Somalia verso la catastrofe

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E’ iniziato martedì 26 luglio un ponte aereo d’aiuti umanitari nei cieli di Mogadiscio, Dolo (Etiopia) e Wajir, nel Nord del Kenya, per fronteggiare l’emergenza carestia e la ‘siccità epica’ che sta dilaniando il Corno d’Africa, dove, secondo le stime dell’Unicef, mezzo milione di bambini “hanno il 40% delle possibilità di sopravvivere”.  La crisi nel Corno d’Africa sta colpendo dodici milioni di persone, con due regioni nel Sud della Somalia già in gravissima carestia: “Gli effetti congiunti di siccità, inflazione e conflitti hanno causato una situazione catastrofica che richiede un urgente e robusto sostegno internazionale”, ha sottolineato il direttore generale della Fao, Jacques Diouf.

Entro il 15 settembre arriverà il piano d’azione sulla sicurezza alimentare e sull’acqua e sarà lanciato anche il nuovo sistema di informazione dei mercati agricoli ‘per evitare le speculazioni e perché la volatilità dei prezzi rovina i contadini nei Paesi in via di sviluppo. Saranno i governi dei sei Paesi colpiti dalla crisi a gestire la risposta, tenuti informati dal Piano d’azione per il Corno d’Africa del Comitato permanente interagenzie (Iasc): “Un intervento, ha spiegato la direttrice del Programma mondiale alimentare dell’agenzia delle Nazioni Unite, Josette Sheeran, resosi inevitabile per superare l’ostilità dei miliziani fondamentalisti islamici o Shabaab nella distribuzione degli aiuti”.

Ed il nostro ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha precisato: “È urgente e indispensabile un corridoio umanitario e aereo per portare beni di prima necessità dove servono… Occorre aiutare la popolazione somala «sfidando, se occorre, i terroristi dello Shabaab, che hanno detto di non volere gli aiuti perché per loro purtroppo la vita delle persone non vale niente”. Intanto la Banca mondiale ha risposto all’appello stanziando 500 milioni di dollari, 8 dei quali per l’immediata emergenza mentre i restanti 492 per finanziare progetti a favore degli agricoltori locali, mentre l’Europa ha promesso 100 milioni di euro. Il documento finale recita: “Ci impegniamo ad assicurare una risposta immediata ed appropriata per far sì che le comunità ed i Paesi colpiti siano messi nelle condizioni di preservare i loro fragili mezzi di sussistenza dai quali dipende la sopravvivenza di così tante persone, e allo stesso tempo si lavori alla costruzione di una capacità di resistenza di lungo periodo”.

Mentre Marco Bertotto, direttore di Agire (Agenzia italiana per la risposta alle emergenze), ha dichiarato: “La crisi era stata ampiamente annunciata dalle organizzazioni umanitarie e che per mesi è rimasta colpevolmente dimenticata. Se anche quest’occasione sarà persa, la comunità internazionale si sarà resa corresponsabile di una gigantesca, quanto evitabile, crisi umanitaria”. All’Agenzia Misna James Stapleton, responsabile delle comunicazioni del Servizio gesuita per i rifugiati (Jrs), grida la sua delusione: “Le promesse sono incoraggianti, ma da sole non bastano: servono fatti, con urgenza, perché questa situazione di carestia rischia di peggiorare. Purtroppo, le grandi potenze si muovono soltanto quando i mass media suonano l’allarme, e purtroppo, in molti casi, gli aiuti promessi arrivano solo in minima parte”. Dopo le lamentele delle ONG, specialmente OXFAM, arrivano gli stanziamenti dalla Gran Bretagna  per 31,7 milioni di euro, Francia 7 milioni, Italia 1,3 milioni. Intanto dalla Somalia giungono notizie allarmanti: i somali, duemila al giorno, si riversano a Mogadiscio, dove arrivano aiuti delle organizzazioni internazionali.

Molti hanno varcato il confine cercando rifugio in Etiopia, nel campo di Dolo Ado che conta ormai oltre 90.000 profughi, e in quello, sterminato, di Daadab, in Kenya, considerato il più grande del mondo, dove sono stipate 440.000 persone. E continua a salire il numero delle persone colpite dalla carestia: secondo l’Onu 11.300.000 persone hanno bisogno di assistenza alimentare in una mappa che si sta allargando a tutta l’Africa: Somalia, Etiopia, Kenya, Gibuti, Eritrea sono i Paesi già fortemente colpiti, Sud Sudan, Uganda e Tanzania quelli a rischio. E dalle Ong impegnate sul fronte arrivano le testimonianze drammatiche. “È così da quando è nata purtroppo, spiega Hawa all’inviato di Avvenire, voglio che la stampa veda e mostri al mondo quello che sta succedendo ai nostri figli. L’ho portata più volte alla clinica di Medici senza Frontiere ma non mi hanno saputo dire niente. Ogni volta mi congedano senza dirmi come posso salvare mia figlia. Se non troverò presto una soluzione, sono sicura che Amina morirà”. Vincent Annoni, coordinatore dei progetti del Cesvi nel Corno D’Africa, ha dichiarato: “Visto il sovraffollamento del campo di Daadab, ci sono profughi che camminano per 300 chilometri in più per raggiungere il campo di Kakuma, quello che era in funzione durante la guerra del Sudan. Altre famiglie somale si accordano direttamente con le comunità locali per ottenere un pezzo di terra sul quale potersi accampare, in una zona grigia che si sta creando attorno ai campi e da cui hanno più probabilità di accedere agli aiuti”.

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