Il Presidente della Repubblica di Artsakh ha rilasciato un’intervista alla televisione pubblica dell’Artsakh

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 29.10.2023 – Vik van Brantegem] – Ieri 28 ottobre 2023, il Presidente della Repubblica di Artsakh, Samvel Shahramanyan, in carica dal 10 settembre 2023, ha rilasciato un’intervista alla televisione pubblica dell’Artsakh, in cui ha fornito dettagli inedite della sua elezione del 9 settembre 2023 e sull’aggressione terroristica dell’Azerbajgian all’Artsakh il 19 e 20 settembre 2023. Inoltre, si è espresso sulla questione del ritorno in Artsakh della popolazione armena sfollata con la forza.

«Non c’era quasi nessuno disposto a sopportare quel peso», ha detto Samvel Shahramanyan, parlando del perché e come è stato eletto Presidente della Repubblica di Artsakh: «La questione è la seguente: 4 forze politiche su 4 dell’Assemblea Nazionale dell’Artsakh si sono rivolte a me e abbiamo avuto lunghe discussioni, dopo di che hanno deciso di nominarmi Presidente della Repubblica. Ricorderete anche che alle elezioni del 2020 avevamo 14 candidati, ma in questa difficile situazione non avevamo quasi nessuno disposto a farsi carico di questo peso. Per quanto riguarda il motivo per cui hanno sostenuto la mia candidatura, voglio dare una risposta semplice: per come sono andato, gli anni in cui ho vissuto in Artsakh probabilmente hanno permesso alle forze che mi hanno nominato di tenere conto del fatto che non ho precedenti penali. Nel corso del mio lavoro non ho avuto casi penali di appropriazione indebita, danni allo Stato, o altri problemi morali. Forse è stato questo il motivo per cui c’è stato un consenso tra quelle forze politiche».

Shahramanyan ha detto che aveva capito quale grande responsabilità ricadeva su di lui e ha fatto consapevolmente quel passo: «Considerando che non avrei lasciato l’Artsakh, la mia famiglia ha sempre vissuto nell’Artsakh, mio figlio ha continuato a prestare servizio nell’esercito di difesa dell’Artsakh, tutto ciò mi ha dato la convinzione che fosse necessario assumersi questa responsabilità e cercare di uscire da questa difficile situazione».

Shahramanyan ha affermato che l’aggressione militare contro l’Artsakh il 19 e 20 settembre 2023 non aveva nulla a che fare con le elezioni presidenziali all’Assemblea Nazionale dell’Artsakh il 9 settembre, visto che l’Azerbajgian aveva sviluppato il piano per lanciare l’attacco molto tempo prima: «Conosco questa falsa tesi. Voglio assicurarvi che la parte azera non teneva conto dei processi in corso nell’Artsakh, ed è chiaro che il piano per queste operazioni militari non è stato sviluppato dopo la mia elezione. Era pre-pianificato e preparato. Eravamo sotto blocco da 9 mesi e sotto assedio da 4 mesi. Negli ultimi mesi, come Segretario del Consiglio di Sicurezza dell’Artsakh, ho ricevuto costantemente informazioni e abbiamo discusso regolarmente nelle riunioni del Consiglio di Sicurezza, quali accumuli stavano portando avanti le forze armate azere lungo la nostra linea di contatto. anche attrezzature pesanti, artiglieria e un gran numero di militari, compresi dei reparti speciali. Si trovavano molto vicino ai nostri insediamenti, e dire che l’idea era venuta all’Azerbajgian negli ultimi giorni ed era legata alle elezioni presidenziali in Artsakh, non è corretto ed è una tesi falsa».

