Le antifone dello stupore
O Signore,
guida della casa d’Israele,
che sei apparso a Mosè nel fuoco del roveto,
e sul monte Sinai gli hai dato la legge:
vieni
a liberarci con braccio potente.
La seconda Antifona s’innesta sulla linea della prima e la prolunga. Per l’accenno fatto alla storia di Mosè che libera Israele dalla schiavitù, essa sembra voler rendere attuale la redenzione nel clima del Natale del Signore. Dio è apparso a Mosè nel deserto facendosi riconoscere sull’Oreb nel segno del roveto ardente; poi si rivela sul Sinai come il Legislatore, guida il suo popolo nel deserto verso la terra promessa e abita nella tenda del convegno. Dio è sempre con il suo popolo pronto a sostenerlo e a difenderlo col suo braccio potente.
O Adonai! Il nome di JHWH poteva essere pronunziato una sola volta, con riverenza grande e religioso rispetto, soltanto dal sommo sacerdote. Nell’evocazione del Nome, che sostituisce il “Nome Impronunziabile”, si compiono i tre grandi eventi della fondazione dell’Alleanza: la rivelazione del Nome nelle fiamme del roveto ardente, il passaggio del mar Rosso e la consegna della Legge. Essi sono rievocati in quell’unica notte di tenebra e di fuoco, di bagliori di lampi, di terrore e di canti che dice la Grande Notte Pasquale.
Aperto dal vento di Dio, il mare si spalanca per far passare a piedi asciutti il popolo della casa di Giacobbe per farlo entrare nel deserto e iniziare il lungo cammino verso la terra promessa. “Guida della casa d’Israele” è la colonna di fuoco che illumina la notte. Mosè, nel cuore del deserto, abbagliato dalle fiamme del roveto che arde senza consumarsi, che nasconde e insieme rivela la presenza del Signore, riceve, dalla “Voce senza Nome”, il mandato di condurre verso la libertà il popolo d’Israele, perché diventi, da schiavo, popolo-possesso del suo Dio. Sulla vetta infiammata gli viene data l’inviolabile Legge dell’Alleanza tra Adonai e il suo popolo. In quella Notte Santa, Mosè e i figli d’Israele cantarono il cantico potente e glorioso della libertà di essere figli di Dio, liberati finalmente dalla sua mano gloriosa e onnipotente (Es 15).
Nel cammino dei secoli, l’antico Israele ha sempre cantato lo stesso cantico che poi il nuovo Israele, nella notte pasquale, alla luce del cero santificato, roveto sempre acceso, continuerà a proclamare inneggiando a quella libertà conquistata dal suo Signore e Salvatore. Colui-che-è del roveto, oggi è Colui-che-viene e resta nella sua Chiesa. Adonai è Gesù, il Kyrios, il Risorto e il Vivente nella storia. È Lui il compimento della Legge e dei Profeti. È Lui il Realizzatore completo e definitivo della Rivelazione. Cristo è la Legge che non opprime, ma salva. La Legge del Signore, non è oppressione di potere che rende schiavi ma manifestazione di amore come pura misericordia che rende liberi. Solo Cristo è la profezia del Padre che in questi giorni rivela i segreti del Regno, che, taciuti per secoli, si rivelano attraverso la sua opera salvifica (cf Eb 1, 2; Mt 11, 25-27). L’Antifona si chiude con l’invocazione: Vieni a liberarci con braccio potente! Le braccia spalancate di Cristo Crocifisso-Risorto sono le braccia potenti di Dio che, liberandolo dal peccato e dalla morte, glorifica l’uomo nel Figlio.
O Germoglio di Iesse
che ti innalzi come segno per i popoli:
tacciano davanti a te i re della terra,
e le nazioni ti invocano:
vieni a liberarci, non tardare.
La terza Antifona ha in sé il simbolo della radice che vive nascosta nel grembo della terra. Non ha né bellezza né forma regolare, tuttavia la pianta vive soltanto per lei. Il testo liturgico s’ispira a Isaia che prevede profeticamente il Messia come “radicato” nella stirpe d’Israele: Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici (Is 11,1). Il germoglio è Cristo! Lui, radicato nel popolo d’Israele, s’innesta nel tronco dell’umanità.
Nel giardino del paradiso perduto, il Creatore aveva annunciato che da una donna sarebbe nato Colui che avrebbe sconfitto il serpente ingannatore. Trascorrono i secoli dell’attesa sino a quando, in un piccolo villaggio di Giuda, chiamato “Casa del Pane”, un uomo, chiamato Iesse, genera l’ottavo figlio il cui nome è Davide. Egli sarà il pastore adolescente dagli occhi belli. Dalla discendenza di Iesse, dopo quattordici generazioni, fiorirà il Figlio della figlia di Sion.
L’invocazione è legata alla genealogia del Signore e, quindi, al mistero dell’Incarnazione. La genealogia degli uomini, fatta da un’umanità peccatrice, è assunta da Dio e da Lui vivificata per una vocazione all’interno della storia della salvezza. Storia della quale Cristo è protagonista e condottiero. Nella storia della salvezza, il piano di Dio si attua come mistero di comunione e di carità. In tale storia, l’uomo è assunto con una vocazione personale.
Il testo dell’Antifona richiama l’immagine che san Paolo usa nella lettera ai Colossesi: Come dunque avete accolto Cristo Gesù, il Signore, in lui camminate, radicati e costruiti su di lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, sovrabbondando nel rendimento di grazie (2,7). Per trovare le sue radici, il credente si rivolge a Dio che ha realizzato il desiderio: è apparsa la Radice in persona che è Dio in forma umana. Cristo è radicato nel Padre. L’uomo, nel battesimo, è totalmente radicato in Dio. Paolo canta in entusiasmo: Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. (Gal 2,20). L’Emmanuele, mentre s’innesta nella vita dell’uomo facendosi uomo, ci offre la vita divina facendoci partecipi della vita trinitaria, ecco perché si innalza come segno per i popoli.
Viene in visione la tipologia del serpente di Mosè nel deserto (cf Nm 21,7-8). Il serpente è segno innalzato che simboleggia e prefigura l’innalzamento di Cristo sulla croce. Su quella croce si consuma la morte gloriosa donatrice di vita eterna. Come il germoglio riceve linfa vitale dalla radice, così noi, suo popolo, la riceviamo dal suo innalzamento sulla croce gloriosa. Il Verbo incarnato è il vertice dell’umanità, in Lui si realizza pienamente il disegno di Dio. Dinanzi a questa realtà, i potenti della terra, che hanno sempre da dire, da imporre, da progettare, devono tacere mostrando rispetto, adorazione, sottomissione e servizio, e, come germogli nel Germoglio, insieme a tutte le genti invocare: Vieni a liberarci, non tardare.
Il Cristo, nell’ultima pagina dell’Apocalisse, non lascia mancare la risposta: Io sono la radice e la stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino (22,16). Egli si definisce così nell’ora in cui spunterà la nuova vita che fiorirà per tutti quelli da lui eletti. Dobbiamo sempre rinnovare in noi il desiderio dell’attesa di quell’unico e grande evento che è la stessa attesa dei cristiani di Corinto e l’Apocalisse descrive a chiusura del libro: Lo Spirito e la Sposa dicono: “Vieni” (22,17). Colui che attesta queste cose dice: “Sì, vengo presto!”. Amen. (22, 20). Gesù, al richiamo della sua Chiesa e dei credenti, conferma che la sua venuta è vicina e imminente. (cf Giuseppe Liberto Il racconto dell’ Avvento Ed. Feeria Comunità di San Leolino).