Papa Francesco: chi siamo davanti al Signore che soffre?

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Il Getsemani, il luogo della preghiera più dolorosa di Gesù, nell’ora buia e insieme piena di luce: l’ora in cui Egli chiedeva “passi da me questo calice”, ma anche del “non la mia ma sia fatta la tua volontà”. Un luogo in cui i pellegrini di tutto il mondo possono spiritualmente rivivere le ore della Passione. Qui il Papa arriva dopo una lunga e intensa mattina in cui ha affrontato temi cruciali, ferite ancora aperte, in cui ha guardato “nell’abisso senza fondo” dell’Olocausto.

Ora incontra i religiosi e le religiose che vivono qui, nel cuore della Terra Santa e devono fare i conti con le mille difficoltà che i cristiani e i consacrati cattolici affrontano quotidianamente. La chiesa del Getsemani è affollata, suore, sacerdoti, seminaristi, in attesa di ascoltare la meditazione. Francesco entra nella chiesa a cui si arriva dopo aver percorso “la via dolorosa”, quella che nel cuore di Gerusalemme accompagna il credente lungo la via Crucis in cui Cristo si avvicinava, lentamente e con grande sofferenza, all’ultimo atto finale della Passione.

L’ingresso del Pontefice è accolta da applausi, ovazioni, grida festose, mani che si protendono a toccarlo. Lui sorride e avanza lungo la navata. Comincia la celebrazione liturgica, La meditazione di Francesco, rivolta ai religiosi assiepati al santuario del Getsemani, ma ovviamente rivolta a tutti i credenti, si impernia proprio sul momento fatidico in cui Gesù deve dire sì al suo destino e che diventa il momento cruciale in cui ogni cristiano deve dire sì fino in fondo dinanzi alla domanda di Cristo, quella che allora rivolse ai discepoli: dove siete? Perché dormite e mi lasciate solo? “Quando giunge l’ora segnata da Dio per salvare l’umanità dalla schiavitù del peccato,Gesù si ritira qui, nel Getsemani, ai piedi del monte degli Ulivi. Ci ritroviamo in questo luogo santo, santificato dalla preghiera di Gesù, dalla sua angoscia, dal suo sudore di sangue; santificato soprattutto dal suo “sì” alla volontà d’amore del Padre. Abbiamo quasi timore di accostarci ai sentimenti che Gesù ha sperimentato in quell’ora; entriamo in punta di piedi in quello spazio interiore dove si è deciso il dramma del mondo”.
Il Papa spiega che proprio qui, nell’Orto degli ulivi, appare evidente come la “sequela” dei discepoli diventa difficile: “Qui, al Getsemani, la sequela si fa difficile e incerta; c’è il sopravvento del dubbio, della stanchezza e del terrore. Nel succedersi incalzante della passione di Gesù, i discepoli assumeranno diversi atteggiamenti nei confronti del Maestro: di vicinanza, di allontanamento, di incertezza”.

E allora bisogna chiederci con sincerità, con molta umiltà, incalza Francesco: “Farà bene a tutti noi, vescovi, sacerdoti, persone consacrate, seminaristi, in questo luogo, domandarci: chi sono io davanti al mio Signore che soffre? ” Sono, domanda il Pontefice, uno che ha paura, che si tira indietro alla prima difficoltà, che si vergogna della propria fede agli occhi “del mondo”, quando esporsi significa magari essere disprezzati, messi in un angolo, o, nei casi estremi ma certo non così rari, essere martirizzati e uccisi?
Potremmo essere così, spiega il Papa, ma potremmo anche essere coloro i quali, nonostante le debolezze, “grazie a Dio”, si ritrovano “tra coloro che sono stati fedeli sino alla fine, come la Vergine Maria e l’apostolo Giovanni”. Possiamo proseguire nel cammino con Gesù grazie alla sua “amicizia, la sua fedeltà e la sua misericordia”, che sono “il dono inestimabile che ci incoraggia a proseguire con fiducia la nostra sequela di Lui, nonostante le nostre cadute, i nostri errori e i nostri tradimenti”.
E rivolgendosi ancora più esplicitamente ai consacrati, il Pontefice avverte che è necessario vigilare <di fronte al tentatore, al peccato, al male e al tradimento che possono attraversare anche la vita sacerdotale e religiosa. Avvertiamo la sproporzione tra la grandezza della chiamata di Gesù e la nostra piccolezza, tra la sublimità della missione e la nostra fragilità umana. Ma il Signore, nella sua grande bontà e nella sua infinita misericordia, ci prende sempre per mano, perché non affoghiamo nel mare dello sgomento. Egli è sempre al nostro fianco, non ci lascia mai soli”.

Essere sacerdoti e suore “in questa Terra benedetta” rappresenta “un dono e una responsabilità. La vostra presenza qui è molto importante; tutta la Chiesa vi è grata e vi sostiene con la preghiera”. L’ultima invocazione è rivolta alla Vergine Maria, <modella da imitare> e san Giovanni, per poter stare accanto “alle tante croci dove Gesù è ancora crocifisso. Questa è la strada nella quale il nostro Redentore ci chiama a seguirlo”. Come dice il Vangelo di Giovanni: «Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore», cita il Papa.
Dopo la recita del Padre Nostro e la benedizione papale, l’incontro si chiude. All’uscita dalla chiesa il Papa viene accompagnato nell’Orto degli Ulivi, per un breve passeggiata tra quelle piante straordinarie che non si ammalano mai, immuni dai virus, per avviarsi verso gli ultimi, importanti appuntamenti del suo pellegrinaggio.

Un ultimo saluto tra Papa Francesco e Bartolomeo I. L’ incontro è avvenuto alla «Viri Galileai», una piccola chiesa greco-ortodossa sul Monte degli Ulivi, per la visita privata al Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, in restituzione della visita compiuta domenica dal Patriarca al Papa nella Delegazione Apostolica di Gerusalemme. Al termine, il Papa e il Patriarca Ecumenico hanno benedetto insieme un gruppo di fedeli ortodossi riuniti nel cortile.

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