere di allargarsi, di moltiplicare la propria superficie, affinché questo viaggio, che non ci appartiene, ma che cerchiamo di fare nostro ogni giorno, possa continuare: è il viaggio con Gesù, il vero motivo del nostro metterci in cammino.
Il 3 ottobre, durante la celebrazione dell’ordinazione, avevamo bene in mente tutte queste vele che ci hanno accompagnato e sostenuto negli anni. Quel giorno, un vento impetuoso è entrato nel Duomo di Torino, un’emozione grande si sentiva fisicamente, si vedeva nei volti dei presenti che sino ad un attimo prima ci chiedevano sorridendo: ‘Siete pronti?’ Noi lo sapevamo, eravamo ‘pronti’ grazie al sì di tanti, all’esempio di ognuno di loro.
Allora il nostro sì, il nostro aprirci come una vela un po’ più in evidenza, non è stata per nessuno, tantomeno per noi, un mettersi in evidenza, ma semplicemente era la gioia di poter accogliere ancor di più il vento, disponibili ad un servizio più intenso.
Il sì sacerdotale è la continuazione di una scelta, quella di diventare vela pronta ad accogliere le sfide della comunità, disponibile a vivere la bontà insegnata da Gesù, preparata a farsi in quattro per chi fa più fatica. Se non fosse così, a cosa servirebbero le nostre vele spiegate? La nostra felicità non è nostra, è di tutti, è un’emozione permanente che d’ora in poi desideriamo portare sull’altare affinché le nostre vele, i nostri sì siano contagianti”.
Cosa significa offrire la vita al Signore?
“Offrirsi al Signore dovrebbe essere la normalità di chi ha incontrato Gesù. Una volta incontrato non si può fare a meno di stare con Lui, è come chi incontra l’amore della sua vita: è disposto a fare di tutto per stare con lui o con lei…
Ma dobbiamo imparare a capovolgere il nostro punto di vista: non siamo noi che offriamo la nostra vita al Signore, ma è Gesù che si dona ad ognuno di noi, senza se e senza ma, senza condizioni, gratuitamente.
Ce lo dice nella Parola di Dio, continua a dircelo in ogni momento della nostra vita, ce lo ridice quando ci fa stare a tu per tu con Lui e ci perdona, ma soprattutto c’è lo ripete quando ci fa incontrare quelli che Lui ama e che hanno bisogno del Suo amore.
Come si fa a non donarsi ad un amore così? L’esempio da seguire continua ad essere quello di un buon papà e di una buona mamma, che anche con i loro difetti, con tutte le loro incapacità, ce la mettono tutta per amare i figli che il Signore gli ha donato. I figli, dono del Padre a cui bisogna donarsi.
Per questo ci rivolgiamo al nostro Dio come ad un padre, Padre Nostro… Offrire la nostra vita al Signore allora significa amare profondamente la vita, con tutto noi stessi, con la grandezza dei nostri limiti (perché è proprio lì che il Signore opera con più forza), sempre pronti a far spazio agli altri”.