In riferimento all’aggressione terroristica dell’Azerbajgian all’Artsakh il 19 e 20 settembre 2023, Shahramanyan ha affermato che i Russi erano a conoscenza in anticipo dell’attacco dell’Azerbajgian e hanno lasciato indifesi gli Armeni dell’Artsakh durante la guerra: «La mattina del 19 settembre ero con il Comandante delle forze di mantenimento della pace russe․ Il primo segnale che le operazioni militari potevano iniziare è stato il fatto che il comandante della base russa vicino a Shushi fu avvertito che l’artiglieria azera avrebbe iniziato a sparare a breve. Mezz’ora dopo essere salito nel mio ufficio, tutte le regioni sono state sottoposte a intensi bombardamenti».

Rispondendo alla domanda cosa hanno fatto o detto le forze di mantenimento della pace russe quando hanno saputo dell’inizio delle operazioni militari da parte dell’Azerbajgian, Shahramanyan ha spiegato che i Russi hanno mostrato indifferenza: «Qualche ora dopo l’inizio delle operazioni militari, mi sono reso conto che eravamo soli contro l’aggressione azera. La parte russa aveva essenzialmente il ruolo di osservatore e dovevamo risolvere i nostri problemi da soli».

Per quanto riguarda la resa dell’Artsakh dopo l’aggressione militare dell’Azerbajgian, Shahramanyan ha spiegato: «Insieme al Ministero della Difesa e alla nostra popolazione, abbiamo avviato azioni di reazione. Grazie a loro abbiamo avviato i negoziati con l’Azerbaigian, che sono durati 12 ore. Le forze in campo erano diseguali, più a lungo fosse continuato l’aggressione militare, maggiori sarebbero state le vittime e le perdite. Il mio obiettivo, come Presidente dell’Artsakh, era fermare le operazioni militari il più rapidamente possibile ed evitare altre vittime».

Shahramanyan ha detto che aveva stabilito un contatto diretto con i rappresentanti di alto rango da parte azera, che lo conoscevano ed erano autorizzati ad avere un contatto diretto con l’Artsakh.

Riguardante la frase «i resti delle forze armate della Repubblica di Armenia verranno ritirati» nel documento della resa dell’Artsakh, Shahramanyan ha affermato che era inaccettabile. Tuttavia, ciò è stato affermato nella dichiarazione come risultato della coercizione dell’Azerbajgian: «Quella nota era inaccettabile per noi, ma era una rivendicazione dell’Azerbajgian, quindi, abbiamo capito che se avessimo firmato quel documento, non ci saremmo presi alcuna responsabilità legale per la frase. Abbiamo informato l’Azerbajgian oralmente e per iscritto che non avevamo delle forze armate della Repubblica di Armenia nell’Artsakh».

Samvel Shahramanyan ha detto che evacuare le forze di difesa dell’Artsakh con il loro materiale lungo il Corridoio di Berdzor (Lachin) non era accettabile per l’Azerbajgian, quindi l’esercito di difesa dell’Artsakh ha consegnato le armi alle forze di mantenimento della pace russe, con l’obbligo a distruggerle.

Samvel Shahramanyan ha affermato che il ritorno degli Armeni in Artsakh è una delle questioni all’ordine del giorno e che verranno avviate discussioni a questo scopo nel prossimo futuro: «È uno dei temi della nostra agenda e dovremmo avviare discussioni e cercare modi per risolverlo. Per quanto riguarda lo status da restituire all’Artsakh, è una questione di discussione e negoziazione. Diversi centri politici sono interessati al ritorno della popolazione nel Nagorno-Karabakh: l’Unione Europea, gli USA, la Russia. Mi sembra che anche l’Azerbajgian sia interessato a questo, perché ci sono accuse da parte della comunità internazionale di aver contribuito allo sfollamento forzato della popolazione armena. Su questo tema dovrebbero essere avviati dei negoziati».

Il Presidente della Repubblica di Artsakh ha affermato che l’Azerbajgian ha arrestato i tre ex Presidenti dell’Artsakh per motivazioni politici. Di conseguenza, lui non è stato arrestato ed è stato trasferito da Stepanakert all’Armenia in elicottero.

