Papa Francesco e la sua uscita di scena. La definizione di una narrativa

Papa Francesco pensieroso
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 09.04.2024 – Andrea Gagliarducci] – Papa Francesco si prepara a passare il testimone? Papa Francesco ha ancora molta carne sul fuoco e ne aggiunge altra. Sta facendo progetti a un ritmo che suggerisce fortemente, che la fine del suo turno per lui non è in vista. Si sta anche prendendo del tempo per dare la sua visione della storia recente, e questo suggerisce fortemente che stia preparando alla sua uscita di scena.

L’impressione viene da brani di due libri–interviste al Papa, pubblicati quasi contemporaneamente. Una, Life, è una biografia del Papa, che ricorda anche come la storia si è intersecata con la sua storia di vita personale. L’altro, El Sucesor, delinea il rapporto di Papa Francesco con il Papa emerito Benedetto XVI lungo il decennio trascorso insieme in Vaticano.

Le due interviste lunghe un libro sono apparse quasi contemporaneamente. Ciò dovrebbe farci riflettere. In essi Papa Francesco si abbandona a confessioni personali che rasentano il gossip, ricostruendo fatti non verificabili. Indipendentemente dalle sue intenzioni, la disponibilità del Papa di impegnarsi in questo tipo di discorso, equivale a usare il fascino e la mistica del suo ufficio – il “potere convincitivo” del papato, se vuoi – per raccontarlo a modo suo.

Questa ha la tendenza a diventare la versione “ufficiale” degli eventi. Colpiscono in particolare le ricostruzioni dei Conclavi del 2005 e del 2013 del Papa. Papa Francesco afferma che avrebbe potuto bloccare l’elezione di Benedetto XVI nel 2005 e che invece ha convogliato su Ratzinger i voti dati a lui, sventando così una “manovra” intesa a bloccare l’elezione di Joseph Ratzinger.

Per quanto riguarda l’elezione del 2013, Papa Francesco sottolinea che il Cardinale Angelo Scola ha convogliato i suoi voti su Francesco. Ciò è significativo perché Scola era colui che veniva considerato in Conclave il principale sfidante dell’allora Cardinale Jorge Bergoglio. Se fosse proprio Scola a convogliare i voti necessari per eleggere colui che diventerà Papa Francesco, sarebbe già qualcosa.

Papa Francesco lamenta anche che i cardinali volessero processarlo. Secondo Francesco, questi cardinali sarebbero andati a riferire questo desiderio a Benedetto XVI, che li ha dissuasi e poi ha riferito l’accaduto a Francesco.

Papa Francesco attacca lo storico Segretario particolare di Benedetto XVI, l’Arcivescovo Georg Gänswein, sia per la pubblicazione della sua autobiografia uscita il giorno dei funerali di Benedetto, sia accusandolo di aver deciso personalmente tutto riguardo al funerale stesso. Il funerale, ricorderete, fu un evento molto discreto che suscitò critiche significative per la sua modestia.

C’era anche un gruppo di ecclesiastici di alto rango – per sentirlo dire da Papa Francesco – che volevano usare Benedetto XVI contro di lui e addirittura di fisare l’eventuale uso del problematico titolo di “Papa emerito”, se Francesco (o qualcuno dopo di lui?) dovesse rassegnare le dimissioni dall’ufficio papale.

Qual è il problema con queste contestazioni?

Per prima cosa, non possono essere verificati. Richiedono una ricostruzione narrativa sulla quale si possono avere molti dubbi. Ad esempio, la ricostruzione del conclave del 2005 non considera il ruolo del Cardinale Carlo Maria Martini, paladino di un fronte progressista e colui che ha sostenuto l’elezione di Benedetto XVI. Il ruolo di Martini nel 2005 è già stato affrontato da molti [QUI], ed è stato incluso nel famoso diario segreto che lanciò Bergoglio come possibile candidato – e quando Martini parlò di “grandi novità”, molto probabile non stava pensando a un nuovo candidato. È qualcosa che è di pubblico dominio da quasi vent’anni, riportato da veterani osservatori vaticani come Sandro Magister [QUI].

Il problema sta piuttosto nell’uso dell’intervista da parte del Papa come mezzo attraverso il quale tenta di determinare come sarà ricordato. Arriva addirittura ad anticipare i preparativi per i suoi funerali, dicendo che gran parte del rito attuale sarà abolito e che l’ultimo Papa che fu esposto è stato Benedetto XVI, perché vuole che la sua bara venga chiusa. Il Papa, insomma, dice di voler essere sepolto come ogni altro Cristiano.

Solo che avrebbe avuto Santa Maria Maggiore come ultima dimora, e avrebbe cambiato i riti in riferimento alla dipartita papale, per mostrare il Papa nella sua umanità.

