Padre Beniamino Rossi: superare le schizofrenie migratorie

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A 70 anni, mentre si trovava ad Haiti per seguire i progetti di ricostruzione in aiuto della popolazione colpita dal terremoto, il 21 novembre (i funerali si sono svolti a Milano il 12 dicembre) è deceduto padre Beniamino Rossi, stroncato da infarto. Per motivi personali di salute, che mi hanno tenuto lontano dalle notizie per un mese, sono venuto a conoscenza della sua morte solo alcuni giorni fa.

Avevo conosciuto padre Beniamino tra il 1998 ed il 2006, quando a Loreto gli Scalabriniani organizzavano, primi in Italia, il Meeting Internazione delle Migrazioni e lui con lucidità, perché aveva vissuto in Svizzera ed in Germania accanto ai migranti italiani, denunciava i problemi legati alla migrazione se l’Italia non si fosse posto il problema culturale e sociale di questo evento.

Dopo gli studi di teologia alla Università Gregoriana di Roma fu destinato alla Provincia San Raffaele di Svizzera-Germania e fu assistente nelle missioni di Losanna (1968-72), Basilea (1972-76), Ginevra (1976-82), e parroco a Colonia (1982-1998) e Stoccarda (1998-99); fu anche il primo Superiore Regionale della neo regione ‘Beato Giovanni Battista Scalabrini’ (1999–2005).

A chi lo ascoltava colpiva soprattutto la lucidità delle sue analisi e della sua progettazione, profondendo molte energie nell’organizzazione del Meeting Internazionali sulle Migrazioni, nella collaborazione con molti Centri Studio. Dal 2005 fino alla morte ha dedicato il suo impegno alla ASCS (Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo, di cui era presidente), la ONG della Regione Europa/Africa, coinvolgendo laici e volontari in America Latina e in Sud Africa, e poi ad Haiti.

Nell’introdurre il Meeting delle Migrazioni nel 2005, p. Beniamino Rossi così diceva nella relazione, ‘I minori immigrati, protagonisti nell’Europa di oggi e di domani’: “Nelle migrazioni moderne, all’inizio della loro presenza su un territorio, i migranti sono soprattutto lavoratori e lavoratrici, con un’alta percentuale di giovani, sottoposti ad una forte rotazione: formano, appunto, la categoria dei ‘lavoratori stranieri’. Solo con il passare degli anni ed il consolidarsi della loro presenza, la composizione si trasforma e si costituisce una vera e propria ‘popolazione straniera’, con la presenza di coppie e famiglie e, quindi, con la nascita di una ‘seconda generazione di stranieri’: quella costituita dai figli degli immigrati della ‘prima generazione’.

Questo fenomeno, che si era verificato già negli scorsi anni per i Paesi europei di immigrazione, come la Francia, il Belgio, l’Olanda, la Germania e l’Inghilterra, sta diventando di attualità anche per i nuovi Paesi di immigrazione, quali l’Italia, la Spagna ed il Portogallo. In Italia, per descrivere il fenomeno nella letteratura e nell’uso comune, si utilizza l’espressione ‘minori immigrati’, mentre nelle letteratura americana ed europea in genere, si utilizza più comunemente il termine ‘seconda generazione’. Nel giro di un decennio, con un ritmo più veloce che in altri Paesi di immigrazione, si è venuta consolidando la presenza dei ‘minori immigrati’ nelle scuole italiane: nell’anno scolastico 1990/91 gli alunni stranieri inseriti erano 18.794; sei anni dopo raggiungevano le 50.659 unità per superare le 100.000 presenze nell’anno scolastico 2000/01; nell’anno scolastico 2003/04 gli alunni stranieri a scuola erano 282.683, cioè il 3,5% sul totale della popolazione scolastica e nell’ultimo anno sono aumentati di 70.000 unità.

In 10 anni si è, quindi, passati da una presenza iniziale di circa 30.000 alunni a quota 350.000: una esplosione improvvisa, che ha coinvolto e sconvolto la scuola italiana, per niente preparata al fenomeno ed alla sua imponenza sia quantitativa che qualitativa. Nella scuola si è dovuto lavorare con mezzi, strumenti e percorsi didattici non ancora definiti e sperimentati, mentre molti docenti evidenziavano la carenza delle loro conoscenze sia sul fenomeno migratorio che sulle metodologie di integrazione che sui contenuti del discorso interculturale, proprio quando esso diventava urgente e necessario vista la presenza sempre più consistente di alunni stranieri…

Nel panorama degli interventi educativi si è inserita in modo sempre più qualificato anche la società civile ed il settore del volontariato, che recentemente sta prendendo coscienza che le realtà migratorie non si esauriscono nelle urgenze e nell’assistenza. Sono nate, in questi anni, una serie di esperienze e di realizzazioni che puntano proprio sul discorso formativo ed interculturale dei ‘minori immigrati’. Oltre a costituire un fattore positivo nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica ed una provocazione a superare le ‘schizofrenie’ di moda, alimentate ad arte dalla demagogia politica, diventano un elemento complementare dell’azione istituzionale della scuola ed uno strumento per implicare i genitori ed il territorio in questa che risulta una prospettiva centrale per la società italiana di domani”.

E poco prima di morire scriveva a proposito delle tragedie avvenute a Lampedusa: “L’Europa sembra non rendersi conto dell’emergenza umanitaria che ha stoccato sull’altra riva del Mediterraneo oltre 1.500.000 di disperati, frutto congiunto della guerra in Siria, della crisi nel Corno d’Africa e delle varie primavere arabe. La crisi porta i Paesi europei a pensare a se stessi ed a difendersi dall’invasione. Saremo capaci di un atto di coraggio e di umanità?”

Con la sua vita padre Beniamino Rossi ha vissuto la parabola del buon Samaritano, che si prende cura dell’a(A)ltro.

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