L’ex Deputato della Repubblica di Armenia, Arman Tatoyan, ha osservato sulla sua pagina Facebook:
«Con il rapimento e l’incarcerazione illegale di leader dell’Artsakh, esponenti militari e statali, il governo dell’Azerbajgian:
1. legittima le sue false tesi politiche presentando false accuse (terrorismo e finanziamento del terrorismo, riciclaggio di denaro, gruppi armati illegali, omicidi, ecc.);
2. legittima la sua politica genocida, l’odio e l’inimicizia e crea motivi “legittimi” per portarli avanti.
3. fa piazza pulita dei crimini che ha commesso: omicidi, torture, rapimenti, sfollamenti forzati di centinaia di migliaia di persone, ecc.;
4. crea già motivi per l’aggressione militare contro l’Armenia e nuovi crimini (ad esempio, testimonianze ottenute attraverso la tortura e falsi procedimenti penali, ecc.);
5. cerca di spezzare lo spirito del popolo armeno, insulta la dignità nazionale, mantiene in tensione la società armena e provoca sofferenza mentale alle persone.
Il rilascio di tutti loro è la priorità di tutti noi, indipendentemente dal nostro atteggiamento personale nei confronti di qualcuno di loro: gli ex Presidenti dell’Artsakh, Arkady Ghukasyan, Bako Sahakyan, Arayik Harutyunyan, il Presidente del Parlamento, Davit Ishkhanyan, l’ex Ministro di Stato, Ruben Vardanyan, l’ex Ministro degli Esteri, Davit Babayan, gli ufficiali militari di alto rango Levon Mnatsakanyan e Davit Manukyan, soldati e civili armeni catturati in momenti diversi».

A seguito dell’aggressione terroristica il 19-20 ottobre 2023 dell’Azerbajgian, sono state ricevute informazioni sulla tortura dei residenti e sulla mancanza di rispetto dei corpi

Ieri, 28 ottobre, il Difensore dei Diritti Umani dell’Armenia, Anahit Manasyan, ha partecipato ad una tavola rotonda sul tema degli sfollati forzati dal Nagorno-Karabakh nell’ambito del Congresso Per il bene degli interessi armeni e dello stato di diritto. Al Congresso partecipano più di 250 avvocati armeni della diaspora provenienti da 31 Paesi, con l’obiettivo di contribuire all’instaurazione di conoscenze e cooperazione tra gli avvocati armeni dell’Armenia e i migliori avvocati armeni della diaspora, discutere le questioni legali prioritarie relative alla patria e alla diaspora, e creare l’opportunità per il coinvolgimento di specialisti e la formazione di un’agenda di interazione.

Nel dare il benvenuto ai partecipanti all’evento, Anahit Manasyan ha osservato che, in relazione ai recenti eventi, l’ambito di lavoro del Difensore dei Diritti Umani è notevolmente aumentato.

«Continuiamo a svolgere il nostro lavoro quotidiano, allo stesso tempo, abbiamo più di 100.000 connazionali sfollati con la forza, e anche le questioni relative alla protezione, promozione e garanzia dei loro diritti sono per me una priorità. Vorrei registrare che siamo stati coinvolti attivamente in questi lavori fin dal primo giorno. Con lo staff ho visitato Goris, Kornidzor e Vaik, abbiamo lavorato anche di notte. Anche adesso visitiamo continuamente le residenze temporanee degli sfollati forzati. Durante questo periodo, abbiamo parlato con circa 400 persone, a seguito delle quali abbiamo ricevuto informazioni sulla morte, tortura, mancanza di rispetto dei corpi, mutilazioni e altri maltrattamenti di civili a seguito dell’aggressione azera, proibita dal diritto internazionale», ha osservato il Difensore dei Diritti Umani dell’Armenia.

Anahit Manasyan ha sottolineato in particolare che le attività conoscitive perseguono due obiettivi: garantire la tutela dei diritti delle persone sfollate con la forza che sono entrate nella Repubblica di Armenia e rivelare i casi relativi alla tortura e ad altre forme di maltrattamenti avvenuti come un risultato delle azioni azerbaigiane.

