Il Papa in Albania, cosa resta

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La sera del 21 settembre già le quaranta immagini dei martiri di Albania vengono smontate, e il Boulevard dedicato ai caduti della nazione ritorna come era prima. Ma c’è uno spirito nuovo in terra d’Albania, la volontà di riprendere un sentiero interrotto, il sentiero della memoria. “Il Papa è venuto a fare quello che non siamo riusciti a fare in tanti anni: mettere in luce la nostra armonia, un esempio per tutti i popoli balcanici”, racconta Paulin Marku, un accademico che sta studiando i rapporti tra Albania e Santa Sede.

Al rapporto con la Santa Sede, gli albanesi tengono moltissimo. Durante la visita del Papa, una mostra speciale presso la Biblioteca Nazionale mostrava l’importanza del cattolicesimo nel formare la cultura di Albania. “Il pezzo forte della mostra è incunabolo del 1453, originale, che è una lettera di Pio II al nostro eroe nazionale Scanderbergh,” racconta Persida Asllani, direttore della Biblioteca Nazionale. La quale poi aggiunge con orgoglio: “E il primo libro in lingua albanese, la prima testimonianza scritta di questa lingua antichissima, è proprio la formula del battesimo”. Anche quella è esposta nella mostra. Come è esposto un quadro del dragone, del pittore Lin Delija.

Lin Delija è un po’ l’emblema della storia albanese. Voleva essere francescano, e già portava il saio del noviziato, quando l’incubo del regime comunista colpì l’Albania. Capì che non avrebbe più potuto vestire l’abito, e scappò in Italia, in esilio. Si iscrisse all’Accademia di Belle Arti, si stabilì in provincia di Rieti. Cominciò un personalissimo percorso espressivo, tra sacro e profano. “Ma in ogni quadro, in ogni dipinto, c’è un riferimento all’Albania. Cristo va incontro ai poveri, e i poveri sono vestiti con il costume albanese. Cristo cammina sulle acque, e i naufraghi sono albanesi,” racconta Asllani.

C’è negli occhi, nello sguardo di ogni dipinto di Delija la storia del popolo di Albania. Un popolo che guarda a Ovest e che si trova ad Est. Che si sente cristiano, e che pure si trova ormai in un paese a maggioranza musulmana. Che fa i conti con la sua storia, e che pure forse la sua storia oggi l’ha dimenticata.

Un’altra mostra speciale ha avuto luogo nei giorni che hanno preceduto il viaggio papale, e anche quella serve a non dimenticare. Si chiama “Fede” e l’ha voluta il ministero della cultura al Museo Nazionale. Mirton Resuli, un collaboratore del ministero della Cultura, spiega che “la mostra è stata concepita in modo da far capire quello che realmente stava succedendo in Albania. Un qualcosa incredibile agli occhi del mondo. Una stanza della mostra è dedicata ad oggetti religiosi. Non sono opere d’arte, ma sono oggetti, immagini anche spiegazzate, che le persone tenevano nascoste sotto il letto, per evitare di essere arrestate. Poi, c’è una sorta di ‘scena del crimine’: le lettere che venivano inviate ad Hoxha da tutto il mondo. E di fronte, le immagini di quelli che Hoxha ha fatto ammazzare perché credevano. Cattolici, ortodossi, musulmani: la fede era reato”.

Una storia incredibile anche per il Papa, che ieri si è commosso di fronte alla testimonianza di alcuni dei sacerdoti che erano stati perseguitati dal comunismo. Ma è una memoria che deve essere tenuta viva. Anche per proseguire il processo di crescita dell’Albania.

Tritan Shehu, pro-rettore dell’Università Cattolica di Nostra Signora del Buon Consiglio, ex ministro, sottolinea con forza che la presenza del Papa è “un evnto ciclopico”, che ricorda all’Albania le sue radici europee, e pone la convivenza religiosa di Albania come un modello. “Il Papa verrà nell’università di cui sono pro-rettore. È cattolica, ma frequentata da musulmani, ortodossi, cattolici. E i professori sono musulmani, ortodossi, cattolici. È lo specchio della nostra nazione,” afferma.

Ma cosa resta alla fine della visita del Papa? Resta una nazione in uno sviluppo lento, che si vede forte nelle grandi città come Tirana, ma che alla fine è praticamente inesistente nelle vere periferie, dove il mondo è ancora rurale e la povertà la fa da padrona. Resta una nazione con una grande devozione popolare, ma poca cultura religiosa, che è andata bruciata durante gli anni dell’ateismo di Stato. La pratica religiosa cattolica sta lentamente riprendendo, così come quella delle altre religioni. Ma resta anche una nazione che ha voglia di risollevarsi.

La visita del Papa ha rappresentato per tutti l’occasione di darsi una spinta in avanti. E per questo, racconta Gehrard Prelashi, un giovane che era alla Messa, “la piazza Madre Teresa è rimasta silenziosa. Nessuno è mai riuscito a rendere silenziosa la piazza. Ma il Papa lo ha fatto”.

Intanto, la visita del Papa ha mostrato i mille volti della piccola nazione balcanica tutti insieme. C’erano, a Messa e poi tutta la giornata, anche Valentin e Vanesasa, 30 e 22 anni, dal Kosovo. Lui cattolico, lei musulmana. Hanno fatto tre ore di viaggio per arrivare a Tirana da Gjakova, la città della madre di Madre Teresa. Volevano vedere il Papa. Perché – dicono – nonostante le differenze religiose, il Papa è per tutti.

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