Dalla diocesi di Macerata: la realtà è superiore all’idea

Nel mercoledì delle imposizioni delle ceneri il vescovo di Macerata, mons. Nazzareno Marconi, ha consegnato il testo della Lettera pastorale ‘La realtà è superiore all’idea’, tratta dall’enciclica ‘Evangelii Gaudium’, redatto a conclusione della visita pastorale nelle parrocchie, che traccia un ‘metodo pastorale’:
“Dio e i Santi hanno scritto una storia di bene che ci ha condotto a quella Chiesa locale che oggi realmente siamo, questa Chiesa locale ha, come è logico, luci ed ombre. Per dirla con il Beato Antonio Rosmini è una Chiesa che ha piaghe e punti di forza”.
Le cinque piaghe sono rappresentate dal guardare solo al proprio ambito particolare non vedendo interazioni e possibili collaborazioni; non vedere le risorse e le strutture ecclesiali come a servizio di un intero territorio e non di una singola parrocchia o gruppo; avere una pastorale che punta più sull’abitudine, che sulle motivazioni e sulla convinzione per cui si fanno le cose; avere ancora una Chiesa molto centrata sulla figura del prete, che tutto anima e tutto decide, senza cui niente si può muovere; pensare e realizzare la formazione alla fede come il trasmettere la modalità solita di fare le cose, invece che insegnare a capire la realtà e adattare creativamente le scelte pastorali ad un mondo che cambia:
“Prima piaga. Molti tendono a guardare solo al proprio ambito particolare, non hanno perciò uno sguardo falso, ma certo limitato. Così i problemi si vedono senza comprenderne le radici profonde e lontane e quindi c’è un abbaglio sui reali motivi che generano le fragilità… Così ogni elemento piccolo e locale viene preso come motivo sufficiente a spiegare problemi più grandi e lontani come: la secolarizzazione, la contro evangelizzazione dei media, la cultura anti-evangelica molto pervasiva nella società contemporanea. Le possibili soluzioni proposte da chi ha uno sguardo così ristretto non funzioneranno, perché la diagnosi dei mali non è stata corretta e la cura risulterà approssimativa”.
Per il vescovo la seconda piaga consiste in uno sguardo che non permette di vedere le risorse: “Questa privatizzazione degli spazi genera spesso stanze quasi chiuse, o usate pochissimo, piene di carte e di cose assommate da gente che le usava, ma ora si è invecchiata, o ridotta a poche unità, ma non vuol condividerle con altri. I locali di ministero sono sempre dei luoghi ecclesiali e dovrebbero essere a disposizione di tutta la Chiesa.
Si afferma spesso che ci mancano nuove strutture e spazi più ampi, però non si ha il coraggio di chiedersi come rifunzionalizzare le strutture esistenti, favorendo un utilizzo efficiente e collaborativo, secondo una visione più ampia della pastorale di insieme. Condividere l’uso di uno spazio costringe a coordinarsi tra operatori pastorali, a progettare per tempo e con ordine le iniziative, a rinnovare le proposte privilegiando le azioni fatte assieme. Tutte cose preziosissime per un vero rinnovamento della pastorale e la sua apertura al mondo”.
La terza piaga riguarda la pastorale: “Terza piaga. Consiste nell’aver impostato per decenni quasi tutta la pastorale sulla strategia di: creare “buone abitudini” senza curare le motivazioni per cui si vivevano certe azioni pastorali… Creare nuove buone abitudini costa fatica e pazienza e soprattutto va fatto a partire dal trasmettere convinzioni e motivazioni. Non basta riprendere a celebrare come prima, se non si lavora a riannunciare la fede e rimotivarne il valore nella vita delle persone”.
