Il Papa s’inchina ai piccoli “martiri” di Sarajevo

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Il Papa s’inchina ai piccoli “martiri” di Sarajevo

Nella seconda parte della giornata, Papa Francesco – in Bosnia ed Erzegovina per l’ottavo viaggio apostolico fuori dall’Italia – incontra i sacerdoti, i religiosi e i seminaristi nella Cattedrale consacrata al Sacro Cuore di Gesù, uno dei simboli più amati della città di Sarajevo, sede dell’arcidiocesi di Vrhbosna. Il Papa ascolta all’inizio la testimonianza di fede di un sacerdote che ha vissuto i drammi della guerra. Al termine della testimonianza, davvero dolorosa e commovente, Papa Francesco s’inchina e bacia le mani del sacerdote, chiedendo anche la sua benedizione. Questa e altre testimonianze (quelle di un religioso e di una suora) portano il Papa a consegnare al Vescovo il discorso preparato per parlare a braccio.

«Le testimonianze parlavano da sole. E questa è la memoria del vostro popolo! Un popolo che dimentica la sua memoria non ha futuro. Questa è la memoria dei vostri padri e madri nella fede: qui hanno parlato solo tre persone, ma dietro di loro ci sono tanti e tante che hanno sofferto le stesse cose. Care sorelle, cari fratelli, non avete diritto di dimenticare la vostra storia. Non per vendicarvi, ma per fare pace. Non per guardare [a queste testimonianze] come a una cosa strana, ma per amare come loro hanno amato. Nel vostro sangue, nella vostra vocazione, c’è la vocazione, c’è il sangue di questi tre martiri. E c’è il sangue e c’è la vocazione di tante religiose, tanti preti, tanti seminaristi. L’autore della Lettera agli Ebrei ci dice: Mi raccomando, non dimenticatevi dei vostri antenati, quelli che vi hanno trasmesso la fede. Questi [indica i testimoni] vi hanno trasmesso la fede; questi vi hanno trasmesso come si vive la fede. Lo stesso Paolo ci dice: “Non dimenticatevi di Gesù Cristo”, il primo Martire. E questi sono andati sulle tracce di Gesù. Riprendere la memoria per fare pace. Alcune parole mi sono rimaste nel cuore. Una, ripetuta: “perdono”. Un uomo, una donna che si consacra al servizio del Signore e non sa perdonare, non serve. Perdonare un amico che ti ha detto una parolaccia, con il quale avevi litigato, o una suora che è gelosa di te, non è tanto difficile. Ma perdonare chi ti picchia, chi ti tortura, chi ti calpesta, chi ti minaccia con il fucile per ucciderti, questo è difficile. E loro lo hanno fatto, e loro predicano di farlo! Un’altra parola che mi è rimasta è quella dei 120 giorni del campo di concentramento. Quante volte lo spirito del mondo ci fa dimenticare questi nostri antenati, le sofferenze dei nostri antenati! Quei giorni sono contati, non per giorno, ma per minuti, perché ogni minuto, ogni ora è una tortura. Vivere tutti insieme, sporchi, senza pasto, senza acqua, con il caldo o con il freddo, e questo per tanto tempo! E noi, che ci lamentiamo quando abbiamo un dente che ci fa male, o che vogliamo avere la tv nella nostra stanza con tante comodità, e che chiacchieriamo della superiora o del superiore quando il pasto non è tanto buono… Non dimenticate, per favore, le testimonianze dei vostri antenati. Pensate a quanto hanno sofferto queste persone; pensate a quei sei litri di sangue che ha ricevuto il padre – il primo che ha parlato – per sopravvivere. E fate una vita degna della Croce di Gesù Cristo. Suore, sacerdoti, vescovi, seminaristi mondani, sono una caricatura, non servono. Non hanno la memoria dei martiri. Hanno perso la memoria di Gesù Cristo crocifisso, l’unica gloria nostra».

Terminata la visita in Cattedrale, il Pontefice, abbracciato ancora dall’entusiasmo dei fedeli che seguono i suoi spostamenti, si reca al Centro internazionale studentesco francescano per l’Incontro Ecumenico ed Interreligioso. Sono presenti i rappresentanti delle Comunità musulmana, cattolica, ortodossa ed ebraica. Il Santo Padre all’ingresso è accolto dal Provinciale dei Francescani p. Lovro Gavrane e dai Capi delle quattro Delegazioni.
Papa Francesco inizia il suo discorso ricordando il particolare tessuto socioculturale della terra di Sarajevo in modo particolare, «crocevia di popoli e di culture, dove la diversità, se da un lato costituisce una grande risorsa che ha permesso lo sviluppo sociale, culturale e spirituale di questa regione, dall’altro è stata motivo di dolorose lacerazioni e sanguinose guerre. Non è un caso che la nascita del Consiglio per il Dialogo Interreligioso e le altre apprezzabili iniziative in campo interreligioso ed ecumenico siano avvenute alla fine della guerra, come una risposta all’esigenza di riconciliazione e di fronte alla necessità di ricostruire una società dilaniata dal conflitto».