«L’autenticità delle informazioni da noi raccolte è stata verificata, dopodiché sono state incluse nel rapporto preliminare straordinario del Difensore dei diritti umani. Il rapporto pubblico, con una sezione consultiva chiusa, è stato presentato alle organizzazioni e agli attori internazionali con il mandato di proteggere i diritti umani, inclusa la presentazione alla Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite come atto che documenta le violazioni dei diritti umani», ha spiegato il Difensore dei Diritti Umani dell’Armenia.

In questo contesto, Anahit Manasyan ha osservato che è molto importante che le strutture con il mandato di tutelare i diritti umani abbiano i diritti umani fondamentali al centro della soluzione dei problemi, perché nessuna circostanza politica e territoriale può prevalere sui valori legati ai diritti umani.

Se l’Azerbajgian abbandonerà le sue posizioni fondamentaliste e si siederà al tavolo dei negoziati sulle piattaforme occidentali o russe con motivazioni sincere, allora il progetto “Crocevie della Pace” proposto dal governo armeno [QUI] diventerà davvero realtà, ha affermato l’esperto georgiano Johnny Melikyan in una conversazione con Manvel Margaryan per Armenpress. Ha sottolineato che l’instaurazione della pace nel Caucaso meridionale non dipende solo dall’Armenia e dalla Georgia. Alla conferenza di Tbilisi la parte armena ha dimostrato ancora una volta di essere pronta a compiere passi concreti nel quadro dell’agenda di pace.

«Yerevan dichiara di essere pronta a firmare un trattato di pace con l’Azerbajgian, riconoscendone l’integrità territoriale, ma non vi è alcuna risposta adeguata o approccio costruttivo da parte di Baku. Lo scopo principale della visita del Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, in Georgia era quello di partecipare alla conferenza sulla “Via della seta”, che è già diventata tradizionale, è organizzata dal governo georgiano e alla quale partecipano alti funzionari di molti Paesi, nonché rappresentanti di organizzazioni influenti e strutture internazionali. Pertanto, il Primo Ministro armeno ha utilizzato questa piattaforma, presentando attentamente nel suo discorso la visione del progetto “Crocevie della Pace” avanzata dalla parte armena», ha detto l’esperto georgiano.

Melikyan ha sottolineato che i Primi Ministri di Armenia e Georgia hanno sottolineato l’importanza di incontri bilaterali regolari. Quindi, questa è un’altra opportunità per presentare ai partner georgiani gli approcci e le aspettative di Yerevan riguardo ai processi di integrazione regionale e alle modalità per raggiungere una pace sostenibile nel Caucaso meridionale. La parte armena ha anche preparato degli opuscoli rilevanti sul progetto “Crocevie della Pace”, che sono stati distribuiti ai partner georgiani e agli altri partecipanti alla conferenza sulla “Via della seta” a Tbilisi.

«Purtroppo l’Azerbajgian non adempie ai suoi obblighi e sebbene dichiari che la questione del Nagorno-Karabakh è stata risolta, in realtà il conflitto armeno-azerbajgiano non è stato ancora risolto e la questione è ancora nell’agenda internazionale. Solo la situazione degli Armeni sfollati con la forza dimostra che l’Azerbajgian ha rinunciato ai propri obblighi. Baku ha addirittura cominciato a criticare la piattaforma europea, accusandola di non mostrare un approccio neutrale nel processo negoziale. Più recentemente, Tbilisi ufficiale si è nuovamente rivolta all’Armenia e all’Azerbajgian con l’offerta di utilizzare anche la piattaforma georgiana nei negoziati», ha osservato l’esperto georgiano.