La quarta piaga è quella del potere: “Abbiamo ancora una Chiesa molto centrata sulla figura del prete, che tutto anima e tutto decide, senza cui niente si può muovere. In questa pericolosa confusione tra un presbiterato vissuto come vocazione ‘al servizio’ del popolo di Dio o vocazione ‘al potere’ sul popolo, sta il nucleo del ‘clericalismo’ tanto spesso criticato da papa Francesco. In alcune parrocchie questo schema ha portato anche ad uno stile di ‘potere’ e non di ‘servizio di alcuni laici (uomini e donne) che nella piccola comunità, parte di una Unità Pastorale e magari residuo di una micro-parrocchia del passato, sono cresciuti come dei sostituti del prete accentratore, con il fatto che spesso stanno lì da più tempo del prete attuale e sono loro lo snodo di tutto”.
L’ultima piaga riguarda la formazione: “La formazione di preti e laici pensata come: il semplice trasmettere la modalità usuale di fare le cose e non come insegnare a capire la realtà e adattare creativamente le scelte pastorali ad un mondo già molto cambiato. Questo accade, ad esempio, nella formazione dei catechisti che sono invitati a ripetere schemi che funzionavano 20 o 30 anni fa, quando si era formato il loro prete.
Anche i grandi Movimenti e Cammini presenti in diocesi, nati negli anni ’70, propongono ancora uno stile pastorale che allora era innovativo, ma oggi se non si rinnova seriamente, risponde sempre meno alla realtà attuale. Manca l’idea di guardare ed ascoltare la realtà, soprattutto i giovani che abbiamo davanti e le loro famiglie che sono profondamente cambiate”.
Ed ecco i dieci punti di forza della Chiesa diocesana, che si fonda sulla fede popolare: “Il valore della fede popolare è poi una realtà condivisa anche dalla gran parte delle Istituzioni e delle realtà di Volontariato sociale, che vi riconoscono una forma di socializzazione potente ed inclusiva. Anche tra i nuovi residenti non cattolici, ma provenienti dal mondo ortodosso, molti condividono queste forme di preghiera popolare, realizzando quell’ecumenismo dal basso che non va certo disprezzato”.
Dai fedeli è infatti emerso il desiderio di pregare: “La vita di oggi non permette orari normali a tanta gente. Proporre occasioni di preghiera in orari e forme nuove, potrebbe essere un modo per andare incontro al desiderio buono di pregare che hanno tante persone. Il successo dei media che propongono la preghiera per le persone sole ed ammalate, pensate a Radio Maria, al Rosario da Lourdes di TV2000 o a trasmissioni di EmmeTV sul canale 89 rispondono in qualche modo a questo desiderio, ma si potrebbe fare certamente di più e meglio”.
Una parte importante per la diocesi sono anche le aggregazioni laicali e la pastorale familiare: “Di fatto quasi tutte le realtà ecclesiali cattoliche sono presenti, accolte e stimate nella nostra Chiesa Diocesana e spesso compresenti in una stessa parrocchia. Questo non è un segno di debolezza, non è infatti un limite ma una virtù che non siamo una Diocesi ‘schierata’ per una sola realtà. Nasce dal rispetto di tutti i Segni dei tempi ed i Carismi che lo Spirito ha suscitato tra noi”.
Altro punto di forza riguarda gli oratori ed i giovani: “Pensare ad un Oratorio per una parrocchia piccola o anche media è quasi sempre velleitario. Solo la dimensione di una Unità Pastorale, ma dove tutti collaborino e lo sentano come una ricchezza comune, può permettere non solo di realizzarlo, ma anche di dargli solidità e futuro. Alcuni oratori nati con questa visione aperta stanno non solo sopravvivendo, ma crescendo e si sta formando una tradizione buona perché giungono i primi nuovi animatori ’nati’ in Oratorio”.
Altro punto di forza è il volontariato sociale: “Il numero delle sigle registrate nei vari comuni è molto alto, ma rispetto al passato si riscontra che sono aumentate di tanto le sigle, mentre il numero delle persone globalmente coinvolte è diminuito. Ciò testimonia in questo campo la crescita del particolarismo e la tendenza a formare gruppi chiusi e spesso contrapposti.
