La Sindone nella Carità: storia di una città

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‘L’Amore più grande’; ‘La bontà è disarmante’: questi due motti mi hanno accompagnato nel pellegrinaggio, promesso a mio figlio Pietro, a Torino per vedere l’ostensione della Sacra Sindone. E la sorpresa si è rivelata appena arrivati al Sermig, dove ho alloggiato.

Infatti alcuni minuti dopo il mio arrivo e la mia sistemazione, incontro e saluto Rossana Tabasso, cofondatrice della Fraternità del Sermig, dicendomi che sono in attesa del pullman, che arriva pochi minuti dopo, che da Roma porta a visitare la Sindone circa 50 pellegrini senza fissa dimora, grazie al regalo di papa Francesco, che ha ‘pagato’ loro il viaggio, mentre il Sermig ha offerto l’ospitalità.

Questo è uno dei tanti segni che dimostra la validità dei santi torinesi; nel percorso verso la Sindone il pellegrino comprende che non può essere disgiunto il trinomio eucaristia, carità ed azione sociale, come ha scritto per i suoi ragazzi nella prima metà del XIX secolo don Giovanni Bosco nella ‘Storia Sacra’: “Giuseppe di Arimatea aiutato da Nicodemo, altro discepolo segreto, calò dalla croce il corpo di Gesù, lo unse, lo imbalsamò, e, avvoltolo in un lenzuolo, il pose in un sepolcro nuovo scavato nel sasso, ove niuno ancora era stato riposto… Questo lenzuolo, dopo molti prodigiosi avvenimenti, fu portato a Torino, dove tuttora conservasi nella Reale Cappella della Sindone, attigua alla Chiesa Metropolitana di questa città”.

E, alcuni anni dopo, un altro santo innamorato della Sindone e dei giovani, Pier Giorgio Frassati, scrive nel 1925 gli ‘Appunti per un discorso sulla carità’: “Ognuno di voi sa che base fondamentale della nostra religione è la Carità, senza di cui tutta la nostra religione crollerebbe, perché noi non saremo veramente cattolici finché non adempiremo, ossia non conformeremo tutta la nostra vita ai due Comandamenti in cui sta l’essenza della Fede Cattolica:

nell’Amare Iddio con tutte le nostre forze e nell’amare il prossimo come noi stessi. E qui sta la dimostrazione esplicita che la fede Cattolica si basa sul vero Amore e non come vorrebbero tanti altri per poter tranquillizzare la loro coscienza dare per base alla Religione di Cristo la violenza. Con la violenza si semina l’odio e si raccolgono poi i frutti nefasti di tale seminagione, colla carità si semina negli uomini la Pace, ma non la pace del mondo, la Vera Pace che solo la Fede dio Gesù Cristo ci può dare affratellandoci gli uni cogli altri”.

Ed ho potuto vedere la trasformazione radicale dei luoghi dove ancora oggi continuano a vivere, attraverso le opere, questi santi torinesi, trasformandoli da degradati a luoghi di socialità: Sebastiano Valfré, Ignazio di Santhià, Giuseppe Benedetto Cottolengo, Giuseppe Cafasso, Domenica Maria Mazzarello, Domenico Savio, Giuseppe Allamano, Filippo Rinaldi, Francesco Faà di Bruno, e molti altri. Questi santi e sante hanno visto nel Sudario un uomo martoriato, ma che attraverso questa assurda violenza, esercitata da uomini su altri uomini, è riuscito a dare la speranza di una nuova vita attraverso la Resurrezione, come ha scritto Ernesto Olivero:

“L’Uomo della Sindone, annullato, distrutto, sfigurato dai tormenti patiti, non è lontano o estraneo alla mia vita. Il suo volto, che raccoglie in sé tutte le ingiustizie che un uomo può patire, mi mette di fronte all’esperienza più difficile dell’essere uomini: il momento della sofferenza e della morte. Nello stesso tempo quel volto mi restituisce la speranza…

Il Figlio dell’uomo è il testimone credibile che la sconfitta non è mai una sconfitta totale e non ha l’ultima parola. Noi non siamo degli sconfitti perché Lui non lo è stato; possiamo soffrire e la sofferenza fa parte dell’esistenza, ma non dobbiamo mai identificarci col fallimento: nemmeno chi vive esperienze terribili, nemmeno chi si trova a finire la propria vita calpestato, in un modo che non ha senso. Quel volto, sofferente ma non sconfitto, pacificato e assorto in Dio, mi rimanda a me stesso.

Mi guarda e mi chiede in modo forte di essere in tutto come Lui: pacificato con me stesso, con i miei fratelli e con il Padre, per essere pacificatore, umile per ascoltare i gemiti di chi soffre, puro per cogliere la bellezza della vita, solidale per condividere con gli altri i doni ricevuti, mite per costruire dignità, capace di perdono per dare speranza e portare alla libertà, deciso con un sì, totale e senza condizioni ad aderire a Lui e a costruire con Lui il Regno.

Ritrovo nell’Uomo della Sindone il ‘già e non ancora’ che caratterizza tutta la nostra vita, soprattutto la vita dei giovani. Loro, che vivono tra le rovine di principi accantonati dagli adulti, tra migliaia di compagni morti di niente e per niente, si trovano continuamente a scegliere tra la vita e la morte, tra il senso e il non senso, tra il vero e il falso, tra le grandi aspirazioni e il crollo di tanti valori morali.

Sono sensibili ma fragili, si pongono domande ma non si danno il tempo di trovare risposte, hanno grandi aspirazioni ma vogliono concretizzarle subito, parlano di amore ma non vogliono il sacrificio… E spesso non hanno guide, non hanno testimoni cui riferirsi, non hanno maestri credibili. Come vorrei che questi giovani trovassero nel volto della Sindone il simbolo della loro stessa esistenza: dubbi e speranza, mai l’uno senza l’altro, proprio come nella vita di tutti.

Nessuno più di Gesù provoca interrogativi e nello stesso tempo suscita risposte che danno speranza”.

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