L’Urbi et Orbi di Papa Francesco. Siria

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Papa Francesco ha fatto della Siria una delle prime battaglie diplomatiche del suo pontificato. La giornata di preghiera e di digiuno per la pace nel mondo prendeva le mosse proprio dal rischio di un intervento armato in Siria. La lettera al presidente russo Putin come presidente di turno del G20 conteneva l’appello per una risoluzione pacifica del conflitto. Logico dunque che Papa Francesco si ricordasse della martoriata nazione mediorientale nell’Urbi et Orbi del 25 dicembre.

“Continuiamo a pregare il Signore – ha detto il Papa all’Angelus – perché risparmi all’amato popolo siriano nuove sofferenze e le parti in conflitto mettano fine ad ogni violenza e garantiscano l’accesso agli aiuti umanitari. Abbiamo visto quanto è potente la preghiera! E sono contento che oggi si uniscano a questa nostra implorazione per la pace in Siria anche credenti di diverse confessioni religiose. Non perdiamo mai il coraggio della preghiera! Il coraggio di dire: Signore, dona la tua pace alla Siria e al mondo intero”.

Secondo i dati delle Nazioni Unite, oltre 100 mila persone sono state uccise nei 33 mesi di conflitto in Siria, e più recentemente l’Osservatorio Siriano per i diritti umani (che  a favore dell’opposizione) ha concluso che sono state uccise minimo 125835 persone, un terzo delle quali sono civili. Secondo l’agenzia umanitaria delle Nazioni Unite (OCHA), milioni di siriani vivono al momento in sofferenza perpetua e in cerca di aiuto, e sranno 9,3 milioni di persone alla fine dell’anno

Al momento, ci sono 2,4 milioni di siriani rifugiati che vivono in Libano, Giordania, Turchia, Iraq ed Egitto, e il numero quasi raddoppierà raggiungendo quota 4,1 milioni a conclusione dell’anno. Le strutture cattoliche, in particolare la Caritas giordana, stanno portando avanti uno sforzo enorme per accogliere i rifugiati. Ma è un peso difficile da sopportare, alla lunga. E, considerando che i partiti siriani in conflitto stanno sempre più polarizzando le loro posizioni, c’è poca speranza che il conflitto finisca nel vicino futuro.

Perché la verità è che non si può più applicare la narrativa di un conflitto tra un governo centrale e una opposizione, dato che la stessa opposizione è frammentata in diversi partiti, alcuni con agende estremamente religiose. Anche l’iniziale descrizione di una ribellione in Siria che domandava libertà e democrazia è ormai di poca rilevanza, considerando il numero di morti e violenze che ci sono stati in questi ultimi anni.

Lo sanno bene le organizzazioni cattoliche, da sempre impegnate sul territorio. Intanto, lo zoom dei media si è spostato dalla Siria, mentre la popolazione continua a vivere e a morire nella paura. Lo scorso 3 dicembre tre suore ortodosse sono state rapite nel villaggio di Maalula, mentre c’è ancora incertezza per la sorte di Paolo Dell’Oglio, il sacerdote gesuita fondatore del monastero di Mar Musa, rapito lo scorso 27 luglio e di cui non si sono più avute notizie.

La Santa Sede ha chiesto più volte, in sede internazionale, di mettere le persone prima degli interessi di parte. Ma le iniziative dell’Osservatore Permanente non hanno avuto grande risalto sui media. Sulla scia del Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, dedicato alla “Fraternità, via e fondamento per la pace”, Mario Toso, arcivescovo, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ha auspicato “più fraternità” per gli incontri diplomatici di Ginevra 2, che dovrebbero andare a definire una qualche via di uscita al conflitto siriano.

Intervenendo in una sessione straordinaria dedicata alla crisi siriana all’Onu di Ginevra, Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede, aveva sottolineato già a maggio che ci vuole “dialogo e riconciliazione, un processo che la diplomatica conferenza proposta può aiutare a proporre, se c’è una volontà politica di sostenerla”.

L’accenno alla volontà politica non era casuale. Troppe volte, in questi mesi, si è pensato che il conflitto siriano risponda ad una logica esterna. In Italia per una riunione dei vescovi amici del movimento dei Focolari, Armando Bortolaso, per dieci anni vicario apostolico dei latini in Siria, aveva sottolineato a febbraio che quella di Siria “è una guerra che viene dall’esterno. Se le nazioni che hanno interesse sul territorio siriano, gli Stati Uniti e la Russia, si mettono d’accordo sulla gestione del territorio, tutto può finire in pochissimo tempo”.

Lo sforzo di Papa Francesco, la diplomazia della Santa Sede, forse aiuteranno a trovare una via d’uscita al conflitto.

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