Papa Francesco a Torino: educare con amore
Dopo l’intensa mattina nel primo pomeriggio papa Francesco si è recato nella Basilica di Santa Maria Ausiliatrice, dove ha incontrato i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice, accolto nella piazza antistante da tanti giovani. Nella basilica il papa si è raccolto in preghiera, davanti al corpo di san Giovanni Bosco, che ha aperto le porte della Chiesa a quei giovani sfruttati ed abbandonati, dando loro una speranza di vita, con il motto: ‘State allegri’.
Dopo il saluto ai salesiani il Rettor Maggior,don Angel Fernandez Artime, ha dato il benvenuto: “Dire don Bosco a Torino vuol dire ricordare un prete che ha dedicato tutta la sua vita per la gioventù, la quale proveniva dalle periferie della città e dalle contrade del Piemonte, giovani poveri, senza lavoro, senza affetto, senza gioia, la cui fede nel Signore era spenta perché nessuno faceva loro il catechismo, dava loro la bella notizia del Vangelo.
Don Bosco iniziò tutto con un’Ave Maria, nella forma di un oratorio, che si prolungò in istituzioni varie, misurate sempre sui bisogni dei giovani, quelli poveri anzitutto, non senza contrasti anche gravi, ma superati con l’aiuto di autorità religiose ed anche civili che comprendevano il valore della sua azione educativa. Lei sa meglio di noi che parlare di don Bosco equivale a dire passione evangelizzatrice ed educativa: il richiamo ai giovani è continuo, è bello, è benedetto da Dio; per questo qui fuori, sulla Piazza, ci sono ragazzi e ragazze che l’attendono.
Ma questo è anche carico di responsabilità, che richiede di fare propri i suoi scopi, il suo stile, la sua generosità. Di fronte a tanto impegno cui ha dedicato tutte le sue energie, don Bosco ha sempre dato una precisa motivazione: Dio vuole la salvezza dei giovani, di ogni giovane, a partire dai più esposti al disagio umano e religioso. Seguire Don Bosco comporta condividere pienamente la sua missione, uscendo da posizioni ristrette e comode, verso le periferie, come Lei ci insegna con vivacità”.
Dopo il saluto papa Francesco ha consegnato il discorso al Rettor Maggior ed ha parlato a ‘braccio’, ricordando l’incontro con il Rettor Maggiore nel santuario di Lujar con un milione di giovani: “Abbiamo avuto buoni rapporti anche nei momenti brutti. Mi ha colpito la sua umiltà… Vorrei parlarvi della mia esperienza con i salesiani, perché la mia famiglia era molto attaccata ai salesiani. Mio papà si è affezionato alla squadra di calcio che aveva fondato un salesiano, don Lorenzo, nel 1908 con i colori della Madonna con i ragazzi di strada… Sono andato a confessarmi da lui, che mi ha guidato nella scelta del mio sacerdote… Dopo il quinto parto mia mamma ci ha mandato dai Salesiani, che mi ha guidato alla bellezza ed al lavoro…”.
Poi ha affrontato il tema dell’educazione sentimentale alla maternità ed alla paternità: “Credo che don Bosco era capace educare i ragazzi all’affettività perché aveva una mamma eccezionale: non si può capire don Bosco senza mamma Margherita…”. Dall’affettività il papa ha ricordato che i giovani vanno educati in questo tempo di crisi anche al lavoro attraverso la formazione professionale: “Alla fine ‘800 in questa regione anticlericale quanti santi sono usciti. Il Signore ha dato una missione alle famiglie del tempo.
Oggi tante cose sono migliorate, ma la situazione dei ragazzi è uguale e don Bosco ha rischiato il suo ministero. Oggi con una situazione con 40% di giovani senza lavoro voi salesiani avete la stessa sfida di don Bosco, che ha usato lo sport e l’educazione: piccole scuole per educarli ai mestieri… Oggi i salesiani sono capaci di educare questi ragazzi in questi mestieri? Educazione nella misura della crisi… Diamogli qualcosa che sia fonte di lavoro… un mestiere pratico… La creatività salesiana deve prendere queste sfide e portarli alla gioia salesiana, che non dimentico mai… Educazione a misura della crisi”.
