Papa Francesco, il sacerdote lavato dai peccati, stanco come un papà

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Quando era arcivescovo di Buenos Aires, amava andare a celebrare la Messa “In Coena Domini” in un carcere, o in un centro anziani, e non ha messo da parte questa abitudine ora che è diventato Papa. Così, per il terzo anno consecutivo, Papa Francesco visita un carcere per la Messa del Giovedì Santo. Un carcere però particolare, perché Rebibbia ha una collaborazione con l’ospedale del Papa, sette detenuti lavorano per il Centro Unico Prenotazioni del Bambino Gesù – ospedale gestito dalla Segreteria di Stato, e dall’11 marzo scorso uno di loro ha addirittura un permesso speciale per uscire dal carcere è andare a lavorare al Centro di San Paolo.

“Voi rappresentate gli apostoli,” ha detto il Papa ai 12 detenuti e detenute cui ha lavato i piedi durante la celebrazione “in Coena Domini.” “Gesù lava come schiavo i nostri piedi. Nel cuore nostro dobbiamo avere la certezza – ha aggiunto -, dobbiamo essere sicuri che il Signore quando ci lava i piedi ci lava tutto, ci purifica, ci fa sentire un’altra volta il suo amore”

Il Papa ha chiesto ai detenuti di pregare perché il Signore “lavi” le sue sporcizie,” perché anche lui ha “bisogno di essere lavato dal Signore.” La Cappella del Padre Nostro era piena non solo di detenuti, ma anche di volontari, funzionari dell’amministrazione, agenti della Polizia Penitenziaria. Una scena che si ripete ogni volta che un Papa visita Rebibbia. Ci andò Giovanni Paolo II, ci andò Benedetto XVI, che ricordò ai detenuti come spesso nella sua “famiglia” si parlasse di loro – e l’allusione era all’impegno di volontariato con i carcerati delle “Memores Domini” che vivono tuttora con il Papa emerito.

Papa Francesco non ha lavato i piedi solo ai detenuti scelti per essere apostoli, ma anche ad un bambin in braccio a sua madre. I detenuti scelti a fare gli apostoli erano due detenute nigeriane, una congolese, due italiane, un’ecuadoregna, un detenuto brasiliano, un nigeriano e quattro italiani.

Il Papa ha sottolineato durante l’omelia che “l’amore di Gesù per noi non ha limiti, sempre di più, sempre di più”, ha ripetuto. Gesù “non si stanca di amare, a nessuno. Ama tutti noi al punto di dare la vita per noi. Sì, dare la vita per noi, dare la vita per tutti noi, dare la vita per ognuno di noi”, perché il “il suo amore è così, personale”:

“L’amore di Gesù non delude mai perché lui non si stanca di amare, così come non si stanca di perdonare, non si stanca di abbracciarci”.
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E di stanchezza ha parlato il Papa nella Messa crismale. La mattina del Giovedì Santo, ogni vescovo riunisce i sacerdoti della diocesi e benedice gli olii sacri che durante l’anno serviranno per l’amministrazione dei Sacramenti. Ai suoi sacerdoti, e alle loro stanchezze, si rivolge il Papa. “La stanchezza dei sacerdoti! Sapete quante volte penso a questo: alla stanchezza di tutti voi? Ci penso molto e prego di frequente, specialmente quando ad essere stanco sono io. Prego per voi che lavorate in mezzo al popolo fedele di Dio che vi è stato affidato, e molti in luoghi assai abbandonati e pericolosi. E la nostra stanchezza, cari sacerdoti, è come l’incenso che sale silenziosamente al Cielo. La nostra stanchezza va dritta al cuore del Padre.”

Il Papa dice ai sacerdoti che il “riposo è una cosa di Dio,” indica nell’adorazione una forma di riposo, afferma che i sacerdoti devono essere capaci di chiedere aiuto. Perché le stanchezze sono tante, dalla “ stanchezza della gente, delle folle” ma è“stanchezza è buona, è sana. E’ la stanchezza del sacerdote con l’odore delle pecore…, ma con sorriso di papà che contempla i suoi figli o i suoi nipotini.”

Ma c’è anche – afferma il Papa – “la stanchezza dei nemici”, perché il gregge va difeso dal “nemico” il demonio che “è capace di demolire in un momento quello che abbiamo costruito con pazienza durante lungo tempo. Qui occorre chiedere la grazia di imparare a neutralizzare il male”.

Infine “la stanchezza di sé stessi”una “delusione di sé stessi ma non guardata in faccia, con la serena letizia di chi si scopre peccatore e bisognoso di perdono: questi chiede aiuto e va avanti. Si tratta della stanchezza che dà il “volere e non volere”, l’essersi giocato tutto e poi rimpiangere l’aglio e le cipolle d’Egitto, il giocare con l’illusione di essere qualcos’altro. Questa stanchezza mi piace chiamarla “civettare con la mondanità spirituale”.

Papa Francesco infine parla della lavanda dei piedi, che lui chiama “la lavanda della sequela,” perché “il Signore purifica la stessa sequela,” si “coinvolge” con noi si fa carico in prima persona di pulire ogni macchia, quello smog mondano e untuoso che ci si è attaccato nel cammino che abbiamo fatto nel suo Nome.” In fondo i sacerdoti devono “imparare ad essere stanchi, ma bene stanchi!”

(foto: ACIStampa)

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