Joseph Ratzinger, un teologo fedele al Magistero dei Papi
Era il 1972, il Concilio Vaticano II era stato appena concluso. Ed aveva aperto molte porte. Un Concilio pastorale certo, ma che dalla pastorale aveva investito molte questioni dottrinali. Che erano rimaste aperte. E non solo sul dialogo ecumenico o interreligioso, sulla libertà religiosa o sulla dottrina sociale, ma anche su temi più quotidiani come la famiglia.
Così il compiuto era passato dai vescovi ai teologi. La Chiesa era in piena sperimentazione. Il ’68 in effetti era nato prima nella Chiesa con i fermenti che erano arrivati al Concilio.
Ora, dopo la celebrazione della Assise, si doveva rimettere ordine. Tra i teologi che in quel post Concilio lavoravano per presentare delle idee c’era anche Joseph Ratzinger e anche lui entrò nel grande laboratorio di idee post conciliare. E anche sul tema ancora in piena discussione e sempre caldo della piena partecipazione alla Eucarestia dei divorziati risposati civilmente.
Il suo testo in proposito era semplice e scarno a dire il vero riferito essenzialmente ad alcuni testi patristici e riferita ad un principio di “emergenza” e presentava la possibilità di far accedere chi fosse in situazioni estreme alla Eucarestia. Se il primo matrimonio in fondo era stato contratto senza fede, e un secondo invece era vissuto in una fede profonda si poteva pensare alla piena comunione.
Ma era solo un contributo al dibattito. Del resto era proprio il cardinale Ratzinger, da prefetto della Congregazione della Fede, a sostenere quanto difficile fosse il ruolo del teologo che deve proporre idee e rimanere nella linea del magistero. E proprio a questo Magistero Joseph Ratzinger fu fedele nel momento che, dopo il Sinodo sulla famiglia voluto da Giovanni Paolo II, venne pubblicato un testo che rimane fondamentale per questi temi: la Familiari Consortio. Da allora il teologo, che aveva partecipato al sinodo come relatore, trovò il senso del suo lavoro nel Magistero di Pietro.
Quando nel 2005, ormai Papa, parlando a semplici parroci, disse: “Nessuno di noi ha una ricetta fatta, anche perché le situazioni sono sempre diverse. Direi particolarmente dolorosa è la situazione di quanti erano sposati in Chiesa, ma non erano veramente credenti e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo matrimonio non valido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal Sacramento. Questa è realmente una sofferenza grande e quando sono stato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ho invitato diverse Conferenze episcopali e specialisti a studiare questo problema: un sacramento celebrato senza fede. Se realmente si possa trovare qui un momento di invalidità perché al sacramento mancava una dimensione fondamentale non oso dire. Io personalmente lo pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il problema è molto difficile e deve essere ancora approfondito. Ma data la situazione di sofferenza di queste persone, è da approfondire.”
E’ un tema caro al teologo e al Papa. Senza la fede, senza la conoscenza di coloro nel nome del quale si celebra il sacramento, può il sacramento esistere?
E’ questo ancora un dibattito tra teologi e canonisti. Ecco perché nell’agosto del 2014, ben prima dello svolgimento del Sinodo, Benedetto XVI rivede, per la pubblicazione dell’Opera Omnia, quel testo del 1972. Benedetto però aggiunge ancora qualche chiarimento, e pone l’attenzione alla necessità di una maggiore cura pastorale per i divorziati risposati in generale. Sono nella Chiesa anche se non in completa comunione, e devono vivere una comunione spirituale e una vita di fede che sia testimonianza. Anzi il Papa approfitta per un richiamo più ampio a tutti i fedeli. Davvero tutti coloro che si accostano al sacramento dell’ Eucarestia ne sono degni?
E così il teologo lascia lo spazio al pastore e al Papa che con lo sguardo alla fede dei semplici cerca di ricordare che la Parola di Dio va conosciuta, amata e vissuta nella semplicità del quotidiano e non discussa solo per i “casi difficili”.
Così come era scritto non aveva più alcun senso, perché era stato superato dal Magistero di Giovanni Paolo II. In un colloquio con un giornalista tedesco il Papa emerito spiega che quindi non c’è nulla di nuovo e di quegli argomenti “come Prefetto della Dottrina della fede ho già scritto in maniera molto più drastica”. E aggiunge scherzando che nessuno avrebbe cercato proprio quelle frasi in questo volume di 700 pagine “ se non ci fosse gente che cerca qualcosa di particolare”.
Il teologo che voleva farsi chiamare semplicemente “Padre Benedetto” quando saluta gli ospiti dice: “Queste sono medaglie e santini ricordo fatti per il viaggio a Cuba, li può prendere se vuole. Anche se non bisogna rinforzare il culto della personalità”.