Comitato ONU, una carezza alla Santa Sede. E un pugno

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Nessuna violazione della Convenzione contro la Tortura. Secondo il Comitato ONU che fa da osservatore ai progressi degli Stati che hanno firmato la convenzione, la Santa Sede non ha mai violato la Convenzione. E però nelle osservazioni finali, fatte circolare già da ieri in una versione ancora non editata, ci sono varie annotazioni critiche. Tra l’altro, quasi tutte riguardanti la risposta agli abusi di sacerdoti su minori, secondo una interpretazione larga della Convenzione contro la Tortura. Questa, infatti, non prevede gli abusi. E non a caso un comunicato divulgato dall’osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di Ginevra ci tiene a sottolineare che compito del Comitato è “semplicemente di monitorare e fare rapporti” e non di “esprimere giudizi”, né tantomeno “creare giurisprudenza”.

Ma l’attacco sulla pedofilia era prevedibile. Così la Santa Sede era andata a presentare il rapporto con in tasca i numeri della sua lotta alla pedofilia: 848 sacerdoti ridotti allo stato laicale, 2572 puniti con pene minori come il ritiro a vita di penitenza e di preghiera. Solo nel 2013, 43 chierici sono stati laicizzati e ad altri 358 sono state inflitte sanzioni. E poi, l’impegno incessante della Santa Sede, cominciato da lontano: già nel 1988 Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, si lamentava di come macchinose fossero le procedure di laicizzazione dei preti, e una volta diventato Papa ha portato avanti l’impegno, chiedendo scusa per le colpe dei sacerdoti, incontrando le vittime, modificando le Normae de gravioribus delictis, portando la prescrizione del reato di pedofilia da dieci a vent’anni, a partire dal compimento dei 18 anni da parte della vittima. E Papa Francesco ha portato avanti questo impegno, istituendo una Pontificia Commissione sui Minori e portando a termine la riforma del codice penale vaticano, nel quale sono stati inclusi i reati previsti dalla convenzione.

Un impegno che in fondo il Comitato riconosce, e da subito, apprezzando anche le dichiarazioni del Papa Francesco (soprattutto lo ‘statement’ dell’11 aprile, ovvero le affermazioni del Papa riguardo la necessità di una risposta ancora più forte alla piaga degli abusi). Come riconosce anche formalmente che il trattato si applica allo Stato di Città del Vaticano. E come riconosce che molti ordini religiosi e diocesi cattoliche hanno garantito alle vittime di abusi risarcimenti, “sebbene – nota l’Osservatore Permanente vaticano – non abbia menzionato nelle osservazioni finali che solo negli Stati Uniti si stima che siano stati dati alle vittime 2,5 miliardi di dollari, mentre 78 milioni di dollari sono stati destinati per fornire terapia e altro tipo di supporto, e 20,4 milioni di euro sono stati pagati dall’arcidiocesi di Dublino”.

C’è qualcosa comunque di più raffinato nelle osservazioni conclusive del Comitato ONU contro la Tortura. La prima è che in fondo il Comitato è un organo che da suggerimenti non vincolanti, ma le sue osservazioni su tutti gli Stati in realtà contengono delle pressioni precise per modifiche legislative o adozioni di agende. Nessuno Stato però protesta su come il Comitato tenda a travalicare le sue competenze, e questo – sottolinea un osservatore attento – “è un segnale chiaro di come si voglia che vadano le cose”.

E poi, il tema dei temi, che riguarda la sovranità della Santa Sede. In genere, la volontà è quella di non riconoscerla. In sede internazionale ogni tanto parte persino qualche campagna perché la Santa Sede sia parificata ad una Ong nelle Nazioni Unite. E, come una Ong ha responsabilità diretta sui suoi dipendenti, così si forza l’interpretazione del trattato, sostenendo in pratica che la Santa Sede dovrebbe applicare la convenzione su tutti i sacerdoti del mondo, non solo sul territorio dello Stato di Città del Vaticano.

Il grimaldello usato per portare avanti questa interpretazione sono appunto le nuove norme penali vaticane. Norme che, oltre che allo Stato di Città del Vaticano, si applicano a membri, ufficiali e personale dei vari organi della Curia romana e delle istituzioni ad essa connesse e a legati pontifici e personale diplomatico della Santa Sede. Insomma, dice il Comitato, se queste leggi si applicano anche a soggetti che non sono nello Stato di Città del Vaticano, perché allora si insiste sull’interpretazione del fatto che la Convenzione si applica solo sul territorio dello Stato di Città del Vaticano? Non sarebbe meglio – chiedono i membri del Comitato – reinterpretare il tutto, alla luce del fatto che “gli obblighi degli Stati parte riguardano tutti gli ufficiali pubblici degli Stati parte e altre persone che si muovono in un ruolo ufficiale”?