Anticamente, la morte del Papa veniva attestata chiamando il Papa con il suo nome secolare ([Georgius] – p. es. – mortuus est). Questo per attestare che con la sua morte, l’uomo che aveva ricoperto l’ufficio, lasciava ogni dignità ufficiale ed era un semplice essere umano andato lungo la via di ogni carne. Il Papa era un essere umano che permetteva di essere visitato e pregato dai fedeli, come ogni altro Cristiano. Chiudere la bara senza esporre il corpo, quindi, potrebbe rischiare di mandare un messaggio completamente diverso, e cioè che il Papa resta Papa anche nella morte, e che il suo ruolo di leader carismatico non scomparirà.

Queste copiose interviste suggeriscono, insomma, che Papa Francesco sta costruendo la narrazione che deve accompagnare la sua uscita di scena – quando arriverà – e lo fa parlando più di sé: della sua persona, delle sue emozioni e delle sue impressioni. In tutti i suoi discorsi manca evidentemente qualsiasi rispetto evidente per le istituzioni. C’è Papa Francesco, e poi c’è tutto il resto.

In definitiva, il problema non sta nell’utilizzo dell’intervista. È stato utilizzato da altri Papi, tra cui Giovanni Paolo II, per far conoscere il loro pensiero. Nessun Papa moderno si è espresso soltanto in encicliche e documenti ufficiali. Pio XII utilizzò vigorosamente la radio durante la Seconda Guerra Mondiale. Benedetto XVI si è espresso da teologo nella trilogia di Gesù di Nazareth, che ha avuto cura di presentare come esente da ogni fregio dell’infallibilità papale, per mantenere la discussione sui libri non solo aperta, ma focalizzata sui loro meriti teologici. Giovanni Paolo II scriveva libri-interviste, spesso pronunciava discorsi improvvisati e gestiva efficacemente i rapporti con i media e l’opinione pubblica.

Il problema non è nemmeno che il Papa risponda alle critiche. Per restare nella storia recente, Benedetto XVI iniziò una corrispondenza con il matematico ateo Piergiorgio Odifreddi [QUI], confutando alcune delle sue teorie e affermando che la loro esposizione non era degna della storia dello scienziato – certamente non parole leggere. E ancora, Benedetto XVI ha risposto con una lettera molto amara alla richiesta del Dicastero per la Comunicazione di scrivere la prefazione di una serie di opere, che intendeva mostrare i fondamenti teologici di Papa Francesco [QUI], lamentando l’inserimento tra i teologi in quella serie di Peter Hünermann, che si era apertamente opposto ai recenti pontificati, compreso quello di Benedetto, e aveva attaccato anche Ratzinger il teologo.

Quest’ultima lettera fu alla base del cosiddetto caso “Lettergate”, che portò alle dimissioni di Mons. Dario Viganò da Prefetto del Dicastero per la Comunicazione. Ricordare quella lettera, aiuta a capire la situazione oggi. Anche in quel caso, ci fu il tentativo di creare una narrazione su Papa Francesco e di coinvolgere Benedetto XVI in quella narrazione [*].

Oggi, Benedetto XVI è usato per superare un’opposizione attribuita soprattutto al suo cerchio. È un leitmotiv del pontificato di Benedetto XVI e dei tempi come emerito, di attaccare i collaboratori quando Benedetto stesso non può essere attaccato. Non che i collaboratori di Benedetto XVI non abbiano commesso errori – sono umani anche loro. Però, è anche vero che i collaboratori di Benedetto XVI venivano messi sotto i riflettori ogni volta che Benedetto XVI era sotto attacco, poiché attaccare direttamente il Papa era considerato sconveniente. Anche le pubblicazioni dello scandalo Vatileaks I affermavano di voler difendere la riforma di Benedetto XVI e invece di voler mettere in risalto il comportamento dei suoi fedelissimi, che non gli permettevano di portare a termine quella riforma.

Papa Francesco ha adottato questa narrazione. Eppure, lui stesso ha deciso che Benedetto XVI, come Papa emerito, dovesse partecipare alla vita della Chiesa. Francesco ha chiesto a Benedetto di unirsi alla benedizione della statua di San Michele Arcangelo in Vaticano, alle canonizzazioni di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, ai Concistori per la creazione di nuovi cardinali. Papa Francesco ha deciso di portare i nuovi cardinali dal Papa emerito Benedetto XVI alla fine di ogni Concistoro, poiché Benedetto era troppo debole per lasciare il monastero Mater Ecclesiae e i suoi dintorni. Francesco è sempre stato informato quando sono usciti gli scritti di Benedetto XVI – dal testo letto in occasione della dedicazione di un’aula dell’Urbaniana al Papa emerito, alla lettera sugli abusi, e quando Benedetto XVI ha cominciato a rispondere alle accuse di aver coperto i casi di preti abusatori, che provenivano dalla Germania e riguardavano il periodo del suo mandato come Arcivescovo di München und Freising.

