Siria, la Chiesa lavora per la pace

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Ieri al pranzo offerto da Papa Francesco al Papa emerito non era presente, ma oggi il Segretario di Stato Pietro Parolin insieme a Dominique Mamberti responsabile dei rapporti con gli stati, era al lavoro.

Il numero due della Santa Sede ha ricevuto una delegazione del governo siriano composta dal ministro di Stato Joseph Sweid, accompagnato da Hussam Eddin Aala, vice ministro direttore per l’Europa presso il Ministero degli Esteri, già ambasciatore presso la Santa Sede. “La delegazione- si legge nel testo scarno del comunicato del direttore della Sala Stampa- ha portato un messaggio del presidente Assad per il Santo Padre e ha illustrato la posizione del governo.”

Di più non si sa ufficialmente. Le notizie che vengono dalla Siria passano per le Chiese cattoliche e ortodosse, per le testimonianze dei volontari che in Giordania si occupano dei profughi. Come Adele Brambilla religiosa comboniana e operatrice dell’Ospedale italiano di Karak. “La speranza – racconta la religiosa ad Asianews- la tengono alta anche coloro che sono  stati chiamati a collaborare insieme, senza distinzioni di razza, religioni e credo, affinché la solidarietà umana trovi ancora un volto”. In Giordania i profughi sono oltre 1,3 milioni. Chi non vive nelle aree gestite dall’Onu e dalle agenzie internazionali vaga per il deserto in cerca di un riparo e la maggior parte chiede aiuto all’ospedale di Karak, l’unico in grado di offrire, oltre alle cure, anche un minimo di ospitalità. E suor Adele dice che disperazione, odio e volenza non hanno mai il sopravvento. Ne èun esempio l’ospedale dove lavora “che dà accoglienza e assistenza a tutti coloro che ne fanno richiesta, rendendo partecipe di questo approccio caritatevole anche il personale laico musulmano che lavora con noi. I segni di aperture e speranza sono molti, il più recente riguarda un ‘muktar’, responsabile musulmano della zona, della periferia di Karak. Sapendo la nostra condizione e l’utilità del nostro lavoro, l’uomo si è offerto di accompagnarci a visitare alcune famiglie siriane molto disagiate e con casi di malattia”.

“Tali segni – conclude suor Adele – sono la nostra speranza per il Natale. Un Dio che dialoga con la vita e che ci invita al dialogo chiamandoci tutti insieme ad aprire le nostre porte  perché il Signore che viene ad abitare fra noi trovi ancora una dimora”.

 

 

 

 

 

 

 

 

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