A proposito, Aliyev non ha partecipato alla conferenza sulla “Via della Seta”, ma ha inviato il Primo Ministro dell’Azerbajgian in viaggio d’affari. Secondo Melikyan è ovvio che dovrebbe esserci un formato in cui i Paesi e le organizzazioni coinvolte siano garanti dell’attuazione degli accordi. Ha affermato che la piattaforma georgiana, a sua volta, può essere utilizzata per risolvere questioni meno politicizzate ed esterne ai processi geopolitici, e se ce n’è una reale necessità, questa piattaforma può essere utilizzata anche in modo efficace.

Per quanto riguarda il contributo che l’Armenia e la Georgia possono dare al progetto “Via della Seta”, Melikyan ha sottolineato che la Georgia già è inclusa nei processi, perché è un Paese di transito e trasporta merci, e se tutte le comunicazioni nel Caucaso meridionale saranno aperte, sbloccando le strade, l’Armenia potrà essere coinvolta attivamente nel progetto menzionato.

«L’Armenia assumerà anche il ruolo di un importante corridoio e, se possibile, collegherà i mercati asiatici con la Georgia ai mercati europei, utilizzando il territorio dell’Iran, quindi, nelle relazioni interstatali, dovremmo svolgere continuamente un lavoro attivo in questo senso, per ottenere il massimo beneficio dall’interazione con diversi attori in diverse direzioni”, ha concluso l’esperto georgiano Johnny Melikyan.

Il doppio standard di Erdoğan sul «genocidio»
Il Presidente turco difende Hamas, che si batte per la propria terra. Eppure ha perseguitato i Curdi e osteggiato gli Armeni, a loro volta vittime di genocidio
di Gian Antonio Stella
Corriere della Sera, 28 ottobre 2023


Quelli di Hamas, dice Erdoğan, non sono terroristi ma «combattenti» per «il proprio popolo e la propria terra». E i Curdi che difesero Kobane e gli Armeni espulsi dagli Azeri? Certo, definire quale sia il confine esatto tra la «violenza legittima» e la ferocia barbarica di chi si rivolta è forse impossibile. La storia degli ultimi secoli è piena di bombe fatte scoppiare da gente convinta di non avere alternative e più ancora di essere nel giusto nonostante i «danni collaterali». E talvolta, nel giusto, lo era davvero. Ma sconcerta lo sprezzo con cui il presidente turco si sente in diritto di distribuire le patenti di «combattenti patrioti» a quanti si sono spinti a sgozzare dei neonati e negarla non solo agli Israeliani stravolti dall’aggressione ma ai militanti Curdi bollati sempre come «terroristi» anche se marciavano per le strade in aiuto della curda Kobane assediata in Siria dai tagliagole dell’Isis. O dei militanti Armeni dell’enclave del Nagorno-Karabakh, un territorio cristiano e armeno per un paio di migliaia di anni, conteso in una guerra sanguinosa agli Azeri sciiti dopo la fine della «grande madre» sovietica e svuotato poche settimane fa dalla biblica cacciata di almeno centomila profughi Armeni. Cacciata salutata da Recep Tayyip Erdoğan con queste parole: «Ci ha reso orgogliosi il fatto che l’Azerbajgian abbia portato avanti l’operazione militare in tempi brevi e con il massimo rispetto per i civili». Testuale.

Non bastasse, il Presidente turco ha aggiunto alla sua perorazione in difesa di Hamas qualche altra parola sulla guerra in corso: «Avevamo buone intenzioni, ma sono andate alla malora. Avevamo in programma di andare in Israele, ma non ci andremo. La metà delle vittime palestinesi sono bambini, cui vanno aggiunte donne e anziani. Un massacro che sta raggiungendo le dimensioni di un genocidio». Rileggiamo: genocidio. Esattamente quella parola contro cui da anni si ribella furioso quando qualcuno osa accostarla alla mattanza degli Armeni in Turchia un secolo fa. Due pesi, due misure.

