50 anni di messa in italiano, il convegno degli Orionini

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La parrocchia di Ognissanti a Roma  è  la prima e la più antica del popoloso quartiere Appio.  Fu affidata da Papa Pio X a don Orione nel 1908, affinché si occupasse di quella che, all’epoca,  era una zona periferica, con tutti i disagi  e tante necessità,  morali e materiali,  definita dallo stesso  Pontefice  “la Patagonia romana”.

Il parroco Francesco Mazzitelli  ha atteso con profonda emozione la visita di Papa Francesco. Mi riferisce con soddisfazione e reverenza estrema che “ il Santo Padre ha accolto l’invito di visitare questa Parrocchia volendo valorizzare l’importanza che la data del 7 marzo rappresenta. Infatti, sono trascorsi esattamente 50 anni dalla prima Messa che Papa Paolo VI officiò in questa Parrocchia in lingua italiana in occasione dei 25 anni dalla morte di San Luigi Orione e quest’anno  coincide  con il 75° anniversario della sua morte (12 marzo 1940)”.

Gli Orionini vivono uno speciale amore per il Papa, lasciato da don Orione ed esercitato attraverso la professione del IV voto speciale di fedeltà al Pontefice e don Francesco Mazzitelli ne è sicuramente un coerente testimone. Appassionato  e studioso di liturgia,  ha difeso la sua tesi di dottorato in Sacra Liturgia su “Il lucernario della Veglia Pasquale nella tradizione latina dal VII al XIII secolo”. Con grande entusiasmo mi spiega come l’introduzione della lingua nazionale nella liturgia è stata una delle più grandi novità introdotte dal Concilio Vaticano II, una svolta anticipata dalla Costituzione “ Sacrosanctum Concilium”.  Prosegue don Francesco:

“Già Papa Pio X, beatificato il 3 giugno 1951 da papa Pio XII e proclamato santo dallo stesso pontefice il 29 maggio 1954, con il Motu proprio Tra le sollecitudini  (22 novembre 1903),  impose il canto gregoriano nella liturgia e fornì precise istruzioni circa l’uso della musica nelle cerimonie religiose. Lui era un sostenitore  del canto «collettivo»  poiché  lo riteneva molto istruttivo per i fedeli di ogni classe sociale ed un mezzo efficace per suscitare interesse alle bellezze della Sacra Liturgia. Secondo lui bisognava dare maggiore importanza ad una pratica, quale il canto,  che avrebbe aiutato i fedeli a comprendere ed a sentire profondamente il significato del culto”.

Per sottolineare e far conoscere il significato di questa data, 7 marzo 1965, è stato organizzato presso il Teatro Orione appartenente alla Parrocchia di Ognissanti, Venerdì 27 febbraio u.s., un  Convegno, promosso dall’Ufficio liturgico del Vicariato di Roma, dall’Opera Don Orione e dal Pontificio Istituto Liturgico di Roma, dal titolo “Uniti nel rendimento di grazie”. Hanno introdotto il Convegno il vescovo Giuseppe Marciante, ausiliare di Roma Est, e Don Flavio Peloso, superiore generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza (Don Orione); moderatore dell’incontro padre Giuseppe Midili, direttore dell’Ufficio liturgico del Vicariato di Roma. Sono intervenuti mons. Francesco Pio Tamburrino, arcivescovo metropolita emerito di Foggia-Bovino, con una relazione su “Tradizione e rinnovamento nel paragrafo 23 della Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium” e l’arcivescovo Piero Marini, presidente del Pontificio Consiglio per i congressi eucaristici internazionali, con una relazione su “La lingua parlata, strumento di comunione nel dialogo dell’assemblea liturgica”. Un piacevole intervallo musicale è stato offerto ai presenti grazie al maestro d’arpa Katia Catarci. Il Parroco di Ognissanti don Francesco Mazzitelli ha presntato il tema  “La Formazione liturgica dei laici” e Padre Jordi Piqué, preside del Pontificio Istituto liturgico, ha concluso la serata evidenziando il ruolo e l’impegno di una liturgia come efficace strumento per introdurre al mistero di Cristo.

Il vescovo Piero Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie,  ha ricordato come il 7 marzo 1965 ha costituito la prima attuazione concreta della riforma liturgica. “In verità, i padri conciliari avevano dato disposizione che la riforma entrasse in vigore la prima domenica di Quaresima del 1964, solo che la vecchia Congregazione dei riti non era adeguata a mettere in atto la nuova visione della liturgia. Così l’attuazione venne rimandata di un anno e quel giorno si celebrò con Messali un po’ in italiano, un po’ in latino, in attesa dei nuovi libri liturgici».

Don Francesco Mazzitelli mi ha istruito sul significato della liturgia, sui segni: l’attenzione sui luoghi della celebrazione. L’ambone come luogo della Parola, il fonte battesimale, dove siamo nati dall’acqua. l’altare, appunto, dove incontriamo il Signore e dove Cristo si offre di nuovo al Padre. L’assemblea, cioè lo spazio dove la comunità si raduna, che è il primo segno della presenza di Cristo.

Concludo riportando le parole proclamate da Papa Paolo VI in occasione dell’Angelus il 7 marzo 1965, I Domenica di Quaresima:

“Questa domenica segna una data memorabile nella storia spirituale della Chiesa, perché la lingua parlata entra ufficialmente nel culto liturgico, come avete già visto questa mattina. 

La Chiesa ha ritenuto doveroso questo provvedimento – il Concilio lo ha suggerito e deliberato – e questo per rendere intelligibile e far capire la sua preghiera. Il bene del popolo esige questa premura, sì da rendere possibile la partecipazione attiva dei fedeli al culto pubblico della Chiesa. È un sacrificio che la Chiesa ha compiuto della propria lingua, il latino; lingua sacra, grave, bella, estremamente espressiva ed elegante. Ha sacrificato tradizioni di secoli e soprattutto sacrifica l’unità di linguaggio nei vari popoli, in omaggio a questa maggiore universalità, per arrivare a tutti. 

E questo per voi, fedeli, perché sappiate meglio unirvi alla preghiera della Chiesa, perché sappiate passare da uno stato di semplici spettatori a quello di fedeli partecipanti ed attivi e se saprete davvero corrispondere a questa premura della Chiesa, avrete la grande gioia, il merito e la fortuna di un vero rinnovamento spirituale. 

E noi pregheremo ancora la Madonna, la pregheremo ancora in latino per ora, perché ci dia questo desiderio della vita spirituale attiva e autentica e ci dia questo risvegliato senso della comunità, della fraternità, della collettività che prega insieme, del popolo di Dio, perché allora avremo certamente assicurati a noi i vantaggi di questa grande riforma liturgica”. 

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