Archeologie dell’umano. Longobardi e Biasiucci
Alla Galleria d’arte contemporanea Casamadre – in piazza dei Martiri 58 a Napoli, diretta da Edoardo Cicelyn – si può vedere la mostra a due di Antonio Biasiucci e di Nino Longobardi. Biasiucci è un fotografo di grande prestigio. Longobardi è un pittore e scultore che proviene dalla scuderia di transvanguardia di Lucio Amelio e di Achille Bonito Oliva. Li uniscono la vocazione a situarsi nello spazio-tempo curvo dell’arte contemporanea e l’impegno a costruire immagini post-umane.
Nell’ampio e bianco salone espositivo di Casamadre le due mostre, pur restando distinte, si interfacciano. Il visitatore può passare – a scatti o in continuità – dall’una all’altra. Longobardi dipinge e scolpisce in bianco e in grigio: sono figure diafane, sul bordo della sparizione. I supporti sono in forma di reperti archeologici: lastre tombali, teschi, frammenti di statue. Biasiucci ritrae, in un severo bianco e nero, volti che emergono dalle ombre. Sulla parete opposta sono disposte in serie fotografie che ritraggono le ossa del cranio al modo delle ecografie.
Longobardi – dalla fine degli anni ’70 – dipinge e scolpisce ispirandosi alle pitture della “Tomba del tuffatore” di Paestum: immagini evanescenti, disegni del mito, magie di trapasso. Biasiucci – a cominciare dai primi anni ’80 – ha esplorato tutti i segmenti della fotografia antropologica – dai vulcani al bestiame dei campi – fino a giungere a fotografare ciò che c’è sotto la pelle dell’uomo e della donna. Due percorsi artistici distinti che si sono incontrati in un’area comune: quella della sparizione imminente dell’umano, di una storia che sta per finire. Il complesso dei mezzi archeologici: la diagnostica strumentale, lo scavo, la collezione dei reperti si è trasformato per entrambi in linguaggio dell’arte. Il sottosuolo della Campania è giunto a inghiottire ciò che si muove in superficie.
Il nero, il grigio e il bianco disegnano le forme di una materia che è la stessa sia nello strato abiotico che in quello biotico. Le civiltà scomparse – con sensibilità che possiamo definire “leopardiana” – disegnano la trama che ci attende in una curvatura artistica dello spazio-tempo che porta a coincidere passato e futuro. Una silenziosa apocalisse dell’arte è quella di Longobardi e Biasiucci che ci viene intorno assediandoci con un dipingere ed un fotografare che fissano sui muri una inquietudine che non attende alcuna palingenesi.
Nella foto: Nino Longobardi, 2015.