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato con 120 voti favorevoli (Armenia ha votato a favore, come anche Azerbajgian, Russia e Turchia), 14 contrari (Israele e Stati Uniti hanno votato contro) e 45 astensioni (Italia si è astenuto “perché non c’è una condanna di Hamas”) una risoluzione elaborata dai Paesi arabi, che chiede un immediato cessate il fuoco umanitario tra Israele e Hamas e chiede l’invio di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e la protezione della popolazione civile.

La risoluzione è stata adottata perché due terzi del numero totale degli elettori sono favorevoli e le astensioni non vengono prese in considerazione. Le risoluzioni dell’Assemblea Generale non sono vincolanti, ma riflettono i sentimenti della comunità mondiale. La risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sarebbe stata vincolante, ma quattro tentativi di approvarla sono stati vanificati dal veto di un Paese. Come nota Reuters, il Canada ha cercato di inserire nella risoluzione una clausola che condannasse “l’attacco terroristico di Hamas… e la presa di ostaggi”, ma l’emendamento non è stato adottato: 88 paesi hanno votato “a favore” e 55 “contro”. La risoluzione, tuttavia, chiede il “rilascio immediato e incondizionato” di tutti gli ostaggi, nonché il loro trattamento umano.

Dichiarazione sulla missione delle Nazioni Unite del 1° ottobre 2023 nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh – 28 ottobre 2023
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

L’Istituto Lemkin per la Prevenzione del Genocidio è deluso dall’esito della visita della missione delle Nazioni Unite nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh il 1° ottobre, avvenuta dopo che l’intera popolazione armena dell’Artsakh era già fuggita a causa dello sfollamento forzato in seguito alla recente invasione azerbajgiana. È difficile capire quale fosse lo scopo di tale missione e perché non ci siano mai state maggiori pressioni sull’Azerbajgian per consentire una missione nell’Artsakh durante il blocco della regione durato 9 mesi da parte dell’Azerbajgian che ha portato all’invasione.

Prima di questa visita, negli organi delle Nazioni Unite erano state sollevate più volte preoccupazioni circa la costante insicurezza politica degli armeni nell’Artsakh e le minacce alla popolazione armena nella regione. Sono state convocate due riunioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sul tema delle minacce attuali agli Armeni dell’Artsakh (il 16 agosto, riguardo al blocco totale imposto alla Repubblica di Artsakh da parte dell’Azerbajgian, e il 21 settembre, riguardo all’attacco militare azerbajgiano alla popolazione armena nell’Artsakh). In entrambi gli incontri, la maggioranza degli Stati membri del Consiglio di Sicurezza ha condannato le azioni dell’Azerbajgian, affermando che rappresentavano una minaccia alla sicurezza e al benessere degli Armeni della regione e scoraggiando qualsiasi sforzo di pacificazione nella regione. Oltre a queste condanne, la Corte Internazionale di Giustizia ha ordinato all’Azerbajgian in due diverse occasioni (il 22 febbraio e il 6 luglio 2023) di riaprire il Corridoio di Lachin, la rotta umanitaria che collega la Repubblica di Artsakh con l’Armenia. Tutte le dichiarazioni e gli ordini della Corte Internazionale di Giustizia sono stati ignorati dall’Azerbajgian.

L’Istituto Lemkin ha emesso diversi avvisi di bandiera rossa per l’Azerbaigian da quando il Corridoio di Lachin è stato bloccato il 12 dicembre 2022, nonché un avviso di genocidio attivo e avvisi SOS che indicano un rischio estremamente elevato di genocidio per gli Armeni nell’Artsakh. Considerata la chiara conoscenza da parte dei rappresentanti delle Nazioni Unite dei rischi per la popolazione armena nell’Artsakh (come dimostrato dalla convocazione di due riunioni del Consiglio di Sicurezza sull’argomento), è per noi molto sorprendente che la missione abbia visitato questa regione solo dopo la fine del l’offensiva azera e dopo l’esodo di oltre 100.000 Armeni dall’ex Repubblica. Il fatto che il Presidente azerbajgiano, Ilham Aliyev, abbia donato 1 milione di dollari al Programma delle Nazioni Unite per gli Insediamenti Umani il 30 settembre, appena un giorno prima dello spiegamento della missione nel Nagorno-Karabakh, non fa altro che aumentare le nostre preoccupazioni riguardo all’onestà e alla trasparenza della missione.