Se tutto ciò fosse vero, come possono i disaccordi con i collaboratori di Benedetto XVI derivare dalla manipolazione di Francesco da parte del Papa emerito? Se tutto ciò fosse vero, come i collaboratori del Papa emerito avrebbero potuto avere così tanto potere, anche per decidere sui funerali? Queste domande bruciano, quando si leggono le ricostruzioni di Papa Francesco, che portano alla domanda fondamentale su queste interviste.

Queste sono interviste che rappresentano la demitizzazione del papato, ridotto in definitiva alla persona di Papa Francesco. Papa Francesco parla come un qualsiasi capo di governo, che si trova a dover rispondere a un gruppo di oppositori; descrive il Conclave diviso in fazioni quasi senza considerare il ruolo che la preghiera e il discernimento possono aver avuto in quel contesto; risponde alle critiche come un uomo che si sente ferito e che è chiamato a ricostruire i fatti. E lo fa da una posizione di favore, raccontando cose che nessuno può contraddire – almeno non senza timore di apparire di parte.

Il Papa infatti è solo un uomo e si comporta come un uomo. Ma è anche vero che un’istituzione come il Papato ha bisogno di un Papa che guardi non solo ai suoi problemi, ma anche alla sua lettura dei fatti. Un Papa che guarda prima di tutto al Papato, e non perché tutto debba essere traslucido e sacralizzato, ma perché tutto ha un ruolo più significativo delle mere vicissitudini umane.

Queste interviste rischiano di risaltare le miserie umane e mettere Dio nell’ombra. Non possono non piacere a chi considera la Chiesa una questione puramente umana e una struttura marcia e piena di scandali. Tuttavia, possono creare un problema con la percezione della Chiesa, del Papato e del pontificato di Francesco. Così, Papa Francesco ha dato il colpo finale alla struttura vaticana nel definire la sua uscita di scena.

Può darsi, che consideri questo parte del suo originario mandato di elezione per la riforma della Curia. Forse, semplicemente, fa parte della conversione spirituale che chiede a tutta la Chiesa. Crea però una narrazione che contrappone Papa Francesco a tutti gli altri, lo mette al centro dei fatti, e crea una divisione tra chi sostiene questo modus operandi e chi lo guarda con una certa circospezione.

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

[*] La collana di 11 libricini La teologia di Papa Francesco pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana, finì a marzo 2018 nelle cronache per il caso della lettera all’allora Prefetto della Segreteria per la Comunicazione, Monsignor Dario Edoardo Viganò, che era stata qualificata dal suo autore come “riservata-personale”, con cui il Papa emerito Benedetto XVI rifiutò di scrivere “una breve e densa pagina teologica” di recensione.
La lettera (“riservata-personale”) non solo fu pubblicata da Mons. Viganò, ma sbianchettata dalla parte in cui il Papa emerito muoveva delle critiche per la scelta di uno degli autori della collana, per aver “capeggiato iniziative anti-papali”, perché “attaccò in modo virulento l’autorità magisteriale del Papa specialmente su questioni di teologia morale” e in “opposizione al magistero papale”.
La parte che fu pubblicata:
«Reverendissimo Monsignore, molte grazie per la sua cortese lettera del 12 gennaio e per l’allegato dono degli 11 piccoli volumi curati da Roberto Repole. Plaudo a questa iniziativa che vuole opporsi e reagire allo stolto pregiudizio per cui Papa Francesco sarebbe solo un uomo pratico privo di particolare formazione teologica o filosofica, mentre io sarei stato unicamente un teorico della teologia che poco avrebbe capito della vita concreta di un cristiano oggi. I piccoli volumi mostrano a ragione che Papa Francesco è un uomo di profonda formazione filosofica e teologica e aiutano perciò a vedere la continuità interiore tra i due pontificati, pur con tutte le differenze di stile e di temperamento. Tuttavia non mi sento di scrivere su di essi “una breve e densa pagina teologica”. In tutta la mia vita è sempre stato chiaro che avrei scritto e mi sarei espresso soltanto su libri che avevo anche veramente letto. Purtroppo anche solo per ragioni fisiche non sono in grado di leggere gli undici volumetti nel prossimo futuro, tanto più che mi attendono altri impegni che ho già assunti».
La parte che fu sbianchettata:
«Solo a margine vorrei annotare la mia sorpresa per il fatto che tra gli autori figuri anche il professore Hünermann, che durante il mio pontificato si è messo in luce per aver capeggiato iniziative anti-papali. Egli partecipò in misura rilevante al rilascio della ‘Kölner Erklärung’, che, in relazione all’enciclica ‘Veritatis splendor’, attaccò in modo virulento l’autorità magisteriale del Papa specialmente su questioni di teologia morale. Anche la ‘Europäische Theologengesellschaft’, che egli fondò, inizialmente da lui fu pensata come un’organizzazione in opposizione al magistero papale. In seguito, il sentire ecclesiale di molti teologi ha impedito questo orientamento, rendendo quell’organizzazione un normale strumento di incontro fra teologi. Sono certo che avrà comprensione per il mio diniego e La saluto cordialmente».

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