Istituto Giovanni Paolo II verso il sinodo. Verità e formazione sulla famiglia

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La pastorale della famiglia? Deve essere fondata sulla verità. Livio Melina, preside dell’Istituto Giovanni Paolo II, commenta così l’Instrumentum Laboris del prossimo sinodo dei vescovi, che sarà proprio dedicato alla famiglia. E sarà una discussione a più sfaccettature, che non riguarderà solamente i divorziati risposati, come viene spesso frainteso. Già in conferenza stampa, il cardinal Petr Erdo, relatore generale del sinodo, ha sottolineato che i temi saranno moltissimi, dalle convivenze alla poligamia, dalla pastorale per i divorziati risposati alle cause di nullità matrimoniale. Niente a che vedere con il cambiamento della dottrina su alcuni temi specifici spinto da una certa opinione pubblica. Piuttosto un dialogo a tutto campo, che parte da una consapevolezza: negli ambiti cristiani, è la formazione a mancare.La formazione dei fedeli, e la formazione degli stessi sacerdoti. E sulla formazione, l’Istituto Giovanni Paolo II è in prima linea. Tanto da essere citato proprio nell’Instrumentum Laboris.

Spiega Melina: “L’accentuazione dell’Instrumentum Laboris sull’importanza della formazione mi sembra abbia il significato di richiamare che la pastorale della famiglia dev’essere fondata sulla verità. Ma la verità non è una formula o una ricetta: è uno sguardo di luce che viene dalla Rivelazione e che corrisponde alla vita. Si vuole quindi sottolineare che la pastorale della famiglia non va intesa come un ‘fare delle cose’, ‘risolvere problemi’, un trovare ricette illuminanti. Non si tratta di dare ricette precostituite, si tratta di formare dei testimoni che abbiano una visione, che siano così capaci di accompagnare le famiglie, nelle complesse circostanze culturali odierne. Se nella Chiesa ci si preoccupa solo di fare delle cose, di risolvere casi, si rischia di arrivare sempre troppo tardi, di essere dietro ai problemi senza la possibilità di affrontarli creativamente, cambiando la cultura”.

Decisiva, secondo il preside dell’Istituto Giovanni Paolo II, è la questione della formazione dei sacerdoti. “Mi pare – dice – che dopo la promulgazione dell’Humanae Vitae e la crisi che all’interno della comunità ecclesiale ha comportato la ricezione di questo documento, ci si sia molto concentrati sulla casistica e che per questo ci sia stata incapacità di sviluppare, recepire e comprendere tutta la ricchezza e la novità che la teologia del corpo di San Giovanni Paolo II ha offerto alla Chiesa”.

Eppure – aggiunge Melina – “in questi anni, c’è stato anche un significativo rinnovamento della teologia del Sacramento del Matrimonio, che mette il matrimonio al centro della vita cristiana come cammino di santità, come poneva in luce la teologia del corpo, con la sua visione positiva della sessualità. Ma questo insegnamento finora non ha trovato spazio all’interno dei seminari, e quindi la formazione è stata carente”.

Il paradosso è che “mentre in tutta la società il tema della sessualità è pervasivo ed è onnipresente, paradossalmente solo nella Chiesa si ha timore di parlarne. E invece la Chiesa è ‘esperta dell’amore’ (‘Noi abbiamo conosciuto l’Amore’ dice san Giovanni) ed ha una grande luce da offrire”.

Questa luce riguarda proprio la teologia del corpo, che è “per il dono di sé e per generare vita, il corpo è per il Signore e il Signore per il corpo, ricorda l’apostolo Paolo. La famiglia, fondata sull’unione indissolubile di uomo e donna, aperta alla vita, va vista come la chiave della vocazione cristiana. È una vocazione all’amore, non è semplicemente uno dei tanti temi o delle tante problematiche pastorali. È una risorsa ineguagliabile per la missione della Chiesa, prima che un problema pastorale. È l’asse portante per la proposta di un cammino di santità cristiana.”.

L’Istituto Giovanni Paolo II ha provato a fornire questa luce, attraverso vari percorsi (non solo i corsi tradizionali di ricerca e dottorato, ma anche masters, percorsi di formazione professionale), sempre a partire dalla verità della Scrittura. Ed è presente in tutto il mondo, spiega Melina. Una vocazione internazionale che di certo ne ha accresciuto la considerazione, e che ne ha fatto un punto di riferimento dell’Instrumentum Laboris.

Anche Melina vede una corrispondenza tra i temi dell’Instrumentum Laboris e il lavoro dell’Istituto. A partire dalla “visione positiva della pastorale” che “significa non tanto centrarsi sulla risposta ai problemi, ma piuttosto vedere positivamente la famiglia, promuoverla nella sua ricchezza di soggetto che ha un ruolo da giocare in società”. E poi, “la visione integrale della pastorale della famiglia, la quale tocca il centro della persona perché tocca la vocazione di ciascuno all’amore” e “la dimensione sociale della famiglia”, in quanto “l’Instrumentum Laboris reagisce alla privatizzazione dell’amore e poi del matrimonio, una privatizzazione di una relazione di coppia che confina il tema della famiglia al di fuori della società, favorendo la disgregazione della società stessa”. Infine, “la ricchezza della teologia del corpo di San Giovanni Paolo II, che è una risorsa unica per la Chiesa, in quanto offre un linguaggio nuovo e fresco, vicino all’esperienza, per parlare di queste tematiche, così da illuminare la vita e il cammino delle famiglie con la luce della riflessione sulla Sacra Scrittura”.

Sono temi che l’Istituto ha sviluppato nelle sue 11 sedi nel mondo nei vari continenti (da Washington al Messico e al Brasile, dal Libano alla Corea, all’India, al Benin, allo Zambia, alle Filippine e all’Australia) che si affiancano alla sede centrale di Roma, una presenza nel mondo ha portato “a superare un certo eurocentrismo che è emerso ancora nelle discussioni e nelle problematiche venute fuori in questo primo dibattito pre-sinodale. La famiglia è al cuore dell’incidenza che la fede cristiana può avere sulla cultura. Storicamente la Chiesa ha dimostrato questa capacità di cambiare i costumi: si pensi alla prima evangelizzazione nel contesto dell’impero romano. La nostra esperienza ha mostrato la possibilità anche oggi della Chiesa di fare cultura, di essere una minoranza creativa, capace di incidere e creare processi culturali, che sono ovviamente complessi e lenti. Ma che occorre portare avanti con fiducia e pazienza, senza cedere affrettatamente alla mentalità prevalente. La collaborazione tra sacerdoti religiosi e famiglie nella sollecitudine pastorale, ha portato a scoprire la grande ricchezza che il confronto reciproco porta a consacrati e sposati”.

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