Esaminando il funzionamento e il comunicato della missione, abbiamo riscontrato numerosi punti controversi.

Innanzitutto, la missione è arrivata nella regione solo dopo la fine dello spargimento di sangue e dell’esodo degli Armeni, ed è durata solo un giorno. Nel briefing di Stephanie Dujarric, Portavoce del Segretario Generale Antonio Guterres, si afferma che “loro [i membri della missione] hanno avuto modo di vedere parecchio”. Tuttavia, nel contesto di un blocco totale, seguito dall’invasione militare e dalla pulizia etnica, 24 ore da sole non sono certamente sufficienti per valutare adeguatamente la situazione sul campo.

In secondo luogo, le informazioni sul numero di Armeni rimasti nell’Artsakh (da 50 a 1.000) contraddicono le cifre fornite dall’ex Difensore dei Diritti Umani dell’Artsakh, Artak Beglaryan, il quale ha sostenuto che al momento non sono rimaste più di 40 persone nella regione.

E in terzo luogo, per quanto riguarda il testo stesso della dichiarazione, l’ONU ha visitato alcune parti non specificate della città di Stepanakert, dove “non ha riscontrato danni alle infrastrutture pubbliche civili, inclusi ospedali, scuole e alloggi, o a strutture culturali e religiose”. Tuttavia, esistono prove fotografiche verificabili della distruzione delle infrastrutture civili nella città di Stepanakert, bombardata dall’Azerbajgian durante la sua offensiva militare. Oltre a questo accesso limitato a Stepanakert, il team ha visitato la città di Agdam – che era sotto il controllo azerbajgiano e disabitata da armeni, e quindi non cruciale per l’agenda – e il Corridoio di Lachin, che è stato esaminato dopo che l’intera popolazione era stata costretta a fuggire. È interessante notare che la missione delle Nazioni Unite non ha incluso alcun rappresentante della missione armena presso le Nazioni Unite e non ha visitato la regione di Syunik per parlare con i rifugiati armeni costretti a lasciare l’Artsakh. La dichiarazione conclusiva è estremamente vaga e priva di informazioni.

Detto questo, l’Istituto Lemkin ritiene che l’operazione della missione non abbia avuto successo, poiché non è riuscita a presentare o valutare accuratamente la realtà della situazione nella Repubblica dell’Artsakh. Crediamo fermamente che intraprendere la “missione per il bene della missione” e fare una “dichiarazione per il bene della dichiarazione” non siano risposte adeguate a situazioni gravi e pericolose come quella che si è verificata nel Caucaso meridionale. Mettiamo in dubbio gli scrupoli e l’integrità di questa missione. I vaghi principi operativi e le valutazioni della missione delle Nazioni Unite, priva di obiettivi, metodologie o raccomandazioni specifici, rischiano gravemente di minare la fiducia che la comunità internazionale collettivamente ripone nel lavoro delle Nazioni Unite.

L’Istituto Lemkin chiede alle Nazioni Unite di preparare una vera e propria missione nella Repubblica di Artsakh, che comprenda membri di team internazionali provenienti da paesi neutrali rispetto al conflitto per condurre un’analisi approfondita della situazione attuale sul terreno. Questa realtà, che è il risultato di un conflitto che dura da tre decenni, non può essere valutata in un giorno. Per garantire i diritti degli Armeni nell’Artsakh, le Nazioni Unite devono agire con professionalità, imparzialità e impegno nei confronti dei valori presentati nella Carta delle Nazioni Unite.

Sullo stesso argomento: La missione di monitoraggio dell’ONU in Artsakh era una squadra di imbianchini dell’Azerbajgian – 4 ottobre 2023 [QUI]

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