L’argomentazione è sottile. Ma ci sono delle precisazioni da fare. La prima: i trattati li sottoscrivono gli enti sovrani per i loro territori, e dunque la Santa Sede non può che firmare a nome dello Stato di Città del Vaticano, altrimenti applicherebbe la sua giurisdizione in territorio altrui. La seconda: la riforma del codice penale dello scorso anno introduce, sì, forme di giurisdizione extraterritoriale della Santa Sede, ma a determinate condizioni (offesa ad un proprio cittadino, offesa di interessi sovrani…), secondo un modello seguito anche da tutti gli altri Stati.

I membri del Comitato però insistono. Invitano “lo Stato parte ad adottare provvedimenti effettivi per assicurare che la sua definizione di tortura si applichi a tutti gli ufficiali pubblici, come stabilito dalla convenzione, e che lo Stato parte si faccia carico di tutti i provvedimenti sotto la convenzione.”

Il Comitato contesta anche il fatto che non sono stati forniti dalla Santa Sede i dati richiesti sul numero di casi nei quali lo Stato parte ha fornito informazioni alle autorità civili nei posti dove sono venuti fuori casi di pedofilia. Ed è anche questa una richiesta che ha il vizio di fondo di considerare i sacerdoti dipendenti dal Vaticano. Quasi come se la legge si dovesse applicare a tutte le parrocchie e seminari del mondo. Ma le diocesi/parrocchie non sono filiali di una multinazionale o una Ong. Sono enti che hanno personalità giuridica separata dalla Santa Sede e sottoposta alla sovranità degli Stati territoriali.

Sono tutte contestazioni sottili, che svelano come la volontà sia quella di voler chiamare sempre la Santa Sede di rispondere (anche economicamente) ‘per culpa in vigilando’ o complicità. Un processo di erosione dal basso, per arrivare pian piano a toccare il centro. Chiedendo compensazioni, si toccano le casse per indebolire la missione della Chiesa. Sono battaglie ideologiche forti.

E allora il Comitato chiede di “assicurare” che saranno fornite informazioni “alle autorità civili” in casi in cui questi stiano portando avanti “indagini penali di accuse di violazioni della Convenzione perpetrati dal clero cattolico” o semplicemente avvenute con la loro acquiescenza. E mette sotto accusa il sistema dei trasferimenti dei sacerdoti pedofili, spostati in “diocesi e istituzioni dove rimanevano in contatto con i più vulnerabili”.

Altre richieste sono quelle di stabilire un meccanismo di lamentela indipendente cui si possano rivolgere le vittime di presunte violazioni; chiarire se il Pontificio Consiglio per la Protezione dei minori (che ancora non ha gli Statuti) sia in grado di avere pieno potere di investigare casi di “presunte violazioni della Convenzione”; e di assicurare che gli organi incaricati di investigare sulle violazioni della convenzione siano “indipendenti e senza connessione gerarchica tra gli investigatori e i presunti abusatori”, includendo tra questi organi l’ufficio del Promotore di Giustizia. “Suggerimenti che saranno presi in seria considerazione”, chiosa l’Osservatore Permanente, il nunzio Silvano Maria Tomasi.

Addirittura, si chiede alla Santa Sede di riconsiderare di “rivedere i suoi accordi bilaterali conclusi con altri Stati, come i concordati, all’interno di una visione di soddisfare gli obblighi della convenzione e prevenire che gli accordi non servano a dare protezione a persone che sono accusate di aver violato la convenzione o che si crede siano in possesso di informazioni sulle violazioni”, protezione che sarebbe garantita come “un risultato del loro status di affiliazione alla Chiesa cattolica”. E questo, molto velatamente, sembra riguardare anche il segreto della confessione, tra l’altro attaccato anche dal Comitato Onu sui diritti del Fanciullo.

Mons.  Tomasi, preferisce però guardare al lato positivo del rapporto. Per esempio, che “le Conclusioni non affermano che gli sforzi della Chiesa per proteggere i non nati sono una forma di tortura o un trattamento crudele, disumano e degradante” e quindi passibili di “punizione secondo la Cat”, come spiega  una nota inviata alla stampa. Il nunzio poi dichiara a Radio Vaticana: “Le osservazioni conclusive mettono in risalto che in questi ultimi anni è stato fatto un lavoro capillare non solo per applicare i principi della Convenzione contro la tortura, ma anche per prevenire la questione degli abusi sessuali sui minori. Il Comitato ha mostrato apprezzamento per il dialogo costruttivo che la delegazione ha avuto con gli esperti di questa Commissione e ha una parola di apprezzamento anche per quanto ha fatto e detto Papa Francesco in difesa dei diritti umani. In sostanza, direi che questo Rapporto, a differenza – per esempio – di quello del gennaio scorso riguardo alla Convenzione sui diritti dei bambini, è un rapporto più professionale e più giuridico”.

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