Fare cultura in tempo di crisi. L’esperienza de “L’Asina di Balaam”.

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L’associazione “L’Asina di Balaam”, nata nel 2005 a Milano, è una libera associazione, apartitica e senza scopo di lucro, che da dieci anni promuove occasioni di dialogo e di confronto tra fede cristiana e mondo della cultura. Per questo promuove attività formative, culturali ed editoriali.

Tra i suoi fondatori, che annovera Girolamo Pugliesi, insegnate di religione cattolica nella diocesi di Como, e don Luigi Galli, docente e assistente spirituale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, il prof. Stefano Biancu, “privat-docent” di Etica all’Università di Ginevra, al quale abbiamo posto alcune domande.

Di che cosa si occupa l’Associazione “L’Asina di Balaam”? Quale è la sua mission?
L’Associazione L’Asina di Balaam (www.lasinadibalaam.it) è nata a Milano, circa 10 anni fa – era il 27 settembre 2015 – con il fine di impegnarsi nell’ambito di quella che – con un’espressione difficile e oggi forse non più alla moda – si potrebbe chiamare “mediazione culturale”. Essa consiste in uno sforzo duplice.

Per un verso nel mettersi in ascolto della cultura – o, meglio, delle culture – che vanno elaborandosi nel proprio tempo, nella convinzione che in esse si trovi qualcosa di essenziale per la propria vita di esseri umani e di cristiani: qualcosa che ci consenta di “comprendere sempre meglio” il Vangelo, secondo la bella espressione di papa Giovanni.

Per altro verso, la mediazione culturale è lo sforzo di rileggere il proprio tempo alla luce della fede, offrendo la prospettiva di uno sguardo che è certamente interno al proprio tempo (siamo noi stessi donne e uomini di oggi), ma che è alimentato da una Parola che viene dall’esterno e che, pur essendo antica, è sempre nuova e dirompente. Una Parola che dunque, in qualche modo, ci giudica: ci spinge ad una simpatia piena verso il nostro tempo, ma ci spinge anche a denunciarne i limiti e i tradimenti di quegli stessi aneliti alla libertà, alla giustizia, alla pace che lo attraversano.

Sono ormai trascorsi tre anni dall’inizio della pubblicazione di “Munera. Rivista europea di cultura”. Si può fare un bilancio? Quali prospettive?
Munera (www.muneraonline.eu) – che con il numero in uscita compie il quarto anno di vita – è una bella sfida, forse la più coraggiosa finora affrontata. Assistiamo infatti, proprio in questi giorni, alla cessazione delle pubblicazioni di riviste importanti, che hanno dato moltissimo alla cultura – non solo cattolica – del nostro Paese: è di poche settimane fa l’annuncio, davvero scioccante, dell’imminente chiusura de Il Regno.

Munera nasce dunque in un contesto economico e sociale difficile, se non addirittura ostile. Ma nasce piena di speranze, non tanto in una propria sopravvivenza infinita – tutto ha una fine ed è bene che ce l’abbia – quanto nel fatto che la crisi che viviamo e di cui sperimentiamo sulla nostra pelle gli effetti brutali ha qualcosa delle doglie del parto: fa soffrire molto, ma prelude a qualcosa di nuovo e, potenzialmente, di bello.

In un tempo in cui i problemi si fanno terribilmente complessi e in cui si ha costantemente la tentazione di delegare tutto ai tecnici, agli esperti, Munera intende andare alla ricerca della profondità umana di ogni questione, di ogni problema. Occorrono certamente le soluzioni tecniche, ma occorre anche non perdere di vista che alla base di ogni problema economico, sociale, politico, giuridico, c’è l’uomo, con le sue aspirazioni infinite (e con le sue piccolezze e meschinità).

Nessuno di noi ha il diritto di disinteressarsi dei problemi del proprio tempo perché troppo complessi, troppo tecnici. Munera vorrebbe offrire strumenti per abitare il proprio tempo, per comprenderlo, per gustare quanto in esso c’è di vero e di bello e per cercare di denunciare quanto – purtroppo – in esso c’è di male, di ingiustizia, di sopraffazione. Il compito è immenso e abbiamo pensato che per esserne all’altezza occorresse una prospettiva non circoscritta ai confini nazionali: di qui l’apertura europea della rivista e il grande numero di traduzioni di autori internazionali che essa ospita.

Ciò a cui stiamo assistendo è con tutta probabilità la fine di un mondo, ma certamente non la fine del mondo. Questo apre un campo infinito di impegno, e di speranze. Davvero “è soltanto l’aurora”, per citare ancora una volta papa Giovanni.

Si è da poco concluso il seminario (1-5 agosto) che “Munera” da due anni organizza presso la Cittadella di Assisi. Perché ritrovarsi nel bel mezzo dell’estate per cercare di comprendere quale è lo sguardo cristiano sul mondo?
L’anno scorso ad Assisi ci siamo occupati del lavoro, che è uno dei grandi problemi del nostro tempo: il lavoro manca e quando c’è assume troppo spesso le forme di un moderno schiavismo. Non potevamo non occuparcene.

Quest’anno ci siamo invece concentrati su un’altra difficoltà che è tipica del nostro tempo: la difficoltà di diventare adulti responsabili, capaci di scelte che impegnano la vita; difficoltà che si accompagna ad una incapacità di restare bambini, di conservare uno sguardo fanciullesco sulla realtà.

Siamo diventati degli eterni adolescenti alla costante ricerca della propria libertà (e in costante fuga da essa), ma adolescenti con uno sguardo spento, da vecchi disincantati che non hanno più nulla da attendersi di nuovo e di sorprendente dalla vita: è come se avessimo già visto tutto e toccato con mano la vanità di ogni cosa.
Lo sguardo cristiano sul mondo è uno sguardo fanciullesco, capace di cogliere in ogni cosa il nuovo che si annuncia, ma anche capace di una forte responsabilità nei confronti del mondo. Di questo sguardo, crediamo, il mondo ha bisogno.

Che cosa è il “Terebinto”?
Il “Terebinto” è una collana di piccoli libretti di 48 pagine ciascuno e dal costo molto contenuto (2 euro): li abbiamo pensati come libretti da tram, che si possano tenere in tasca e magari leggere nel tragitto quotidiano tra casa e lavoro. Siamo bombardati dai discorsi, ma affamati di parole buone, che ci nutrano.

Abbiamo pensato che dei libretti brevi e semplici, ma densi e profondi, e accessibili a chiunque dal punto di vista del costo, fossero una buona risposta a questa esigenza. Cittadella Editrice si è dimostrata molto sensibile a questa sfida che oggi, alla luce dei dati delle stampe e delle vendite, possiamo dire sia stata vinta: del Terebinto c’era bisogno.

Ci sono altre iniziative culturali in programma?
Ce ne sono diverse sia per quanto riguarda il potenziamento di quelle già esistenti (in particolare Munera e il Terebinto), sia per quanto riguarda nuovi ambiti. In particolare stiamo studiando la possibilità di una diffusione “popolare” dei tesori dei Padri della Chiesa: autentiche miniere purtroppo quasi interamente sconosciute al popolo cristiano.

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