Giacomo Biffi: contro maestro Ciliegia

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Nella scorsa settimana si è spento all’età di 87 anni l’arcivescovo emerito di Bologna, card. Giacomo Biffi, nato a Milano il 13 giugno 1928, compiuti gli studi scolatici nei seminari della diocesi ed ordinato sacerdote il 23 dicembre 1950 dal card. Alfredo Ildefonso Schuster. Si laureò in teologia nel 1975 con una tesi su ‘La colpa e la libertà nell’odierna condizione umana’.

Nell’omelia per le sue esequie l’arcivescovo della città, card. Carlo Caffarra, ha affermato: “Ho potuto constatare più di una volta che quando parlava del disegno di Dio dentro la storia umana, era preso come da una sorta di incanto che lo affascinava. Un religioso, visitandolo negli ultimi giorni, meravigliato dalla sua serenità e pace interiore, gliene chiese la ragione. Rispose: ‘La considerazione dell’unitotalità che ho imparato leggendo i teologi russi’.

Cioè la considerazione che tutto è integralmente e simultaneamente sotto lo sguardo della misericordia di Dio. Questo modo di guardare la realtà gli dava una grande libertà di giudizio (ubi fides, ibi libertas: era il suo motto, preso in prestito da sant’Ambrogio) sui fatti di oggi e del passato, anche dal punto di vista rigorosamente storico”.

In effetti la sua vis polemica ha permesso di andare alla radice degli eventi, come ha scritto nel suo più ‘gettonato’ libro: ‘Contro maestro Ciliegia’, che è un prezioso (ancora oggi a quasi 40 anni dalla sua prima edizione) commento teologico alle Avventure di Pinocchio.

Il tema centrale di Pinocchio, secondo Biffi, è il tema della libertà, strettamente connesso con quello della paternità: “La scelta di un burattino legnoso come protagonista della narrazione è anch’essa una cifra: è in fondo il simbolo dell’uomo, che da ogni parte viene condizionato, è schiavo degli oppressori e dei persuasori occulti. E rimane legato a fili invisibili che determinano le sue decisioni e rendono illusoria la sua libertà.

Se Pinocchio non resta prigioniero del teatrino di Mangiafuoco è perché a differenza dei suoi fratelli di legno riconosce e proclama di avere un padre. E’ questo il segreto della vera libertà, che nessun tiranno può portar via… Quello che mi ha sempre colpito è l’oggettiva concordanza di struttura tra la fiaba e l’ortodossia cattolica”.

Nel primo capitolo, intitolato ‘Le sorprese di un materialista’, tratteggia il ritratto di una società perfetta, scientista: “L’uomo nasce da un pugno di materia viva che anarchicamente si è trovata una sua linea di sviluppo. Questo sviluppo prosegue ancora implacabile, mettendo seriamente a repentaglio l’ordine cieco, sordo e noioso della così detta natura. Chi sa che esiste lo Spirito, non se ne meraviglia.

Ma un tipo come maestro Ciliegia resta senza fiato e arriva alle ipotesi materialisticamente più eterodosse: Che vi sia nascosto dentro qualcuno? Come a dire: che non sia vero che un pezzo di legno sia solo un pezzo di legno? Il suo buon senso però alla fine si impone e gli detta la regola fondamentale di tutti gli uomini come lui: lo non lo posso credere”.

Questa tesi di essere persona e non omologati traccia tutti gli interventi del card. Biffi come quello che sentii durante il Meeting di Rimini nel 2000, in cui parlò su ‘Gesù di Nazareth: la fortuna di appartenerGli’ con fine umorismo: “Vi rivelo un segreto: noi credenti abbiamo una grande fortuna. Grande è la fortuna di chi è cristiano, cioè appartiene, sa di appartenere, vuole appartenere a Cristo. E’ grande la fortuna dei credenti in Cristo.

Non andate a dirlo agli altri perché non lo capirebbero, potrebbero anche aversene a male: potrebbero magari scambiare per presunzione il nostro buonumore per la felice consapevolezza di quello che siamo; addirittura potrebbero giudicare arroganza la nostra riconoscenza verso Dio Padre che ci ha colmati di regali…

Il dilemma tra essere increduli e essere credenti è in realtà il dilemma tra il ritenersi collocati dentro un guazzabuglio insensato e il conoscere di essere parte di un organico e rasserenante disegno d’amore. L’alternativa, a ben considerare, sta tra un assurdo che ci vanifica e un mistero che ci trascende; alternativa che esistenzialmente diventa quella tra un fatale avvio alla disperazione e una vocazione alla speranza”.

Predicando, nel 2007, gli esercizi spirituali quaresimali a papa Benedetto XVI, affermò: “In Cristo noi sappiamo chi siamo e quale ultimo traguardo ci aspetti: se egli è ‘Salvatore’, allora noi non siamo degli ‘autonomi’, siamo dei ‘salvati da lui’; se egli è un crocifisso, allora ci rendiamo conto che la strada della croce è anche la nostra strada; se egli è risorto e glorioso, allora siamo certi che il nostro definitivo destino è la pienezza della vita eterna e la gloria;

se egli è Figlio, noi siamo figli in lui dello stesso Padre celeste; se egli è l’uomo realizzato pienamente, allora ogni valore e ogni positività umana ci avvicina e ci conforma a lui; se egli è ‘Dio vero da Dio vero’, allora un’arcana ma effettiva partecipazione alla natura divina è, nella vita di grazia, la nostra impreveduta ricchezza.

L’uomo del nostro tempo è afflitto da una tristezza ineludibile e da un sottile sentimento di angoscia, soprattutto perché è ‘smemorato’: non ricorda più la sua origine e la sua mèta; ha dimenticato che cosa è venuto a fare sulla terra; ha perso di vista chi propriamente egli sia entro la variegata famiglia delle creature ignare. Da questo stato di alienazione ci scampa il ricordo di Cristo”.

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