Nonostante questi segni di crisi, la realtà è ancora molto rilevante e mostra la propensione della nostra gente all’impegno nel bene, soprattutto se si possono sperimentare e testimoniare risultati concreti e significativi. Questo dovrebbe incoraggiarci a fare proposte in questo ambito, sia di collaborazione con gli Enti presenti che rivolte a nuovi volontari”.
Inoltre il vescovo ha sottolineato la crescita del diaconato permanente: “A differenza di altre diocesi, dovremmo essere fieri del fatto che i nostri Diaconi non si limitano a svolgere un servizio di assistenza liturgica nelle celebrazioni, ma sono impegnati in maniera più fedele al sacramento ricevuto: in ambito caritativo ed amministrativo, sia Diocesano che di Unità Pastorale, anche con significativi compiti dirigenziali. E’ cresciuto anche di qualità il coinvolgimento delle spose dei nostri diaconi nella collaborazione alla vita di preghiera e di azione pastorale dei loro sposi”.
E’ un invito ad un potenziamento dei mezzi di comunicazione diocesani: “E’ importante che si potenzi il volontariato in ambito comunicativo, così come l’uso delle competenze acquisite per realizzare progetti di formazione dei nostri giovani alla comunicazione competente e ricca di contenuti positivi, via video e social. Durante la visita pastorale ho verificato più volte che ci sono ampi spazi di crescita per far aumentare la connessione tra questi mezzi e le realtà vive ed attive del nostro territorio diocesano, in particolare i giovani degli oratori”.
Insomma è stato un invito alla missionarietà: “In questo modo c’è un prezioso scambio di esperienze, i presbiteri in missione non si sentono soli e dimenticati e possono portare una visione di Chiesa universale anche nelle nostre parrocchie più piccole. Questa visione universale, che lega la nostra piccola diocesi: alla Cina, all’America latina, all’Africa ed a varie parti dell’Europa e dell’Asia, è una grande ricchezza che ci permette di comprendere la grandezza del mondo e della Chiesa Cattolica e di essere sempre più aperti al confronto ed al dialogo piuttosto che allo scontro tra le culture”.
E’ stato un invito ad appassionarsi alla Parola di Dio: “Questa crescita di qualità dei cristiani dovrebbe spingere i nostri preti e diaconi allo studio e ad una preparazione più attenta e competente delle omelie ed anche dell’arte di presiedere le celebrazioni. La liturgia ha un suo ritmo celebrativo, che non tollera né lungaggini, né corse per finire presto. Poi celebrare bene richiede di creare un giusto equilibrio tra: la parola, i segni, il canto ed il silenzio”.
Ed infine ha sottolineato l’impegno caritativo: “E’ l’aspetto più sociale della nostra azione cristiana, che sta sempre più diventando competente e concreta. Il rischio però di ricadere solo nella logica della denuncia sterile, del perdersi in chiacchiere, o dell’attivismo improvvisato, in questo ambito è sempre possibile e richiede grande vigilanza. Ci sono però tante forze buone e giovani ed altre ne stiamo mobilitando, che permettono di guardare al futuro con grande speranza in questo campo”.
Concludendo la lettera pastorale mons. Marconi ha chiesto un ‘cambio’ di mentalità: “Manca ancora una mentalità capace di capire che gli Uffici Diocesani sono a servizio delle Unità Pastorali e non viceversa. Ancora la Curia è sentita da alcuni come un centro da evitare, a cui tenere nascoste le cose, perché non si impiccino troppo di ciò che avviene in periferia, creando problemi.
Questo spesso è dovuto al fatto che non si comprende la necessità attuale di seguire le normative ed i protocolli, coltivando l’idea errata che tutto sia solo burocrazia… Il ruolo degli Uffici di Curia è così di dare alle Parrocchie ed Unità Pastorali quel supporto di conoscenze tecniche e di coordinamento di cui oggi non si può più fare a meno”.