Parlando sempre a braccio ha ricordato padre Lorenzo che ha fornito una ‘mistica sportiva’ a quei ragazzi che vivevano nella strada: “E’ un momento di crisi e di antichiesa ma don Bosco non si vergognava dei suoi tre amori: madonna, eucarestia e papa. Nel 1978 sono andato in Belgio e sono stato invitato da questi professori che parlavano della Chiesa e dicevano ‘La Madonna non va…’… Il primo amore di don Bosco era la Madonna.
Il secondo amore è l’Eucarestia con le adorazioni, perché egli amava la Chiesa… Faceva amare la Chiesa: voi formate le ragazze per diventare madri… La donna nella chiesa ha lo stesso lavoro che aveva la madonna con gli apostoli nella mattina di Pentecoste. Non vergognarsi dell’eucarestia e della santa madre chiesa e di lì imparare l’amore per la Chiesa… La fiducia in Dio: lui pregava Maria Ausiliatrice ed andava avanti. Mi ha aiutato ad andare avanti nella gioia e nella preghiera….
Guardate il ragazzo e prendete decisioni rischiose! Vi ringrazio per quello che fate per la Chiesa, per la missionarietà… Il salesiano è concreto: vede il problema, prende in mano e decide…”. Al termine del dialogo papa Francesco ha pregato Maria Ausiliatrice ed ha impartito la benedizione alla famiglia salesiana. All’uscita della Chiesa ha salutato gli oratoriani ricordando che la caratteristica dell’oratoriano è la gioia, con una preghiera a Maria e impartendo la benedizione: “Pregate per me!”.
Nei pochi metri che separano Valdocco da Cottolengo il papa si è fermato a salutare le persone ed a baciare i bambini. Alla ‘Piccola Casa della Divina Provvidenza’ ha incontrato gli ospiti malati in una visita senza telecamere, soffermatosi più di un’ora con loro, ricordando che san Giuseppe Benedetto Cottolengo:
“Ispirato dall’amore misericordioso di Dio Padre e confidando totalmente nella sua Provvidenza, egli accolse persone povere, abbandonate e ammalate che non potevano essere accolte negli ospedali del tempo. L’esclusione dei poveri e la difficoltà per gli indigenti a ricevere l’assistenza e le cure necessarie, è una situazione che purtroppo è presente ancora oggi”.
Riprendendo l’ormai sua famosa frase della ‘cultura dello scarto’ il papa ha sottolineato: “Con quale tenerezza invece il Cottolengo ha amato queste persone! Qui possiamo imparare un altro sguardo sulla vita e sulla persona umana! Il Cottolengo ha meditato a lungo la pagina evangelica del giudizio finale di Gesù, al capitolo 25 di Matteo.
E non è rimasto sordo all’appello di Gesù che chiede di essere sfamato, dissetato, vestito e visitato. Spinto dalla carità di Cristo ha dato inizio ad un’Opera di carità nella quale la Parola di Dio ha dimostrato tutta la sua fecondità. Da lui possiamo imparare la concretezza dell’amore evangelico, perché molti poveri e malati possano trovare una ‘casa’, vivere come in una famiglia, sentirsi appartenenti alla comunità e non esclusi e sopportati”.
Poi si è rivolto agli ospiti, chiedendo loro di essere testimoni della misericordia: “Cari fratelli ammalati, voi siete membra preziose della Chiesa, siete la carne di Cristo crocifisso che abbiamo l’onore di toccare e di servire con amore. Con la grazia di Gesù voi potete essere testimoni e apostoli della divina misericordia che salva il mondo. Guardando a Cristo crocifisso, pieno di amore per noi, e anche con l’aiuto di quanti si prendono cura di voi, trovate forza e consolazione per portare ogni giorno la vostra croce.
La ragion d’essere di questa Piccola Casa non è l’assistenzialismo, o la filantropia, ma il Vangelo: il Vangelo dell’amore di Cristo è la forza che l’ha fatta nascere e che la fa andare avanti: l’amore di predilezione di Gesù per i più fragili e i più deboli. E per questo un’opera come questa non va avanti senza la preghiera, che è il primo e più importante lavoro della Piccola Casa, come amava ripetere il vostro Fondatore, e come dimostrano i sei monasteri di Suore di vita contemplativa che sono legati alla stessa Opera”.