L’Urbi et Orbi di Papa Francesco. Repubblica Centrafricana

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Nei media occidentali, non ne parla mai nessuno. Eppure la Repubblica Centrafricana è martoriata dalla violenza a seguito a un colpo di stato di matrice islamica in una nazione a predominanza cattolica. Come tutti i conflitti, non si tratta di un semplice conflitto religioso. È una lotta per il potere. Ne ha parlato Papa Francesco all’Urbi et Orbi del giorno di Natale.

Aveva detto Papa Francesco: “Dona pace alla Repubblica Centrafricana, spesso dimenticata dagli uomini. Ma tu, Signore, non dimentichi nessuno! E vuoi portare pace anche in quella terra, dilaniata da una spirale di violenza e di miseria, dove tante persone sono senza casa, acqua e cibo, senza il minimo per vivere”.

Era marzo, quando Seleka, una alleanza di vari gruppi ribelli musulmani, aveva marciato verso Bangui, la capitale della Repubblica Centrafricana, e aveva rovesciato il governo. Come le cose siano cambiate lo testimonia la situazione che si è venuta a creare nel distretto di Miskine, il quartiere musulmano nella capitale a maggioranza cattolica.

Prima del conflitto, i musulmani vivevano in pace insieme ai cristiani, e una moschea gigante stava nel mezzo di tre Chiese. Oggi, quel quartiere è il teatro di una guerra civile, dove le milizie cristiane combattono fino alla morte nel tentativo di sconfiggere i ribelli musulmani.

I musulmani rappresentano tra il 10 e il 15 per cento della popolazione centrafricana. La maggior parte di loro vive a Nord, dall’altra parte di un territorio che non può essere attraversato per sei mesi dell’anno.

Ci vogliono dieci giorni per arrivare alla capitale Bangui da quel territorio. Per questo motivo, molti musulmani guardano invece a nazioni al confine Nord che sono fisicamente più vicine a loro, come il Sudan e il Ciad. L’ospedale più gettonato è quello di Nyala, in Sudan. Le scuole più ricercate sono quelle di Karthoum.

Il Centrafrica si trova così ad essere il confine che divide il Nord Africa a maggioranza musulmano con l’Africa sub-sahariana. Ma il colpo di Stato ha spostato questo confine verso Sud, costringendo il presidente François Bozize (cristiano) a scappare in Camerun, mentre Michel Djotodia, leader del Seleka, si è dichiarato lui stesso presidente.

Dal punto di vista delle popolazioni islamiche, la ribellione è scoppiata perché Bozize non ha fatto nulla per la popolazione. E all’inizio il nuovo governo si è insediato nel nord sottosviluppato e si è impegnato a migliorare le condizioni della maggior parte della popolazione. Ma quando Seleka si è impossessata della capitale, sono sorti nuovi problemi. I combattenti hanno saccheggiato praticamente ogni casa e distrutto le infrastrutture della città. Il governo di transizione di Djotodia è stato paralizzato dalla sua stessa disorganizzazione.

E così Bozize ha organizzato un altro colpo di Stato. Dal suo esilio in Camerun, ha mobilitato le milizie cristiane per combattere contro i ribelli musulmani. Non è stato difficile, dato che i cristiani erano terrorizzati dal nuovo governo musulmano.

La popolazione si trova ora nel mezzo di una guerra civile di difficile definizione. Il rischio genocidio è altissimo. Reneé Lambert, il manager del Catholic Relief Service (la “caritas” dei vescovi Usa) nella Repubblica Centrafricana ha denunciato qualche giorno fa che a Bangui addirittura la gente viene uccisa con il machete. Uno stato di incertezza permanente che catapultato di nuovo la Repubblica Centrafricana nell’incubo della guerra.

Di una popolazione di circa 4,5 milioni di persone, più di 460 mila persone sono state mandate via delle loro case in un anno di violenze, secondo le stime dell’ONU. E nel frattempo la Francia e l’Unione africana hanno accresciuto la loro presenza nella nazione, per contenere la violenza.

La Chiesa fa un grande sforzo sul territorio. A Bangui, le  parrocchie di St. John di Galabadia e da Nostra Signora l’Immacolata, mentre altre quattro parrocchie nella arcidiocesi di Bangui hanno ricevuto più di 10 mila persone rifugiate. Le strutture della Chiesa hanno anche accolto i feriti che sono rimasti senza cure fino ad ora.

Le milizie Seleka hanno minacciato alcune parrocchie, altre sono state messe nel mirino. L’Abate Mbanga ha scritto il 7 dicembre in una lettera che “le strutture della Chiesa continuano a prendere persone che temono per la loro vita, includendo alcuni musulmani che hanno paura di diventare bersaglio di attacchi di vendetta di cristiani che sono stati vittime a loro volta di attacchi”.

Le violenze si sono anche diffuse a Nord Ovest del Paese. Ma la vera ferita è stata inferta alla pacifica convivenza nel Paese tra le due religioni. Un clima di dialogo che è andato completamente perduto con il colpo di Stato dello scorso marzo. Una guerra civile si sta consumando nel silenzio. Solo la Chiesa, con Papa Francesco, ha avuto il coraggio di porre il problema all’attenzione mondiale.

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