L’Urbi et Orbi di Papa Francesco. Iraq

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Quando Papa Francesco ha pronunciato il discorso “urbi et orbi” dalla Loggia Centrale della Basilica di San Pietro, erano passate poche ore dall’attacco ad una Chiesa cristiana a Baghdad, nella notte di Natale. Trentacinque feriti, una trentina di vittime, e l’ennesima recrudescenza di un odio contro i cristiani che in Iraq è andato crescendo negli ultimi anni, tanto che sono stati moltissimi i cristiani a dover lasciare la regione.

“Sana le piaghe dell’amato Iraq, colpito ancora da frequenti attentati”, ha detto Papa Francesco nel suo messaggio del giorno di Natale, che ha rappresentato un lungo “cahier de doleances” dei conflitti dimenticati nel mondo.

Nemmeno di Iraq si parla più. Eppure, da anni il Natale è in Iraq è il tempo in cui le ostilità e le persecuzioni contro i cristiani crescono. Un albero di Natale, oppure solo mostrare decorazioni natalizie alle porte delle cose, possono essere causa di minacce e violenze, e le chiese cristiane diventano un bersaglio ancora più grande nei giorni  di festa, forzando i credenti a celebrare il Natale in privato, se riescono.

Si è diffusa, insomma, una vera e propria cultura del terrore, che rende difficile la libera espressione della propria fede. I gruppi di estremisti religiosi sono cresciuti specialmente nella zona Nord dell’Iraq. Prima della Seconda Guerra del Golfo, l’Iraq era la casa di più di un milione di cristiani. Ora – secondo i dati di Open Doors, un osservatorio dei diritti umani che monitora il trattamento nei cristiani in Medio Oriente – la popolazione iraqena conta appena 330 mila cristiani, e la nazione è la quarta in una speciale classifica delle nazioni considerate tra i peggiori persecutori dei cristiani, subito dopo Corea del Nord, Arabia Saudita ed Afghanistan.

Dal 2003, più di 1000 cristiani sono stati uccisi in Iraq, e altri sono stati rapiti e torturati, ha spiegato Louis Sako, l’arcivescovo di Baghdad. Che poi ha aggiunto che 62 tra chiese e monasteri sono state vandalizzate o persino distrutte in questi ultimi anni. E se il trend si manterrà invariato, l’Iraq potrebbe essere una terra senza cristiani a partire dal 2020. Perché dal 2003 ad oggi – secondo i dati del comitato ONU per i rifugiati – sono stati in 850 mila i cristiani iraqeni a lasciare il territorio.

Un esodo che contrasta con la storia stessa della regione. Nel 781, il califfo al Mahdi chiamò il leader cristiano del suo impero a Baghdad, che era stata da poco fondata, per discutere con lui i meriti di cristianesimo ed Islam nella ragione. Il patriarca Timoteo non esitò, e accettò l’invito, senza alcuna ragione di sentirsi nervoso. Perché erano stati i cristiani, e non i musulmani, ad aver formato la maggioranza dei leader del califfato.

Ma poi la storia è stata diversa. Nel Medioevo, i cristiani hanno progressivamente perso il loro status di religione maggioritaria nella regione, e il collasso dell’impero bizantino ha poi confermato lo status dell’Islam con religione dominante. Dall’inizio del 20esimo secolo, i cristiani hanno rappresentato solo il 10 per cento della sua popolazione totale. Per ironia del destino, la guerra in Iraq lanciata da due leader cristiani come George Bush e Tony Blair rischia di segnare il declino definitivo della presenza cristiana in Iraq.

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