Onu contro Santa Sede. Accuse sugli abusi, pressioni sul diritto canonico

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Il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia ci va giù durissimo: “La Santa Sede ha permesso abusi su migliaia di bambini”. Ma il veleno non è nelle accuse sui casi di pedofilia del clero, ma nella globalità delle dichiarazioni conclusive riguardo il secondo Rapporto Periodico della Santa Sede sui suoi progressi nell’applicare la convenzione dei diritti dell’infanzia. Dichiarazioni che chiedono, in più punti, addirittura il cambiamento del diritto canonico. E che entrano in questioni puramente religiose, attaccando senza mai citarlo il segreto della confessione (“a causa di un codice del silenzio imposto su tutti i membri del clero sotto pena di scomunica…”), e lamentandosi persino che “la Santa Sede continua a porre enfasi sulla promozione della complementarietà e dell’eguaglianza in dignità, due concetti che differiscono dall’eguaglianza per legge e per pratica delineata nell’articolo 2 della Convenzione e che sono spesso usati per giustificare legislazioni e politiche discriminatorie”.

Dunque, secondo il Comitato Onu di 18 esperti indipendenti, la Santa Sede dovrebbe smetterla di esporre liberamente il proprio pensiero radicato sul Vangelo. E per farlo, i membri del Comitato addirittura entrano nell’interpretazione dell’articolo 2 della Convenzione Internazionale per i diritti dell’infanzia, che in realtà impegna semplicemente gli Stati parti a rispettare la Convenzione “senza distinzione alcuna per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere del fanciullo o dei suoi genitori o tutori, della loro origine nazionale, etnica o sociale, della loro ricchezza, della loro invalidità, della loro nascita o di qualunque altra condizione”.

Ma al di là del tentativo di entrare nello “spirito” della Convenzione, il documento suona come un atto di accusa generale, quasi un attacco alla sovranità della Santa Sede. È un lavoro raffinato, perché la distinzione tra legge dello Stato di Città del Vaticano, diritto canonico, Santa Sede è spiegata e considerata. Ma poi il rapporto punta “sull’autorità morale” della Santa Sede, riconosce che è vero che i sacerdoti non sono dipendenti e che lo Stato non ha giurisdizione sulle scuole cattoliche, ma di fatto poi chiede che ci siano delle prese di posizioni forti, fino quasi a chiedere il cambiamento della dottrina in maniera subdola, facendolo suonare come una moral suasion perché la Santa Sede la smetta di battere su alcuni diritti fondamentali, sull’eguaglianza tra uomo e donna, a combattere l’aborto, a far praticamente sentire la sua voce.

La notizia che passa sui media è l’accusa sulla questione pedofilia. Ed è ovviamente il dato più notiziabile, quello per cui a Ginevra c’era grande attesa da parte delle agenzie internazionali, che hanno dedicato all’evento lanci su lanci nel momento in cui queste dichiarazioni sono state rese pubbliche.

Così il Comitato chiede al Vaticano di aprire i suoi archivi, ne contesta “il codice del silenzio” (in pratica la confessione) che impedisce “pena scomunica” ai membri del clero di andare a denunciare i casi di cui vengono a conoscenza alle autorità (una richiesta di abolire il segreto della confessione fu fatta anche dal governo irlandese all’apice del suo scontro con il Vaticano), e si dice “gravemente preoccupato dal fatto che la Santa Sede non abbia riconosciuto l’ampiezza dei crimini commessi, non abbia preso le necessarie misure per affrontare i casi di abusi sessuali e per proteggere i bambini, e abbia adottato politiche e pratiche che hanno portato ad una continuazione degli abusi e all’impunità dei responsabili”. E poi, i 18 esperti condannano la pratica di trasferire i responsabili di abusi di parrocchia in parrocchia per coprirne i crimini e di sottrarli alla giustizia.

Era il problema che era stato segnalato nella prima ondata dello scandalo degli abusi sui minori, ma che era stato risolto nel 2002, quando con le norme De delictis gravioribus Roma aveva chiesto di inviare tutti i casi alla Congregazione della Dottrina della Fede. Non per nascondere, bensì per trasparenza. Perché il vero problema è che i dossier non arrivavano a Roma, che i vescovi locali tendevano a lavare in casa i panni sporchi degli abusi.

L’impegno di Joseph Ratzinger come prefetto della Congregazione prima e come Papa Benedetto XVI poi nel combattere gli abusi è stato esemplare, come riconosciuto dallo stesso Papa Francesco. Il quale, tra le prime decisioni del Consiglio degli Otto Cardinali, ha approvato l’istituzione di una Commissione per la Protezione dell’Infanzia, decidendo così di portare avanti l’immenso sforzo del predecessore.