Il Pontefice mette chiaramente in luce i benefici generati dal dialogo interreligioso, «qui come in ogni parte del mondo, condizione imprescindibile per la pace, e per questo è un dovere per tutti i credenti». Attraverso il dialogo interreligioso si condivide la quotidianità dell’esistenza «con le gioie e i dolori, le fatiche e le speranze; si assumono responsabilità comuni; si progetta un futuro migliore per tutti. Si impara a vivere insieme, a conoscersi e ad accettarsi nelle rispettive diversità, liberamente, per quello che si è. Nel dialogo si riconosce e si sviluppa una comunanza spirituale, che unifica e aiuta a promuovere i valori morali, la giustizia, la libertà e la pace. Il dialogo è una scuola di umanità e un fattore di unità, che aiuta a costruire una società fondata sulla tolleranza e il mutuo rispetto. Per questo motivo, il dialogo interreligioso non può limitarsi solo a pochi, ai soli responsabili delle comunità religiose, ma dovrebbe estendersi quanto più è possibile a tutti i credenti, coinvolgendo le diverse sfere della società civile».

Guardando al passato, e facendone giusta memoria, per imparare quanto insegnatoci dalla storia, – conclude il Pontefice – «evitiamo i rimpianti e le recriminazioni, ma lasciamoci purificare da Dio, che ci dona il presente e il futuro: Lui è il nostro futuro, Lui è la fonte ultima della pace. Questa città, che nel recente passato è tristemente diventata un simbolo della guerra e delle sue distruzioni, oggi, con la sua varietà di popoli, culture e religioni, può diventare nuovamente segno di unità, luogo in cui la diversità non rappresenti una minaccia, ma una ricchezza e un’opportunità per crescere insieme. In un mondo purtroppo ancora lacerato da conflitti, questa terra può diventare un messaggio: attestare che è possibile vivere uno accanto all’altro, nella diversità ma nella comune umanità, costruendo insieme un futuro di pace e di fratellanza».

Terminato il suo discorso, Papa Francesco invita i presenti ad elevare insieme una preghiera comune: «Dio Onnipotente ed eterno, Padre buono e misericordioso; Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili; Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, Re e Signore del passato, del presente e del futuro; unico giudice di tutti gli uomini, che ricompensi con la gloria eterna i tuoi fedeli! Noi, discendenti di Abramo secondo la fede in Te, unico Dio, ebrei, cristiani e musulmani, umilmente siamo davanti a Te e con fiducia Ti preghiamo per questo Paese, la Bosnia ed Erzegovina, affinché possano abitarvi in pace e armonia uomini e donne credenti di diverse religioni, nazioni e culture. Ti preghiamo, o Padre, perché ciò avvenga in tutti i Paesi del mondo! In ognuno di noi rafforza la fede e la speranza, il rispetto reciproco e l’amore sincero per tutti i nostri fratelli e sorelle. Fa’ che, con coraggio, ci impegniamo a costruire la giustizia sociale, ad essere uomini di buona volontà, pieni di comprensione reciproca e di perdono, pazienti artigiani di dialogo e di pace. Tutti i nostri pensieri, le parole e le opere siano in armonia con la Tua santa volontà. Tutto sia per Tuo onore e Tua gloria e per la nostra salvezza. Lode e gloria eterna a Te, nostro Dio! Amen».

La visita apostolica di Papa Francesco si conclude con i Giovani, nel Centro diocesano giovanile “Giovanni Paolo II”. Anche in questo caso il Papa mette da parte il discorso per parlare a braccio rispondendo alle domande dei giovani. Il Papa guarda la televisione? Il Pontefice risponde dicendo che alcuni anni fa ha deciso di non guardare più la televisione perché era diventata un’alienazione. Io sono dell’età della pietra – dice scherzando – e sono antico! Oggi il tempo è cambiato e viviamo nel tempo dell’immagine, ma anche oggi è necessario scegliere le cose che ci fanno bene. È necessaria la responsabilità dei centri televisivi nel programmare cose che ci facciano bene, fare programmi che mettano in risalto i veri valori e ci preparino per la vita. Anche noi dobbiamo saper scegliere i programmi migliori. Di fronte a programmi che propongono sporcizie è meglio cambiare canale! La cattiva fantasia uccide l’anima. Se tu, giovane, diventi schiavo del computer, perdi la libertà. O se nel computer cerchi i programmi sporchi, perdi la dignità!
Nella seconda domanda si chiede al Papa se ha sentito il calore della Bosnia nei suoi confronti. Quando trovo i giovani – risponde il Pontefice – sento una grande gioia. Voi avete una singolarità, voi siete la prima generazione del dopoguerra, trovo in voi l’entusiasmo e il desiderio della pace, voi non volete distruzione, e questo è grande. Voi avete una vocazione grande, mai costruire muri, ma solo ponti! E questa è la gioia che trovo in voi.
Terza domanda, qual è il messaggio di pace per noi giovani? Alcuni potenti della terra – risponde Papa Francesco – parlano di pace ma poi vendono le armi. Da voi io mi aspetto onestà fra ciò che pensate, sentite e fate. Il contrario si chiama ipocrisia. Mi aspetto da voi unità e fratellanza. Voi i fiori di primavera del dopoguerra lavorate per la pace, tutti insieme. Che questo diventi un Paese di pace.

Terminato l’incontro, Papa Francesco viene accompagnato all’aeroporto di Sarajevo per fare rientro in Italia.

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