Tutti dati che erano stati messi sul tavolo dalla Santa Sede nel rapporto, poi nelle domande e risposte per iscritto che avevano avuto con il Comitato, e poi nell’incontro dello scorso 16 gennaio, quando c’era stato il dibattito tra il comitato e la delegazione della Santa Sede, composta dall’ex promotore di Giustizia della CDF Charles Scicluna, il consulente di Stato di Città del Vaticano Vincenzo Buonomo e Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente presso la Sede ONU di Ginevra.

Proprio di Tomasi è la prima reazione articolata, che fa seguito a uno scarno comunicato vaticano in cui si sottolinea il rincrescimento della Santa Sede nel “vedere in alcuni punti delle Osservazioni Conclusive un tentativo di interferire nell’insegnamento della Chiesa Cattolica sulla dignità della persona umana e nell’esercizio della libertà religiosa”.

Tomasi in una intervista a Radio Vaticana afferma che il documento “sembra quasi che fosse già stato preparato prima dell’incontro del Comitato con la delegazione della Santa Sede, che ha dato in dettaglio risposte precise su vari punti, che non sono state poi riportate in questo documento conclusivo o almeno non sembrano essere state prese in seria considerazione” e sottolinea come “probabilmente delle Organizzazioni non governative – che hanno interessi sull’omosessualità, sul matrimonio gay e su altre questioni – hanno certamente avuto le loro osservazioni da presentare e in qualche modo hanno rafforzato una linea ideologica”.

Una linea che diventa evidente nel momento in cui la “teoria del gender” diventa parte integrante delle osservazioni del Comitato. Si parte dalla richiesta di non considerare più “figlio illegittimo” per diritto canonico quanti sono nati fuori dal matrimonio; quindi si chiede alla Santa Sede di fare “pieno uso della sua autorità morale per condannare ogni forma di disturbo, discriminazione o violenza contro i bambini sulla base del loro orientamento sessuale o dell’orientamento sessuale dei loro genitori e di supportare gli sforzi a livello internazionale per la de criminalizzazione dell’omosessualità; e infine (punto 26) ci si lamenta che la Santa Sede continui a enfatizzare “la complementarietà e l’uguaglianza in dignità” (sottinteso, tra uomo e donna).

Non solo. Il Comitato “chiede alla Santa Sede di prendere misure attive per rimuovere dai libri di testo delle scuole cattoliche tutti gli stereotipi sul gender che possono limitare lo sviluppo dei talenti e delle abilità di ragazzi e ragazze e minano le loro opportunità educative e di vita”.

A fronte di una recezione positiva della firma di convenzioni e del nuovo codice penale dello Stato di Città del Vaticano, si sottolinea come nel Codice di Diritto Canonico si parli di “delitto morale” per quanto riguarda gli abusi, e si chiede di delinearlo come crimine. E anche la posizione sull’aborto è messa in discussione.

Al punto 53, il comitato “esprime la sua più profonda preoccupazione per il caso di una bambina di 9 anni in Brasile che nel 2009 dovette fare un intervento di aborto salva-vita dopo essere stata stuprata dal suo padre putativo, la cui madre come il dottore che praticò l’aborto furono sanzionati (sic) dal vescovo di Pernambuco, una sanzione che è stata poi approvata dal capo della Congregazione dei Vescovi della Chiesa cattolica”.

E poi al punto 55 il Comitato chiede addirittura alla Santa Sede di “rivedere la sua posizione sull’aborto che pone ovvi rischi sulla vita e la salute delle ragazze incinte e di emendare il canone 1398 relativo all’aborto con una visione che identifichi le circostanze sotto cui l’accesso ai servizi di aborto può essere permesso”.

Alla fine, la questione degli abusi sui minori sembra essere solo il pretesto di un atto di accusa più generale alla Santa Sede e ai suoi insegnamenti morali, giustificato dallo “spirito” della Convenzione. Perché sulla risposta agli abusi, la Santa Sede aveva fornito risposta articolata sia nelle risposte scritte che in sede di dibattito.

Il Comitato chiede alla Santa Sede di prodursi in un altro rapporto nel 2017. Le considerazioni del Comitato non sono vincolanti. Ma, di certo, hanno il loro peso a livello internazionale. Specialmente in questi giorni in cui anche l’Europa combatte contro la teoria del gender divenuta posizione ufficiale dell’Unione dopo l’approvazione del rapporto Lunacek lo scorso 4 febbraio (un rapporto tutto centrato sui “principi di Yogyakarta” secondo i quali “i diritti speciali per i gay sono compresi nei diritti umani universali” e che tutti i 120 diritti speciali per la comunità gay devono essere imposti al fine di soddisfare a livello internazionale i requisiti di diritti umani riconosciuti).

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